Arrivato alle soglie dei novant’anni, Clint Eastwood ha deciso, con i suoi ultimi tre film, di ritornare su uno dei temi chiave della sua riflessione di regista, raccontando l’eroismo inconsapevole dell’uomo comune, di chi al momento giusto decide di agire, di prendere in mano il proprio destino e quello degli altri.
E se Hollywood dopo il crollo delle torri si è sempre più focalizzata sui superuomini in calzamaglia e maschera, Eastwood ha deciso di raccontare una faccia diversa dell’american way.
Come sempre nelle sue riflessioni, l’ideale libertario e l’individualismo di stampo liberale e ottocentesco hanno un peso che si declina diversamente a seconda del momento storico e degli accenti che Eastwood intende porre al suo discorso.
E allora ogni tanto sembra spostarsi più a destra come nel patriottico e semplicistico American Sniper, oppure più a sinistra quando racconta il desiderio di fare la cosa giusta a prescindere dalle buone regole, imposte dalle istituzioni, come in Sully.
In questo nuovo film Ore 15:17 – Attacco al treno, sceglie di mettere in scena la storia vera di tre amici di Sacramento, in viaggio alla scoperta dell’Europa, capaci di sventare un attentato terroristico sul treno da Amsterdam a Parigi, il 21 agosto 2015.
Due dei tre sono soldati di stanza nel Vecchio Continente, Spencer e Alek, un terzo, Anthony, è invece arrivato dagli Stati Uniti, apposta per passare una vacanza indimenticabile, con gli amici d’infanzia.
I tre ragazzi sono i protagonisti anche del film. Eastwood ha scelto di affidare a loro i ruoli principali del suo film.
È una scelta non nuova nella storia del cinema, ma piuttosto inconsueta all’interno dell’industria americana, dove il professionismo impera.
La sceneggiatura di Dorothy Blyskal è tratta dal libro che i tre hanno scritto per raccontare la loro storia.
Il film però non è un thriller sul treno, ma grazie a lunghi flashback, racconta l’incontro dei tre alle scuole medie cattoliche, la loro amicizia, la separazione dovuta alle diverse scelte delle loro famiglie.
Seguiamo in particolare Spencer nel suo tentativo di arruolarsi negli aviotrasportati, i suoi sacrifici, i fallimenti.
E poi seguiamo i tre nelle tappe del loro viaggio europeo. Prima Roma, quindi Venezia, Berlino, Amsterdam.
L’attacco al treno occupa solo l’ultimo quarto di un film breve, lineare, che cerca di evitare la retorica, in nome di un minimalismo assoluto.
Eastwood prosciuga ancora il suo stile, sceglie la semplicità più radicale, che fin dalla scelta di un gruppo di non-attori spinge il suo film verso un’essenzialità che forse non farà contento il suo pubblico, ma che invece racconta bene la sua idea di cinema.
Non siamo di fronte ad uno dei suoi film migliori, questo va riconosciuto: la sceneggiatura ha qualche buco, qualche caduta di tono, cerca di costruire attorno ai protagonisti una storia che forse va cercata più nelle pieghe del racconto che non nel suo sviluppo esplicito.
Eppure Eastwood, come accade spesso nel suo cinema, disattende ogni premessa e ogni illusione.
Il romanticismo, con cui Spencer e Alek immaginano la guerra e la vita del soldato, si scontra con una realtà tutta diversa: il primo scartato dalla burocrazia e costretto a imparare a cucire e fare l’infermiere, come addestramento alla sopravvivenza, il secondo da solo in Afghanistan a chattare via skype con gli amici lontani, isolato in un posto di cui non frega più niente a nessuno, perché il nemico ora è cambiato ed ha le forme sfuggenti dell’ISIS.
Non c’è più un territorio da conquistare, un campo su cui misurarsi, un obiettivo a cui dedicare il proprio coraggio. Come gli dice una guida turistica a Berlino, sarebbe ora di finirla anche di raccontare la Storia dal punto di vista del pensiero dominante americano.
È appunto nelle pieghe di questo Ore 15:17 che il cinema di Eastwood si manifesta più chiaramente e la storia semplice e lineare non è davvero così diretta, come sembrava all’inizio.
Anche nel finale all’Eliseo, con il vero Francois Hollande, la malinconia e l’anti-retorica prevalgono sulla celebrazione, in un film lontanissimo da ogni cinismo, che continua ad interrogarsi sulla natura umana, sui suoi motivi, sui sentimenti che la muovono.