Per curarsi dal Covid-19 e relative quarantene, bisogna creare e ricrearsi, fantasticare, sognare e “cinematografare”, comunque evviva Beppe Maniglia, rocker artista bolognese come me!

15 Nov

zabriskie twin peaks

beppe maniglia beppe maniglia 2diabolik poster marinelliIl Cinema e la poesia ci salveranno. E vi do un consiglio per gli acquisti davvero straordinario.

Le librerie, nelle italiche zone rosse, sono chiuse? E chi se ne frega.

Potete ordinare questo romanzo immenso, ah ah, anche online. Un romanzo che pulsa di vita nuovamente accalorata dinanzi alla vastità della vita stessa del suo autore, eh già, del tutto rinnovatasi, ah ah.

Vi garantisco che non è affatto una str… ata. Diciamo, più che altro, una superba faloticata!

https://www.lafeltrinelli.it/libri/stefano-falotico/leggenda-lucenti-temerari/9788855165785

Sì, siamo quasi tutti interdetti dal vivere normalmente, asfissiati tremendamente, strozzati in apnee polmonari da pesci quasi senza branchie, insomma, siamo abbrancati totalmente? No, abbracciati tutti assieme a cantare appassionatamente?

Macché, celati dietro mascherine da Batman, forse precipitati in un cinecomic perfino demenziale. Dato che impazzano disposizioni che non poco c’indispongono.

Queste governative “misure cautelari” per ottenebrarci nell’oscurità silente d’abissali solitudini immani, oh sì, ci costernano. E rabbrividiamo. In attesa di nuove direttive speciali di un Dpcm che sarà varato prossimamente.

Al fine che, sotto Natale, potremo di nuovo brindare finalmente e felicemente insieme, inondandoci di frizzantini… baci dolci come uno spumante squisitamente da gustare lietamente!

A Bologna, vive e vegeta, talvolta anche si mortifica, immalinconisce e poi inaspettatamente rivive straordinariamente un uomo rinascente. Stupefacente!

In passato, lui stesso si diede del demente, negandosi molte felicità socialmente godenti la vita maestosamente ardente.

Egli contraffò la sua anima, derubandola di molte gioie quotidiane. Nascondendosi in un’ermetica decadenza che visse di grigiore e spettrale “senilità” anzitempo.

Ma lui rinacque miracolosamente, risvegliato nella coscienza sua apparentemente dormiente. Ringiovanendo amabilmente in modo entusiasmante. Oserei dire euforizzante! No, non dategli più calmanti!

Ridestandosi immantinente, forse in una notte bruciante di emozioni riscoperte, lui tantissima preoccupazione destò e, per tale suo imprevisto ed allucinante risveglio inaudito e mai visto, la gente ignorante si allarmò. Ché codesta, sospettosa, volle indagare in merito approfonditamente. Oscurantistica, la gente non credette alla sua favola illuminata di vita rifulgente e lo perseguitò psicologicamente, domandandogli spiegazioni a riguardo, diciamocela, assolutamente meschine, stolte e superflue.

Egli, felsineo d.o.c.

Sì, di origine controllata come un grande vino d’annata. Un uomo maledetto, bellissimo, pronto a festeggiare di enorme rimpatriata. Oh sì, la sua vita è ritornata.

Un uomo dalle origini, onestamente, meridionali. I cui genitori emigrarono nel capoluogo emiliano.

Spesso, quest’uomo fu indubbiamente un disadattato e, a causa del suo risultare anomalo presso la gente più bigottamente sconsiderata e deficiente, fu a vista sorvegliato, francamente quasi indagato, soprattutto mal adocchiato follemente.

Egli è invece artista di strada la cui vita fu distratta. Fuorviata e forsanche sbagliata.

Ma, senz’ombra di dubbio, è una presenza carismatica ancora profondamente conturbante in mezzo alla plebaglia più conformista e nel cervello annacquata.

Un uomo diabolico, sì, forse è Diabolik. A Luca Marinelli, preferisce La canzone di Marinella del grande Fabrizio De André.

Un uomo che, l’altro giorno, ha inoltre terminato lo sterminato libro coming soon intitolato Bologna insanguinata.

Storia di mille storie del bolognese nel quale saranno presenti molti personaggi felliniani per glorificare un Amarcord magnifico.

Vi saranno Andrea Roncato, il Roxy Bar e certamente lui, l’idolo cittadino per antonomasia, il mitico Beppe Maniglia.

Ricordo, sì, io mi ricordo…

Perché lui parla così. Non si capisce nulla di quello che dice. Invece sì.

Egli adora Robert De Niro, egli delira, egli è.

Egli è un uomo modesto.

Sa di non essere Alain Delon, infatti è più bello.

Ah ah.

Ed evviva Beppone, Peppone, Balanzone, i volponi e il Vecchione. Abbasso i vecchietti, i boomer, Roberto Vecchioni e i falsi sapientoni! Poi ce la vogliamo dire senza se e senza ma?

