Serata indigesta domenicale, ove devo accendere l’autoradio e prendere contatto, via etere, con urlanti terragne del “cavo” del mio Pioneer, udendone mai intimidite sconcezze a cui offro di “Off” un secco girar la manovella e “posizionare” il pollice opponibile su palle basculanti da “regolatore” del “minimo” alzato a reclinato onanismo mentale, contemplativo e incantato, meglio comunque degli ottusi con poca musica nel cervello e molto rumore di uccelli. Così, stupefatto di tanta lasciva (dis)umanità, lascio che le dita medie s’infilino nell’airbag in mezzo alle mutande, e sguazzo felicemente di “contromano” in corsia di (sor)pass(er)o.
Carezzo lo scroto a pericoloso, sbandante, sballante autoscont(r)o a me in disarmanti far sì che tutto (s)tiri, al “folle” galoppo lungo la carreggiata di possibili scoregge in caso di dossi e curve “mozzafiato”. Che (tram)busto, che fus(t)o, che albero piantato da ebete a modo di abete. Comunque, non me la bevo di Autogrill(etti). Poi, mi fermo a pompar benzina, e rifletto… su come tornerò a casa e sfoglierò il pelo della mia rossa gatta in calore dagli occhi verdi, di fusa diluenti questo mio “fusibile” che viaggiò già, anche non rispettando i g(i)alli.
Adoro il manto autunnale del mio fogliame secco, imbrunente nel tramonto prima che potessi mai risvegliarmi al giorno da me odiato e da an(n)i ripudiato senza contraffarmi un attimo. Scontai contravvenzioni, multe e il rischio di “mutismo” per troppo strapparmi i punti della sociale patente, ove tutti s’addobbano di laurea per rendersi aurei alle visioni avvaloranti, sì come no, altrui da pendolari di quest’esistenza vostra mesta e colma di bugie da cui non penderò dalle labbrine. Gonfio i polmoni e insufflo d’aria il mio galleggiante gommone, eppur affogo di sublime, docile niente assoluto. Spurgando il primo “venuto” in quanto incompetente perfino della masturbazione da “prendilo” appunto come “verrà”. D’olio e odio super(bo) schizza e inzacchera le piene pozzanghere di tal vicoli vostri ciechi da uomini che carburate diesel, osservatori infimi della cosiddetta “realtà” ove vendereste vostra madre per farvene un’altra di stessa età. A “misura” dei “portavalori” del guardrail.
La melanconia assume quindi per me un gusto unico, inspiegabilmente soffice “bile” che liscia è combustibile di commestibilità.
Sgranocchio delle patatine al bar dei gonzi, danzo fra tavoli di biliardo con la chitarrina in mano e osservo il panorama triste e languido dalla mia finestra sporca di tanto vostro abbagliarvi da ipocriti “zitti e mosch(e)e”. La morra cinese è il mio gioco preferito, chiudo il pugno e non stringo i denti, taglio a forbici e avvoltolo nel cartoccio senza sfidar nessuno da falsi carrozzoni, principessine sul “pisello” in (car)rozze e baci della buonanotte da leccaculo del prossimo a cui “porgo” la guancia sol di “plettro” morbidissimo quanto un’ugola “zigrinata” alla carta mia vetrata da Oscar Isaac, irredento incazzato alla Al Pacino.
Anche se De Niro rimane il re delle malinconie. E se ne sbatte da cazzotti in faccia e punisce al motto di poche cazzate di fisting, festini a luci rosse in virtù delle borghesi famiglie da trombare…
Sì, sono uno stronzo appetitoso e da macellaio ti appendo al “chiodo” da tamarro. Sono una merda amarognola che crede all’amore speranzoso quanto i miracoli fallimentari della Madonna di Medjugorje, da me “ribattezzata” dei patetici da cicorie.
