There Will Be Blood nel Cuore tumefatto d’un “cavallo matto” del Bronx
Raging Bull, ringhia la pelle muscolosa d’un peso medio distrutto nell’ambizione picchiatrice alle sue cicatrici, d’avvolger di guantoni “cuciti” nell’Everlast e negli elastici d’allenamenti su corde “tese” della sua anima ferita di “grinze”, tentacolar “brulicare” e “bucarsi” d’incosciente autodistruzione, saltellarci dentro a deflagrar la “crema” mai acchetata di rabbie incontrollabili.
Pulsanti, lì ad ammorbidirsi, a innamorarsi per una Donna peccaminosa, per un Angelo “pruriginoso” e poi immolato-molle in caduta libera, ancora, franando-frantumandosi nei vecchi vizi, nelle spirali della “crocifissione” da Cristo ambiguo, nel morsicare le sue stesse spine, a “rosarle” di vividi colpi furenti, scheggianti, sfreccianti nei “frontali” duri, imbattibili, scagliati con una vigoria “impressionata” dal turgido disintegrare i nemici, la famiglia, il fratello e gli amici.
Scalpitio di “scarpette” davvero rosse da gladiatore fra i leoni, frattura all’irrequieto nerbo mai saldo, mai “sanato”. Che anzi rinsavisce d’illusioni proprio nelle effimere glorie di vittorie sempre avvelenate da un turbamento che raschia borderline, nei collassi emotivi, nel colpo-corpo che cambia “colore”, ch’è spasmo d’emozioni “pericolose”, turbolenza come un aereo d’aviator martire-Martin, d’un calvario reiterato, “stirato” nell’asciutto d’un fisico perfetto ma già guastato, marcio apparendo “macho“.
Macigni come pugni all’anima. Cigno traslucido nel B/N d’un Michael Chapman che poi squarcia di flashback “tridimensionali”, mescendo la nitidezza “alcolica” della fotografia, “satura” di nerezze e perverso grigiore, nelle brillantezze estemporanee d’avidi arcobaleni. Alterando l’incubo del Sogno americano di Jake LaMotta, il Toro…
Uno dei film più importanti della Storia del Cinema, il “tema” della boxe è un affascinante (pre)testo per “intestardirsi” sulle “religiose-maniacali” ossessioni scorsesiane-schraderiane:
vuoto, ostacoli insuperabili, montagne sudate da valicare, cime sublimi di s(ucc)esso, inevitabili eccessi, le solite umane fragilità ad avvinghiarti di nuovo nel fango, ad arrotolar l’addome nel fegato “pusillanime” o forse coraggiosissimo da “commedia” tragica, teatrini di specchi “onesti” a mascherare o a svelare chi sei davvero. Il monologo dell'”You talkin’ to me?” di “variazione” su Marlon Brando di Fronte del Porto.
Analisi e “autopsia” impietosa di Jake, di jet lag fusi, del refuso all’errore e all’orrore che non eri, sei diventanto ma (non) ci stai.
Primo sacrosanto Oscar a De Niro, spaventoso camaleontismo che sarà un modello “base” per ogni altra trasformazione mimetica d’ogni fighter alla Christian Bale, magro, poi lacerato, poi “grosso”, poi Batman e poi notturno senza sonno. Solo per appaiarlo a un altro fenomeno eclatante e “senza (s)prezzo”.
Scorsese su “commissione” di Robert, l’amico che con questo capolavoro lo salvò dalla morte “imminente”. Sì, Robert lesse la biografia di Jake, voleva farci un film “sopra”. Ma Martin non sta proprio bene, sofferente d’asma e dipendente dalla cocaina. Robert vuol tirarlo su.
Martin è dubbioso, poi accetta la sfida, convinto però che sarà la sua ultima regia.
Una regia che attinge da Rashomon, dunque da Kurosawa, perché il “materiale” di partenza, originariamente, “esplodeva” in Akira.
Toro scatenato doveva, secondo le iniziali intenzioni, essere una versione con tante analoghe “versioni” del racconto, intreccio a “spezzettarsi”.
Invece, si preferisce poi una “linearità” forse ancora più “concentrica”, ove tutto (non) si chiude, appunto. Anzi, la faccia e la pancia di Jake necessiteranno d’altri “punti”, è rotto peggio che nella prima (s)Cena. Suture…
Gli incontri sono (s)truccati, “ritoccati” dal montaggio di Thelma Schoonmaker sui montanti d’un De Niro dai bicipiti atletici, scattanti, iperreali, accelerati, “ralenti-ati”, intontiti, erotti ed eruttivi.
Nervosi, allucinanti.
Come dico io, un film che (di)strugge.
(Stefano Falotico)