Sì, innanzitutto, devo trovare l’indirizzo di Carpenter e spedirgli la copia del mio libro in italiano. Sì, sarà durissima. Così come sapere dove abita Salinger. No, forse un po’ più facile ma, attraverso vie traverse, in senso figurato e anche stradale, riuscirò a impossessarmi del suo address. Probabilmente quello della sua agenzia.
Al che, John avrà il mio libro in mano e, innanzitutto, noterà che nella recensione di Escape From New York, di punto in bianco, passo alla pagina successiva anche se c’era ancora molto spazio e potevo continuare col testo. Ma ho voluto creare apposta, d’impaginazione bizzarra, la suspense. Sì, perché Jena precipita nella fogna newyorkese e il lettore, che semmai non ha visto il film, rimane sul chi va là e scopre il resto nella pagina seguente. Nell’attimo fremente dello sfogliar con la saliva sul polpastrello la mia review.
Ho chiesto la ristampa. Sono mister pignoleria.
Ma non capirà ugualmente un cazzo perché, sebbene credo che Carpenter conosca diverse lingue, e soprattutto con Adrienne Barbeau fu molto limonante di linguino e anche di rovente inguine, l’italiano non sa neanche cosa sia.
Eppur noi siamo la terra di Dante e dello stilnovo. E, nonostante Carpenter sia stato rivoluzionario, un innovatore, uno sperimentalista, ancor meno capirebbe il mio stile barocco, un po’ farlocco, poetico e arcuato in prosa aulica come la facciata di San Petronio. Una chiesa che è come me. Doveva essere la più grande ma il Papa la “scomunicò” e rimase quella del Michelangelo la maggiore. Io non sono Michelangelo, infatti sono meglio. Lui non ha mai assaporato il brivido di poter vedere film come Halloween e recensirli col mio genio pazzesco. Eh no.
A parte tutto, tradurre un libro in inglese è un casino da manicomio. Di mio, lo conosco abbastanza bene. Sì, potrei tradurmelo da solo. Anche se poi, al termine del lavoro, m’internerebbero come Myers poiché, impazzito, dopo tanta frustrazione, andrei da Jamie Lee Curtis e le chiederei di farmi il suo spogliarello di True Lies, porgendole “delicato” un fuck me con lo stesso aplomb di Sam Neill ne Il seme della follia. Sì, Sam in questo film ha una faccia di bronzo magnifica, è un serpentello tutto incravattato che adocchia la donna editrice, sognando di montarsela ma volendo smontare la pantomima di una cittadina che lui crede lo stia pigliando per il culo.
Ah ah.
A parte gli scherzi. Potrebbe venirmi… in aiuto il traduttore di Google. Cazzo, ha fatto passi da gigante questo… adesso traduce veramente coi fiocchi. Inserisci un testo e compie una traduzione egregia, davvero signorile, inappuntabile come Il signore del male, un capolavoro impeccabile, che non sbaglia una virgola.
Però c’è un però. Anche un periodo. Ad esempio, periodo in senso grammaticale, del tipo… in questo mio periodo ho scritto questa frase, come me lo traduce? In this period of mine? Ma non è il periodo di tempo. Period va bene in tutte le forme… siamo sicuri?
Se invece scrivo cult in corsivo, il corsivo va tolto. Cult è già in inglese. Invece, cinema d’essai come cazzo me lo traduce? Art house theater.
Poi, nella recensione di Essi vivono scrivo: … E Piper, che attore professionista non era, è visibilmente in imbarazzo e impacciato…
Ecco, me lo traduce con embarassed and embarassed perché in imbarazzo, quindi imbarazzato, e impacciato si dicono pressoché alla stessa maniera. E io gli ficcherò clumsy. Una traduzione un po’ “impedita”.
A proposito de Il seme della follia, diventa in the seed of madness. Eh no, ci vuole il titolo originale.
Il seme della follia attinge anche ad Alle montagne della follia di Lovecraft, At the Mountains of Madness. Ma è molto simile a In the Mouth of Madness.
Ci sarà da farsi un culo enorme più di quello di Jennifer Lopez.
Vi ricordate di Pacino in Donnie Brasco? Che te lo dico a fare? Hanno fatto uno strepitoso lavoro di doppiaggio, rendendo idiomaticamente italiano l’’italoamericano mafioso… forget about it.
Ad esempio, il buzzicona di De Sica… gli americani come cazzo lo traducono?
Sarà una missione quasi impossibile. Perché il mio stile, indubbiamente, è molto lirico, gioca assai con le parole, intreccia le assonanze per creare ritmo e musicalità, e quindi è intraducibile nell’esatta forma. Con la traduzione in inglese, per quanto filologica e creativamente aderente all’originale, molti significa(n)ti andranno perduti. Ma questo succede anche con Stephen King oppure coi film doppiati appunto in italiano.
A volte, il doppiaggio edulcora dialoghi troppo forti e non riesce a riprodurre lo slang, che ne so, di uno di Brooklyn.
Come dire, se uno scrive un libro neorealista su un guappo di Napoli, l’espressione Madonna santissima del Vesuvio di San Gennaro, come la traducono gli americani?
Oppure, un mafioso che urla minchia arrusa…
Vincent: – E sai come chiamano un quarto di libbra con formaggio a Parigi?
Jules: – Non “un quarto di libbra con formaggio”.
Vincent: – Hanno un sistema metrico decimale: non sanno che cazzo sia un quarto di libbra.
Eccetera eccetera.
Un traduttore professionista mi chiederebbe più di mille Euro.
Azz.
Ecco, AZZ com’è in inglese?
di Stefano Falotico