Schiaffami pure sul naso il pomodoro, io De Niro adoro, in quanto questa è la mia storia e tu non puoi contestarla, altrimenti da me riceverai solo testate e pochi “attestati” di stima. Io ti (ar)renderò flaccido… e piegato dalla più vulnerabile atimia, e me ne fotto platealmente dei tuoi meccanismi di difesa da timido buono solo a coltivar rancori e tigne. Io (ti) spingo e ora t’imbavaglio. A ungimento di te, untore, che udirai le mie ire di gran sapore. La tua testolina, peraltro già annacquata, io insaponerò e poi di “colori” sciacquerò nella detergente varichina su mia… delle valchirie. Oggi sono vampiro, domani d’altra era e ieri quel che fu(i) già trapassato anteriore nel tuo posteriore. Dove pensi di fuggire? Ti addomesticherò con garbo e senza garze, caro ganzo. E poi ti sfilaccerò come una fettina di Manzotin. Perché, solo davvero “gelatinato”, sarai (s)pettinato dal mio sorriso non tanto “brillante” gelatello, da leccatine dei tuoi “avvenenti” labbrini per le sciocche cocchine, caro Leprotto, ma a punizione delle scopate con quelle di ciuffo acciuffate nella tua “gagliarda” brillantina del cazzo. Dove credi di scappare? Io ti acchiappo e te lo metto nelle chiappe. Chiama pure la pulizia e finiremo, assieme all’ambulanza tua funeraria, d’inacidirtelo con tanto di “mozzarella” in faccia… e insalata. Quindi, ti spolperemo da salame.
Io ti devasto, ti apro il cranio e, dopo avervi cagato, di euforica pisciata ti vendo come shampoo al mercato ortofrutticolo in cui sarai barattato in cambio delle tue “limonate”.
Ecco la ce(d)ra(ta)…
Odiami, offendimi, coprimi di (ver)gogna, attenta alla mia “verga”, ma io sono il Verbo e tu devi stare solo attento. Io comando di ordini da cattivo tenente e rabbonisciti, a petto in fuori e “panzona” dentro sull’attenti, se non vuoi che ti sfondi i polmoni oltre ad averti “risanato” le ferite dei tuoi già fiacchi polmoni. Io ti prendo per i coglioni e ti faccio… rotear come una banderuola, oh oh, mio trombone. Ascolterai il rombo del tuo(no) a fracassartelo di tutto “core”. In coro, elevatemi in tanti aromi ecamaleontici troni come De Niro, l’alto figlio di puttana che non ti lascia scampo(lo). Io sono scapolo e di scalpo. Ancora scappi e vuoi scopare? Giochiamo alle mie carte! Con tanto di bastone a mia corona!
Sì, sono il Re di Roma. E tu invece la lupa del mio rubarti la puttana da cui mungi e dalla quale “estrarrò” il latte dello spomparla.
Tu, povero menestrello del tuo uccellino nelle passerotte, quando mai sognasti di voler ammazzarmi? Fu la sciagurata pazzia del tuo attimo che, per sempre, rimpiangerai. E pigerò su di te, neanche in pigiama, in quanto umiliato nello svestirti a ossobuco, affinché vendemmierai l’uva della tua “volpe” col Diavolo a ficcarti di corna, accecandoti, dunque bucandoti le corna dopo averti sbudellato a sanguinaccio del suo Satanasso! Cornuto, dove son sparite le cornee del tuo “veder oltre?”.
Tu non sapevi nulla di me e mi accusasti d’esser dolcino come la morbida cremina, non di risma della tua crème, caro “caramello” da belline belanti e Nutella slinguazzante. Scambiasti un genio per un merlo e dunque tale punizione vigorosa e implacabile ti meriti nell’an(n)o di Cristo nostro Signore di chi, a differenza di te, non vive da Cam(m)el(li).
Io ti sarò “cameo” ad apparizioni violente come Max Cady, ti spaventerò a fuoco lento e il terrore della tua tragedia ti perseguiterà finché morte non ci s(e)pari.
Te la sei andata a cercare. Quante volte t’avevo avvertito di rispettarmi? E di obbedire alle mie scelte?
Io ho sempre superbamente odiato la tua vita da fighetto, mezza calzetta.
Chiamami Dio. O Diavolo se preferisci. Chiama soprattutto la Croce Rossa!
L’importante è comunque che strisci. Il Verbo al tuo verme!
Perché quando poggerò i miei piedi caprini sopra il tuo “capo”… ecco, piangerai come un matt(atatoi)o.
Io sono il Vangelo secondo Matteo!
Ti sono stato chiaro fascista di merda?