Miley Cyrus batte Madonna in modo del tutto pazzesco. Così come Sylvester Stallone batté Bull Harley in Over the Top in maniera devastante!inland empire lynch

 

di Stefano Falotico

I prossimi progetti cinematografici di Bobby De Niro, a dispetto del Covid-19 e del Gucci di Ridley Scott da girare in Italia a Marzo (con la mascherina dalle 5 alle 22, salvo controindicazioni e contrordini)

06 Nov

Ebbene, che dite? Questo nome, anzi, questo nome e cognome, cioè Robert De Niro… non m’è nuovo.

Sebbene, in Italia, dopo tutti i rimandi dovuti allo scandalo Weinstein e le quarantene imposteci varie, attendiamo che la Notorious Pictures finalmente distribuisca il tanto atteso Nonno, questa volta è guerra!

Atteso da chi? Considerato, forse a ragion veduta, uno dei peggiori film a cui De Niro abbia preso parte. In originale, intitolato War with Grandpa, da non confondere col quasi omonimo Dirty Grandpa. Ovvero, il da noi divenuto Nonno scatenato. Film, quest’ultimo, massacrato dalla Critica alla pari di Toro scatenato? Mah.

Acclarato che sia War with Grandpa che Dirty Grandpa non passeranno alla storia, certamente, come Raging Bull, sebbene Nonno scatenato, a mio modesto avviso, non sia affatto brutto come si disse, dice e dica in giro, in quanto lo vidi e tuttora vedo come una requisitoria contro il falso perbenismo, forse intrisa di qualche volgarità di troppo, un po’ indigesta sebbene piccante quasi quanto la super sexy Aubrey Plaza, guardiamo avanti e non osserviamo ciò che sta dietro come Vi presento i nostri. Plaza, che didietro, però.

Sì, la carriera di Bobby De Niro, sino a Ti presento i miei, a eccezion fatta forse di un paio di film bruttini, penso che sia stata più figa della Plaza.

Una carriera stupenda, addirittura più bella di Leslie Mann. Co-protagonista, assieme a Bob, dell’inedito The Comedian. Poi, ve ne parlerò. Sarà infatti forse inedito per voi. Ma non per il sottoscritto.

Poiché ne acquistai il Blu-ray americano in quanto fan sfegatato di De Niro e amante delle belle donne. Le quali, nella mia collezione privata e segretissima, sono sempre immancabili.

Piaciuta la battuta alla Jackie Burke di The Comedian?

In effetti, per molto tempo sognai una donna come Leslie Mann ma fui come Steve Carell di Benvenuti a Marwen. E ho detto tutto…

Nei miei periodi, diciamo, più sfigati, feci al che l’amore, cinematograficamente parlando, con De Niro. Amandolo infatti alla follia, ah ah.

Sì, me ne trasfusi, me n’identificai totalmente, m’incorporai in lui e, di simbiosi compenetrante, perfino sulla sua vita privata m’informai dettagliatamente. Tant’ che penso questo… De Niro, oggi invecchiato e forse un tantino smemorato, credo che non si ricordi quanto fosse bella Naomi Campbell ai tempi in cui lui e Naomi stettero assieme.

Io me la ricordo benissimo, invece.

Ebbene, De Niro, dopo aver lavorato con Nancy Meyers per Lo stagista inaspettato, con quest’ultima girò un mediometraggio piuttosto impresentabile, disponibile su YouTube e Netflix USA. Vale a dire l’abominevole Il padre della sposa 3.

Altra roba da cestinare subito.

Film o pseudo tale filmato con la web cam a mo’ di videochiamate streaming live di WhatsApp.

Con Anne Hathaway, sua compagna sul set di The Intern, Covid-19 permettendo, lavorerà ancora assieme per Armageddon Time di James Gray. Andiamo già meglio.

Gray è un grande. Dunque, dopo averci deliziato con la sua performance subtle in The Irishman e dopo il suo ruolo centrale in Joker, De Niro lavorerà ancora con Scorsese e DiCaprio per Killers of the Flower Moon. Film che sarà ambientato in una riserva indiana.

Ovvero, ciò che sta diventano l’umanità che, affetta dal Coronavirus, alla pari della popolazione massacrata dai cowboy, è quasi in via d’estinzione.

Ah ah.

Dunque, Gucci di Ridley Scott con Lady Gaga nei panni di Patrizia Reggiani.

Lady Gaga, all’anagrafe Germanotta. Donna però di chiare ascendenze meridionalotte, in A Star is Born perfino un po’ pienotta, oserei dire tracagnotta.

Insomma, leggermente sovrappeso e chiatta ma comunque sempre sensualissima come Tania Cagnotto.

Nelle prossime settimane, invece, il Bob dovrebbe girare a Puerto Rico, ove pare che il Coronavirus non stia mietendo molte vittime, il film Wash Me in the River.

Film che vedrà, per la prima volta in assoluto, duettare Bob con John Malkovich.

Nel cast, inizialmente doveva esservi anche Machine Gun Kelly. Giustamente rimpiazzato dal ben più valido Taylor Kitsch.

Sì, Machine Gun si vanta di aver avuto una notte di sesso con la pornoattrice Rachel Starr e di fare all’amore con la sua attuale compagna, forse tutte le notti, Megan Fox.

