Partiamo con una freddura alla Falotico.
Uno studente del Dams sostiene una potente interrogazione su Apocalypse Now.
Il prof.: – Mi parli di questo capolavoro di Coppola, tratto da Conrad.
– Ebbene, è un grandissimo film. Vi è anche la cavalcata di VAL KILMER.
Sì, faccio ridere le persone. Ho sempre pensato di essere bruttissimo. Mi vergognavo della mia bruttezza, cioè questa.
Ora, facciamo i seri.
Avete riso? Sì, non sono Val Kilmer dei tempi dorati, neanche Alain Delon. Infatti sono meglio. Comunque, non mi prendo mai sul serio. Ora, facciamo i seri. Prima, lasciavo che tutti mi prendessero per il culo. Sì, mi piaceva. Una donna, che ne so, mi diceva che ero carino e io rispondevo che lei non era bella. Lei rispondeva che ero un coglione e io replicavo di esserlo. Al che lei pensava che fossi Val Kilmer del film A prima vista. Aveva visto giusto. Ero totalmente cieco. Anche lei però, ah ah.
Al che le persone mi domandavano: Ma ci sei o ci fai? Il tuo problema qual è?
E io: – Non vedo una mia vita.
E loro: – In che senso? Cioè, fammi capire. Anche se tu fossi ricco e miliardario, saresti depresso lo stesso?
Io: – Più depresso di prima. Gli uomini e le donne sarebbero miei amici, non solo amici, soltanto nella speranza di fottermi.
Capito questo di me, avete capito tutto.
Breve estratto del mio libro, disponibile sulle maggiori catene librarie online, nei formati cartaceo e digitale. Presto anche su Audible, ovviamente.
Il finale di True Detective è di natura cristologica.
Attenendoci puramente, no, puristicamente alle parole da Rust/McConaughey pronunciate e scandite testualmente secondo il doppiaggio effettuatogli da Adriano Giannini, udimmo quanto segue:
È questo che intendo quando parlo del tempo e della morte e della futilità. Ci sono considerazioni più ampie all’opera. Principalmente, l’idea di ciò che c’è dovuto in quanto società per le nostre reciproche illusioni…
Quello che erano… che ognuno di noi e tutto questo grande dramma non è mai stato altro che un cumulo di presunzione e ottusa volontà.
Le persone sono così deboli che preferirebbero gettare una moneta in un pozzo dei desideri che comprare la cena. Trasferimento di paure e disprezzo di sé verso un tramite autoritario, è catartico. Lui assorbe la loro paura con la sua oratoria e per questo è efficace in proporzione alla quantità di certezza che riesce a proiettare.
Alcuni antropologi linguistici pensano che la religione sia un virus del linguaggio che riscrive i percorsi nel cervello. Soffoca il pensiero critico… Almeno, io penso con la mia testa.
Tutti noi incappiamo in quello che io chiamo la trappola della vita. Questa profonda certezza che le cose saranno diverse, che ti trasferirai in un’altra città e conoscerai persone che ti saranno amiche per il resto della tua vita e che t’innamorerai e sarai realizzato. Vaffanculo alla realizzazione… e la risoluzione? No, niente finisce davvero.
Nell’episodio 2, Rust inoltre dissertò, con saggezza ammirabile e finissima dialettica, sull’inequivocabile orrore rappresentato dall’amorale gesto condannabile di mettere al mondo una vita, tante vite, le nostre dissipate esistenze già nate finite. L’errore del voler partorire, con arbitrio degno nemmeno di Dio, tale succitato errore, sì, il bieco errore nato dal perpetuarsi dell’abominazione chiamata orgoglio…
Quando muori, il guaio è che sei cresciuto. Il danno è fatto, è tardi.
Avete figli? Credo che sia da presuntuosi volersi ostinare a sottrarre un’anima alla non esistenza e relegarla nella carne. Trascinare una vita dentro questo tritatutto. E mia figlia, lei mi ha risparmiato dal peccato di essere padre…
Parole, quelle di Rust, da santo o malsane? Chissà. Sciorinate con piglio melanconico da uomo rabbuiatosi per colpa d’un mondo vacuo, futile eppur allo stesso tempo ricolmo di carne umana erosa e corrottasi alla base, macerata e bruciata in questa porca brace atroce.
