Vi ricordate quel gioco fenomenale degli anni novanta? Street Fighter? I bar ne erano pieni mentre i paninari, così venivano definiti i tamarri dell’epoca, le loro panze si riempivano a base di birre rancide come il lor alito puzzante di aglio. Uomini non alti ma che sapevano districarsi col joystickmeglio di una pornostar col dildo. Poi sarebbero arrivate le belle ma troppo pure canzoni di Dido. Ebbene, rammenterete anche, cari uomini alla Tarantino, memori delle nostre pulp fiction, che si sceglieva un “eroe” e ce le si suonava di santa ragione. Se finivi, stravincendo, l’incontro massacrando il tuo nemico senza farti neppure sfiorare, ecco che compariva, di vocina robotica, la scritta perfect, pronunciata in modo alla francese, o à la, pourfiect… Sì, quelle piccole sale giochi nei cantucci di baracchine ove le ragazzine leccavano gelati al limone, sognando in cuor loro di sverginarsi con questi maniaci… delle antiche playstation, erano stracolme di giochini sparatutto e soprattutto di tali divertimenti a base di tenzoni, di sfide senza esclusione di colpi alla Bloodsport. E i giovinastri, anche i più sgraziati e nerd, si proiettavano in queste marziali piroette, immaginando sconfinatamente di essere come muscles from Bruxelles, Jean-Claude Van Damme, uno dei più grandi deficienti della storia dell’umanità a cui però dobbiamo rendere merito per averci fatto entusiasmare con spaccate, jet sinistri e calci “a tuffo” in volo carpiato su ganci ambidestri subito dopo la mossa della gru di Ralph Macchio in Karate Kid. Molti di questi giovani adesso sono quarantenni con moglie obesa a carico e un figlio menomato per colpa delle botte in testa dei loro stes(s)i padri sciagurati, pessimi educatori ma rimasti “ottimi” pugilatori “virtuali”, ché (nel senso di perché ma va bene anche che senza accento) scaricano le loro ire represse sull’innocente che frigna perché ha un padre, appunto-“a pugni”, che passa le serate ancora al bar a giocare però alla slot–machine della sua cassaintegrazione e alla testa di cazzo dell’equo canone dell’essere cane. Una vita che, fra l’altro, fra un digestivo e l’altro, soffre l’amaro zuccherato da qualche “cameriera” dei viali, che li “serve” affinché possano “st(r)appare” di “spumante” con tanto di “scontrino fiscale”.
Eh sì. Quasi quasi rimpiangiamo gli edonistici, superficiali, banalotti e scioccherelli anni ottanta in cui Jamie Lee Curtis esibiva le sue forme ginniche (che poi avrebbe ripreso nel magnifico spogliarello di True Lies) assieme a quello stravolto del Travolta. Perfect, appunto, cagata immonda da ricordare soltanto per la scena “scult” dell’amplesso aerobico e per una Curtis, appunto, che onestamente sa(peva) pompare il muscolo per cui le donne c’invidiano. Quella donna vibrava nell’aria e talmente “spingeva” che avremmo preferito esser nati evirati, piuttosto che impazzire strabuzzati, contenendoci di ormoni al “bilanciere”.
Insomma, non siate perfetti. Non serve a niente. Mangiate di gusto, ubriacatevi senza compostezza, e siate oggi Travis Bickle e domani Pupkin, quindi dei “pazzi” alla Cristo de L’ultima tentazione…, comprenderete, come Edward Daniels di Shutter Island, che da anni a questa parte avete perso il cervello ma volerete… come sani uccelli.
E ricordate: il Genius, che sono io, sembra che abbia una faccia da prendere a schiaffi, a cui la gente, se non si darà una mossa, continuerà a dare calci nel culo, ma sa… sa tutto.
Altro che game over.
di Stefano Falotico