Sì, sono bravi tutti. Quando sei miliardario, le attrici del c… o, come si suol dire, ti fanno la corte. Ne sarebbe capace pure mio nonno, fra l’altro, morto.

Peraltro, Machine Gun è proprio un cretino. Coi soldi che ha, si accontentò solo di Rachel. Chi si accontenta gode? Ah, mi accontenterei di Rachel anch’io.

Sì, basta, non vogliamo vederlo al cinema. In un film con un uomo di altra categoria come De Niro, sarebbe c’entrato come i cavoli a merenda.

Signor Machine, mi dia retta. Continui a bombardarci di pessima musica, tanto io non l’ascolterò, e duramente perseveri a bombare la Fox, lasci stare la celluloide, però. Se proprio la sua Megan dovesse, col passare del tempo, sviluppare un po’ di cellulite, contatti il chirurgo plastico di Rachel Starr e la finisca di darsi alla Settima Arte.

Sì, non capisco perché The Comedian non sia stato mai distribuito in Italia.

È la storia della mia vita.

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THE COMEDIANthe comedian de niro devito

Ebbene, oggi recensiamo un film assurdamente mai distribuito qui da noi, sciaguratamente snobbato, totalmente ignorato da qualsiasi distributore italiano, introvabile, poiché mai uscito, persino in home video, ovvero il valido, esilarante e al contempo malinconico The Comedian di Taylor Hackford.

Regista, peraltro marito della grande Helen Mirren, che, a sua volta, riteniamo che ingiustamente sia stato sottostimato per molto tempo, malgrado possiamo, a suo modo, certamente considerarlo un autore a tutti gli effetti, pienamente. Sì, molto particolare, mai del tutto affermatosi e riconosciuto come tale. Il quale però, lungo la sua lunghissima carriera, sì, altalenante e comunque discontinua, disomogenea e perciò non facilmente ascrivibile forse a una poetica definita e perfettamente riconoscibile, ha azzeccato più di un film. Questo gli va riconosciuto altamente.

Ottenendo clamoroso successo planetario col celeberrimo Ufficiale e gentiluomo, dirigendo Al Pacino, Charlize Theron e Keanu Reeves nell’interessante anche se indubbiamente un po’ pacchiano e pasticciato, prolisso e confusionario L’avvocato del diavolo, raggiungendo la prima e unica, assai tardiva nomination all’Oscar come best director per il bel biopic Ray con Jamie Foxx, conoscendo la stessa sua sposa e compagna Mirren sul set del suggestivo Il sole a mezzanotte. Firmando Rapimento e riscatto con Russell Crowe e Meg Ryan ed essendo stato l’autore di quello che, a tutt’oggi, possiamo senz’ombra di dubbio ritenere il suo lavoro migliore, vale a dire L’ultima eclissi con una strepitosa Kathy Bates.

Per tale The Comedian, dopo che il suo produttore Art Linson (Gli intoccabili, Heat, Fight Club, Into the Wild) prese contatti coi suoi amici Martin Scorsese e Sean Penn al fine di affidare a questi ultimi la regia, dopo numerose vicissitudini e varie, continue revisioni della sua stessa sceneggiatura originale, rimodellata, potremmo dire, riveduta e corretta, limata e “ritmata”, rifinita dal fine Richard LaGravenese (La leggenda del re pescatore, L’uomo che sussurrava ai cavalli), leggermente modificata nei dialoghi al vetriolo, ironicamente trasgressivi e pregni di dark humor taglienti, dal cabarettista Jeffrey Ross (accreditato solo come Jeff) e da Lewis Friedman, decise di optare per Hackford.

Affidando il ruolo principale del protagonista a uno dei suoi attori preferiti, ovvero Robert De Niro.

The Comedian, nonostante i nomi coinvolti nel cast e, come detto, le pregiate penne in sede di sceneggiatura, a dispetto delle ambiziose premesse, non riscontrò i favori unanimi della Critica statunitense. Anzi, detta come va detta, andrò incontro a un sonoro flop, riscuotendo pochissimo in termini d’incasso e lasciando piuttosto freddi i recensori d’oltreoceano.

A torto, aggiungiamo noi. Poiché The Comedian, anche se indubbiamente non riuscito completamente in molte sue parti, disorganiche e forsanche appesantite da pedanti lungaggini superflue, sebbene risulti sfilacciato e non sempre funzionante a livello d’intrattenimento riflessivo e divertente che, allo stesso tempo, vorrebbe palesarsi come una dolceamara commedia leggera e brillante dalle crepuscolari tinte melanconiche à la Woody Allen mescolata a un Saturday Night Live sotto forma di lungometraggio riflettente un character study incentrato su un uomo dai tratti psicologici ed esistenziali con cura sfaccettati, è un’ottima commedia veramente intelligente.

Trama:

il comico Jackie Burke (Robert De Niro), un po’ in là con l’età, il quale per anni ha vissuto unicamente di rendita, basando la sua oramai appannata e residua popolarità su un personaggio spassoso inscenato in una sitcom, è adesso sul viale del tramonto e tira a campare alla bell’è meglio, esibendosi come guitto d’avanspettacolo.