Maciullati, infatti, siamo noi tutti dentro la putredine bruciante d’una società che dei nostri corpi ha inestinguibile fame. Mangiati e divorati senza pietà saremo dagli uomini e dalle donne miserabili che attenteranno alla nostra incolumità per segregarci nella prigionia d’ogni mentale sanità oramai andata a puttane. Ineluttabilmente scomparsaci e andata via. Chissà dove, chissà quando, chissà in quale nero anfratto. Infranti, affranti, eppur giammai domi, speriamo forse da illusi infanti che migliore sia e sarà il domani, però giammai saremo dormienti in un mondo addormentato e precipitato nell’insipienza, pieno zeppo di fottuti stronzi e pavidi incoscienti.
Un libro cinematografico in cui vengono citati molti film. Fra cui questi. Vi consiglio la parte partente, eh eh, da 3:08:00.
Come disse Jack Burton/Kurt Russell: basta, adesso!
In effetti, sono un minus habens, vero? Ah ah!
Chiudiamo con una nuova super-freddura.
Un professore di Cinema mostra una foto di Francis Ford Coppola a un suo allievo (per modo di dire) e gli domanda:
– Chi è questo?
Risposta: – Un panzone.
Ecco, al che vi aspettereste che il professore abbia bocciato, semmai ingiuriando a sangue, il suo studente.
No, il professore risponde al ragazzo: – Bravo, anche io risposi così quando dovetti sostenere la mia tesi di laurea su Coppola.
Il ragazzo: – Non la bocciarono?
– No, io sono Francis Ford Coppola.
– Cavolo. Mi scusi se le ho dato del panzone. Ora lei è molto dimagrito. Ma, signor Coppola, mi tolga una curiosità. Lei sostenne la tesi di Laurea su sé stesso? (ricordiamo che non si scrive se stesso, anche se è comunemente considerato corretto e invece è reputato, erroneamente, paradossalmente sbagliato. Pregasi le insegnanti di Italiano di correggersi. Sì, nei libri troverete se stesso, quali libri?).
– Sì, negli Stati Uniti non esiste il Dams.
Morale della favola: se uno è un genio, non ha bisogno di pezzi di carta. Bensì soltanto di dimostrarlo.
Quando lo dimostra, è come trovarsi dinanzi a Marlon Brando. Tutti coloro che lo avevano deriso, piangono e piangono, piangono e piangono, piangono e piangono. Parafrasando Rust Cohle: ancora e ancora, ancora e ancora, ancora e ancora.
Per il semplice fatto che derisero un genio. Quindi, compresero di essere degli idioti.
Insomma, sarebbe come dire. Uno prende per i fondelli Orson Welles perché non lo capisce.
Pensava che fosse scemo perché non era come gli altri.
Ebbene, per la signora in prima fila, che non è Rita Hayworth, no, mi sembra sulla racchia forte, un altro giro di vodka, un valzer col cascamorto boomer e poi, domani, tribuna elettorale coi politici matusalemme alla tv.
Il mondo si divide in due categorie: chi è tonto e, in quanto tale, non capirà la vita.
E chi la capisce subito. Perciò piange, ride, soffre, ama, odia, si arrabbia, si dispera, sta bene, crolla, rinasce, balla e poi canta, dunque si ammutolisce, poi non viene capito, lui stesso non capisce sé stesso, si pone delle domande inutili, si arrovella, si scervella, dà di matto, poi si placa, è inquieto, nevrotico, irrequieto, felice e poi tristissimo.
Per forza, non è mica un imbecille. Mi spiace per gli imbecilli. Sono sempre sicuri di sapere tutto degli altri e di sé stessi.
Ne sono sicuri?
Finirei così.
Vado da un mio amico, almeno pensavo lo fosse.
– Che hai?
– Niente. Non avevo capito nulla di te. Mi perdoni?
– Di cosa dovrei perdonarti? Di avermi giudicato troppo presto?
– Sì, di questo. Ho sbagliato. Me ne vergogno dal più profondo del cuore.
– Ma io lo sapevo già. Mi hai chiamato a casa tua solo per scusarti? Scusa, ho fatto dei chilometri soltanto per ascoltare il tuo pulirti la coscienza?
– Scusami.
– Scuse (non) accettate. Tanto, sbaglierai ancora. E ancora e ancora, ancora e ancora.
– Come fai a saperlo?
– Si chiama vita. Altrimenti si chiamerebbe morte. Non lo sapevi?