Dopo aver aggredito fisicamente, oltre che verbalmente, lo spettatore di un suo show, viene obbligato a un lavoro socialmente utile. Ma, come si suol dire, non tutto il male viene per nuocere.

Alla mensa dei poveri, ove è stato assegnato come “servitore”, potremmo dire, conosce la sfortunata ma assai bella ed affascinante Harmony Schiltz (Leslie Mann).

Subito se n’innamora, perfettamente ricambiato.

Nonostante la forte differenza anagrafica che divide i due, Jackie ed Harmony diventano sempre più complici oltre che splendidi, sfrontati amanti passionali.

E Harmony, col suo calore e il suo amore, riesce a ridonare a Jackie la fiducia perduta.

The Comedian dura 119 min. e, oltre a De Niro e alla Mann, può vantare le presenze del mitico Danny DeVito, di Edie Falco, di Harvey Keitel e PattiLuPone oltre ai cammei di Billy Crystal e di Charles Grodin.

The Comedian non è un film, come già scritto, esente da difetti. Anzi, ma è una graziosa comedy nient’affatto banale con un De Niro, inoltre, ampiamente da apprezzare.

 

di Stefano Falotico

 

 

Bomber, recensione

05 Nov

bomber spencer bomber bud spencer

Talvolta, qualche volta, spesso, soventemente… è necessario fare promemoria della nostra miglior infanzia cinematografica, sommergendoci nel lieto mare cullante emozioni oramai assopitesi nel letargo della dimenticanza, modellando il tempo a risorgimento d’una euforica spensieratezza ritornante in modo miracolante ed eclatante. Recuperando quel gaudio e quella soave, dolce baldanza che fu quasi del tutto oscurata, trucidata, annichilita, soffocata dal cinismo dell’età adulta, barbarica e carnale. Affogandoci nella smemoratezza di noi stessi, dimenticammo per molto tempo, per l’appunto, la lietezza più autentica ed adamantina. Eppur riemergenti lucenti quando, in attimi di esistenziale freschezza, rinfrancati da giornate ancora solari, soprattutto emotivamente, auscultiamo dall’anima le squillanti vibrazioni animose che furono, per l’appunto, affette da tachicardica disaffezione nei riguardi delle nostre più vivaci, accorate pulsioni beatamente sognanti una marmorea, cristallina aurora profumata del nostro navigare nella vita da eterni bambini, risorgiamo nuovamente in gloria. Non da burattini!

Dopo questa doverosa, toccante prefazione, eccoci a Bomber. Uno dei miei must imprescindibili e formativi, con Bud Spencer, il Pedersoli, della mia infanzia ancora intatta.

Poiché, sebbene mi sverginai da tempo immemorabile, malgrado le tante delusioni che io patii e, angosciandomene, soffrii un calvario inimmaginabile in quanto, per l’appunto, bambino illibato e speranzoso, in quel periodo fanciullesco e intriso di puerilità stupenda, non avrei mai predetto tante mie sfighe clamorose, oserei dire inaudite e pazzesche, a dispetto della mia adolescenza forse inesistente poiché, spesso incosciente o inconsciamente, la saltai a piè pari per maturare troppo in fretta pur avendo dato il mio primo bacio dopo aver visto, a vent’anni suonati, L’ultimo bacio di Muccino, ah ah, la mia anima è perfettamente rimasta pura come quella del personaggio incarnato da un attore a me omonimo.

Chi? Stefano Accorsi? Ah ah, no. Bensì Stefano Mingardo, alias Giorgione. Grande campione.

Così come lo fu il suo grintoso, partenopeo, verace allenatore, il mitico Bud nei panni dell’omonimo Bud… Graziano. Da non confondere con Rocky Marciano.

Bomber, capolavoro firmato dal grande Michele Lupo, vero pedagogo che diresse un paio di film vertenti sul forzuto Pedersoli, no, su Maciste, un regista che batté Wolfgang Petersen de La storia infinita grazie al dittico strepitoso Uno sceriffo extraterrestre… poco extra ma molto terrestre e l’irraggiungibile, oserei dire antesignano film anticipatore di Essi vivono di John Carpenter, ovvero il magnifico Chissà perché… capitano tutte a me. Ove il bambino d’Incontri ravvicinati del terzo tipo, vale a dire Gary Guffey, alla pari di me, era già molto avanti, un fenomeno paranormale.

Al che, vide Valeria Cavalli, qui al suo debutto sul grande schermo, e in cuor suo già predisse che sarebbe diventata un suo cavallo… di battaglia post-pubertà.

Poiché Valeria lo educò alla sessualità precoce grazie alle sue magnifiche gambe esibite in molte fiction, lo rizzò, no, l’indirizzò alla beltà del piacere più innocentemente onanistico e sensualmente caloroso grazie al suo fondoschiena scultoreo e mai visto di Le Grand Patron, un lato b dalla perfezione eccitante delle più sconsiderate, qualcosa di turgidamente mastodontico.

In Bomber, Jerry Calà, non ancora sputtanatosi con Sabrina Salerno, allegramente cantò la feliciità è mangiare un panino con dentro un bambino, scimmiottando Al Bano e Romina di parodia bestiale sfottente gli ex coniugi più invidiati del mondo dopo Adriano Celentano e Claudia Mori, questi ultimi ancora felicemente sposati poiché… ci dispiace per gli altri se sono tristi, se sono tristi perché non sanno più cos’è l’amor’!.

Anche se credo che Adriano tradì la mori con Ornella Muti e anche con Fabrizio Moro, no, con Federica Moro di Segni particolari: bellissimo.

Oggi come oggi, come sappiamo, dopo la morte di Yara Gambirasio, no, dopo la scomparsa di Ylenia, il cantante campagnolo natio di Cellino con ambizioni da tenore dei poveri e lontano anni luce da Pavarotti, cioè il Carrisi, e la figlia di Tyrone Power, un figone che mise al mondo una figona, non stanno più assieme. Da tempo immemorabile chiesero e ottennero infatti la sparizione, no, la spartizione dei beni e la separazione consenziente ma molto dolore senziente.

Loredana Lecciso, nel frattempo, ebbe anche una relazione misteriosissima, ancora non del tutto appurata ed oscura, con un pugliese guitto di Alberobello.

Al Bano ne fu informato e s’inalberò, spaccando tutti i trulli e anche ogni bello, no, bullo.

Comunque, Valeria Cavalli, fin dai suoi esordi, fu bellissima. No, scusatemi. Una cotoletta milanese, no, una patonza torinese che indusse e ancora induce molti uomini a combattere e sbracciare, smadonnare per averla.

Sì, mica Adriana di Rocky. Ah ah.

Sì, nella vita non bisogna mai arrendersi e gettare la pugnetta, scusate, la spugnetta.

Così come Bomber, così come Bud ne Lo chiamavano Bulldozer.

Sì, nella vita presi un sacco di batoste e botte.

Ma credo che, alla pari di Sylvester Stallone, qualsiasi Mason Dixon del cazzo farà ancora fatica a buttarmi giù facilmente.

Figuratevi un rospo, no, Rosco Dunn di turno.

D’altronde, nel mio ambiente, li faccio tutti arrosto. Sì, è pieno di polli nel mio quartiere.

Sì, nel mio quartiere, ci sono circa trenta macellerie. Ogni fine settimana, mi piace ordinare più di un pollo allo spiedo.

Sì, lo metto tutto in forno, no, in f… a, no, vi metto tutti in riga.

Sì, ho una faccia da sberla/e.

Se non vi sta bene, non amerete il Bomber, bensì un trench.

Di mio, amo i tramezzini nel cammin’ di mia vita e anche un trancio di pizza. Li gusto, accavallando le gambe con una donna più bella della Cavalli.

Su questa freddura, forse sputata da una tavola calda ripiena di hotdog e patatine fritte nel vostro cervello, al momento vi lascio.

Mandatemi pure a cagare. Sì, fate bene. Da una settimana sono stitico.

Da sempre, invece, sono stupido.

Purtroppo, non crepo.

Per fortuna, non credo che lo sia. Cosa? Stupido? No, io non sono nessuno.

Sì, sono bravissimo a farmi prendere per il culo da tutti.

Tutti però scordano puntualmente un particolare importantissimo.

Sono più bravo di loro a fare le battute e a pugni.

Anche a fare altro. Sì, Joe Biden è oramai il nuovo Presidente degli Stati Uniti.

Di mio, non lecco nessuno ma adoro leccare la Nutella, non solo quella.

 

di Stefano Falotico

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La morte di Sean Connery e Gigi Proietti ci costerna ed atterrisce ma non dobbiamo svilirci, ci sono io a rallegrarvi, basta con gli sgarbi quotidiani…

03 Nov

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Sì, quasi all’unisono, sono scomparsi due attori molto importanti.

Sebbene qui, in tale sede a sua volta rilevante per la cinematografia tutta, considerevole per ogni cinefilo o improvvisatosi critico nostrano, voglia subito, nettamente compiere un opportuno distinguo e affermare, con estrema fermezza e imperturbabile fierezza, oserei dire con lucidissima chiarezza, che dissento da chi definì Gigi Proietti un grande attore.

Pezzo alla David Foster Wallace italiano…

Riconosco a Vittorio Sgarbi la sua inoppugnabile, imbattibile capacità esegetica di valutare l’Arte, soprattutto ipotetica, pittorica e scultorea, dettagliatamente e con profonda garbatezza. Peraltro, termine che poco gli si addice quando, assalito da pusillanimità figlia della sua innata, inestirpabile arroganza un po’ mendace, elargisce parsimoniosamente, eufemisticamente e contraddittoriamente, con scarsa generosità umana nei riguardi del prossimo, spesso da lui considerato, superficialmente e anti-democraticamente, una capra totalmente, cioè un impresentabile ignorante che di molte più conoscenze, desiderio di affamarsi di scibile ma carente culturalmente, abbisognerebbe al fine di affinarsi e non sfigurare con lui, magnificatosi nel divinizzare sé stesso, non solo Michelangelo, perfino la sua famosa ex storica, la Casalegno, da non confondere con Gianroberto Casaleggio e con Rocco Casalino, neanche con Casalecchio, frazioncina di Bologna ove spesso “alloggio” per bere un buon caffè con tanto di gambe accavallate da uomo intellettuale o forse da Joaquin Phoenix di Irrational Man, ah ah.

Dunque, riconosciuto il valore critico, in termini prettamente inerenti l’esegesi artistica, allo Sgarbi nazionale, debbo però dirgli, in buona fede, che di Cinema non capisce niente.

E sarebbe meglio che si astenga a strumentalizzare la morte di Gigi Proietti per scopi esclusivamente suoi dediti a fare opposizione contro il governo Conte e i 5 Stelle.

Inoltre, tanti anni fa, Sgarbi mise lingua, sì, la sua, erudita, colta, raffinata, forbita, soprattutto furbetta, su Eyes Wide Shut.

Uscendosene con delle esternazioni poco attinenti a Kubrick. Che ne può sapere uno come lui, infatti, di Barry Lindon?

Lui, abituato al tè London, lui che non visse mai un’adolescenza da Alex di Arancia meccanica, cioè Malcolm McDowell?

Lui che non ha figli e, malgrado ci “doni” video scolpiti a suo Jack Torrance dei poveri con lo sfondo di un quadro che vale ventimila Euro o cinquemila dollari, non patì mai nessuna crisi d’ispirazione e blocco dello scrittore da Jack Nicholson, per l’appunto, di Shining.

In quanto giammai necessitò di starsene isolato davvero, soffrendo il gelo della paura orrifica di non poter pagare una bolletta poiché, anche se non avesse scritto molti libri su Giotto, ha così tanti soldi, molti dei quali dalla nascita fra l’altro ereditati, da potersi permettere ogni sera una buona cioccolata calda, un latte macchiato e una gustosa pagnotta?

Ora, io non voglio sapere se con Berlusconi, Vittorio e la d’Urso si diedero anche a “messe nere” viste da Tom Cruise, cioè se Vittorio, fra una sberla data alla defunta Marina Ripa di Meana, il suo glorificare la “povera” Moana e le sue sofistiche moine, si sia adoperato ad aiutare una mondina, liberandola dalla schiavitù a mo’ d’Innominato con Lucia Mondella. Ah, la panza è pienotta, Vittorio.

Cosa ne puoi sapere, tu, della vita sfruttata di una mig… ta?

Quello che so è che elevi in gloria Proietti ma non credo che che tu abbia mai amato davvero RockyMean Streets e Casinò. Film per i quali Proietti donò la sua rocciosa voce rispettivamente a Stallone e a De Niro.

Ora, Vittorio, concordo con te però su una cosa. Non reputo Gigi un grande attore. Quindi, paradossalmente, così come affermi tu, lo è.

Poiché uomo comune profusosi nel Cinema e nel Teatro con immane naturalezza. Rimanendo uguale a sé stesso, un uomo della strada. Che attinse dalla sua “comunità”, in ogni senso, per farne della satira.

Gigi fu un satiro. Vittorio, le sembro satirico?

Gigi non cazzeggiò da Marzullo, né di stramberie mattatrici da distinti tromboni come Vittorio Gassman, nemmeno s’autodefinì antipaticamente un genio, a differenza di come fece Carmelo Bene.

Gigi Proietti fu come Sean Connery, come Sylvester Stallone ma non come De Niro.

Avete mai visto un film in cui Sean, per esempio, ingrassi per la parte? E impari l’accento statunitense, prendendo le distanze dalla sua cadenza scozzese?

Uno vede Caccia a Ottobre Rosso e non vede un capitano sovietico di nome Marko Ramius.

Bensì James Bond ancora coi capelli, dicasi altresì toupet.

Questa è e fu la grandezza di Sean.

Così come, allo stesso modo, io non mi vedo e non vidi (forse non me ne avvidi, fui poco avveduto) come si suol dire gergalmente, Gigi Proietti nella parte di De Niro in Taxi Driver.

Cioè Travis Bickle. Gli sarebbe venuto spontaneo, durante il celeberrimo Dici a me?, strizzarci l’occhiolino e assieme al mago/Peter Boyle, raccontarci una “mandrakata”.

Gigi fu ed è Gigi. Così come Gene Hackman è sempre stato Hackman. Anche in film pessimi come Boxe.

Ecco, se vogliamo battercela su un piano cinematografico, anche letterario, caro Vittorio… non voglio fare il gigione esaltato come Muhammad Ali ma credo proprio che andresti, contro di me, al tappeto come George Foreman.

Aggiungiamo anche che, dalla mia, sono molto più bello, molto più veloce, molto più giovane e che, a differenza di magnificare il mondo e Raffaello, estetizzando tutto in modo un po’ stucchevole, poco addentro la realtà sociale, alla pari di Adriano Celentano di Joan Lui, eh sì, arrivo io… con questo.

https://www.ibs.it/leggenda-dei-lucenti-temerari-libro-stefano-falotico/e/9788855165785?inventoryId=256656577

Insomma, sono un tableau vivant, lei invece, Vittorio, è solo un bon vivant e, onestamente, fra tante cos(c)e giuste, non ha le mie car(t)ucce.

Mi spiace sostenere di essere più grande di Shakespeare.

Anche perché è vero. Ma, a differenza di Shakespeare, non sono un baronetto e devo fare un mutuo per comprarmi una nuova Fiat Punto. La vedo dura, signor Falotico, resistere a questo mondo in modo resiliente senza affidarsi alla previdenza… Sì, lo dico da me. Sapete perché? Perché così non è. Non sono mica un coglione come l’italiano medio.

Sono quello che sono, cioè non sono, poi ho sonno, domani no. Adesso, me la tiro…

Per farlo, devo indossare la mascherina? La uso solo per non contagiare gli altri. Si spaventerebbero se la togliessi. Perché sono sfregiato? No, perché nessuno è capace, in questa società dell’apparenza, di togliersela.

 

di Stefano Falotico

SACHA BARON COHEN comeback – Un genius, ma chi è/sarà costui? Mandrake? Si fa presto a dire pirla o solo BRUNO

28 Oct

Sacha+Baron+Cohen+BAFTA+Los+Angeles+Tea+Party+2fHfqg5ciiyl

No, non è un libro di Paolo Rossi. Il comico-cabarettista, non il centravanti omonimo che rifilò tre goal al Brasile nei mondiali di Calcio dell‘82. Ovvero, colui che fece piangere il grande Falcao.

Di mio, feci pena come Sylvester Stallone di Over the Top. Ma, essendo stato soprannominato come lui, Falco, feci piangere anche ogni bullo, Bull Harley e Robert Loggia di turno…

Eh sì, lo sapevate che sarei tornato in splendida forma alla pari del mitico Sacha Baron Cohen.

Quest’ultimo apparentato con altri due fratelli, come lui, geniali. Che sarà però presto, se saranno rispettati i pieni delle riprese, a prescindere dall’invalidante Covid-19, che ha messo in quarantena molte produzioni hollywoodiane in atto, per meglio dire work in progress, sì, immantinente sarà Mandrake, celeberrimo illusionista, forse più esperto di me e dello stesso Cohen, di sparizioni. Diretto da suo fratello (non lo è), ovvero Etan Cohen. Da non confondere con Ethan Hawke e naturalmente con Ethan Coen.

Di mio, fui malinconico come Leonard Cohen. Ma, personalmente, non amai mai me stesso, si chiama disistima. Non amai però neppure giammai una donna facile… da shopping di Coin.

Il famoso detto, in yoga, no, in voga specialmente a Bologna, ma chi sei Mandrake, riferito a una persona pazzesca capace per l’appunto di giochi da The Prestige superiori a ogni bischerata di Christopher Nolan e di David Copperfield, orfano di Charles Dickens, oppure ex assai invidiato di Claudia Schiffer, non è nulla in confronto alle nostre riapparizioni.

Sì, Sacha si perse in molti yacht con donne forse u po’ mig… tt’ come Elisabetta Canalis, cazzeggiando non poco. Sicuramente meno di lei, ah ah.

Fu, forse dalla stessa Elisabetta, annegato nel mare della più abissale perdizione. Affogando nell’oblio del dimenticatoio e annaspando in una carriera in apnea.

Ma, con un colpo di reni maggiore dello stacco di cosce della Canalis, riaffiorò a galla da vero gallo cedrone dopo tante limonate con questa donnona da aperitivi e mille passioni da peperina, riemergendo dalla sua stessa sommersione, probabilmente nell’ex di George Clooney, di Bobo Vieri, sinceramente di mezza Italia da Riccione sino allo stretto di Messina. Con molta più attendibilità, amata da mezzo mondo, credo anche da S. Berlusconi…

Be’, che dico? Mi comporto in maniera provocatoria come il personaggio strepitoso incarnato da Baron Cohen ne Il processo ai Chicago 7?

No, non credo che rappresenti oltraggio, forse ortaggi, alla corte e a Frank Langella il definire la Canalis una bella damigella, una vera principessa sul pi… llo.

Sì, in passato ebbi molta iella e consolai le mie depressioni a mo’ di Nanni Moretti di Bianca, leccando molta Nutella, sì, solo quella.

Fui persino bullizzato a mo’ del figlio di Tommy Lee Jones di Nella valle di Elah. Ma sono o non sono un gigante? D’altronde, buon sangue non mente. Mia nonna materna, purtroppo morta, di cognome faceva David…

Comunque, cara Canalis, le gambe della Gabriella Golia dei temp(l)i d’oro, ah che dea, non si battono.

Datti a Polifemo e lascia stare Ulisse. Però, oh issa, per te onestamente a tutti gli uomini, anche coi talloni d’Achille, r… za. Sì, mi smarrii in un’Odissea ma grazie al mio intuito fenomenale e magico, ah ah, riuscii a recuperare le mie memorie perdute da Lenny Nero/Ralph Fiennes di Strange Days, film odiato a morte da Nanni Moretti di Aprile, ritrovando la mia giovinezza smarrita e, a tutt’oggi, non dimostrando le mie 41 primavere.

Forza su, Baron Cohen è un genius mai visto.

Di mio, posso ripetervi, eh sì, voi dovete prendere ripetizioni da me, che i miei genitori e i miei amici contattarono la redazione di Chi l’ha visto?

Sì, tutti pensarono che fossi un ragazzo perso. Poi, riapparvi e stupii chiunque:

Et voilà, come per magia, rieccomi qua. Visto? Ah ah.

 

Sì, credo che Vasco Rossi, eh già, possa io accusare di plagio, eh eh.

Sì, Baron Cohen ebbe una relazione con la Canalis. Vasco, invece, con la d’Urso.

Secondo voi, infatti, Toffee chi è?

Tornando invece a Berlusconi, anche lui ebbe una relazione con Barbara. All’anagrafe Maria Carmela… Non le dedicò però nessuna canzone. Cantò piuttosto con Mariano Apicella.

Nanni Moretti invece fu Michele Apicella. E, sempre in Aprile, urlò a D’Alema:

– Di’ qualcosa.

 

Ecco, dopo essere per l’appunto scomparso dal mondo… be’, non esageriamo, fui una comparsa, ricomparvi.

Oggi come oggi, ho molti libri all’attivo. Non sono un anarchico ma, alla maniera dello stesso Cohen del film di Aaron Sorkin, sono un attivista.

Insomma, mi sono riattivato. Anche sessualmente. Avete qualcosa da dirmi? Volete fare obiezione?

Di mio, fui anche obiettore di coscienza, sì, anche di cosce. Volete che vi sia obiettivo? Obiettai troppo, perfino balbettai, blaterai e brontolai. Fui esageratamente serioso.

Se avessi fatto veramente lo scemo come Baron Cohen in Bruno, sarei stato preso più seriamente.

Sì, se sei una persona sempre seria, cioè ipocrita, nessuno ti prende per il culo. Se invece ammetti di essere depresso a morte, nessuno ti dà credito. Di mio, sì, leccai molta Nutella ma non leccai nessuno/a pur di arrivare…

Nessuna donna me la diede, inoltre. Per forza, non incontrai neppure Donatella Raffai di Chi l’ha visto? Ah ah. La Raffai fu una racchia ma vista.

Ce la vogliamo dire senza se e senza ma, senza fronzoli e c… zi vari?

Sacha è uguale a me. Vorrei che non fosse così. Invece lo è. Cohen rifiutò la parte di Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody. Bravo, non sarebbe stato credibile nella parte di un gay. Non sono comunque omofobo, non fui mai davvero social-fobico, sono un Falotico.

Sì, i giudici che, per l’appunto, “politicamente” mi vollero colpevolizzare criminosamente prima del tempo, alla pari di Frank Langella, sono inqualificabili.123067786_10217772966658750_265569664649927255_o

 

di Stefano Falotico

Il ritorno di Gary Oldman, un mio mediometraggio su Villa Clara e Letter to You di Bruce Springsteen, sempre più misticamente simile a Bob Dylan

23 Oct

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Ne vogliamo finalmente parlare di Gary?

Presto, lo vedremo in Mank nei panni dello sceneggiatore di Quarto potere.

Finalmente, il grande David Fincher è riuscito a realizzare il sogno che covava da tempo immemorabile.

Lavorare con Gary in un film da lui diretto. Inizialmente, al posto del primo Hannibal Lecter del grande schermo, ovvero Brian Cox di Manhunter, in Zodiac doveva esservi Oldman. Il quale però, all’ultimo momento, per ragioni ancora ignote, diciamo non del tutto appurate, all’improvviso diede sorprendentemente forfait.

Nel frattempo, negli anni intercorsi fra Mank e l’Oscar assegnato ad Oldman per L’ora più buia, Oldman recitò sfigurato in Hannibal di Ridley Scott. E Fincher accrebbe la sua fama, ottenendo inoltre un figurone con Mindhunter. Del quale diresse e dirigerà alcuni episodi…

Credo, in tutta sincerità, che Gary Oldman sia stato per molto tempo identificato erroneamente soltanto come villain con indole da Joker. Sebbene, nella trilogia nolaniana di Batman, Oldman fu un buon tenente e non quello di Harvey Keitel nel Bad Lieutenant di Abel Ferrara. Per l’appunto, appuntatevelo, appuntati, carabinieri e poliziotti della Critica superficiale. Non impuntatevi con prese di posizione limitate e fasciste. Gary è la versatilità fatta persona, incarnata, pareva morto e datato, incartapecorito e imbalsamato, invece resuscitò e ringiovanì di colpo come in Dracula di Bram Stoker.

Gary, figlio di un saldatore, giammai laureatosi e presto istradatosi da autodidatta.

Un duro, un’anima ribelle, ancora bello nonostante le sue non più freschissime primavere. Ah, incontrò da adolescente molti bulli. Lo so…

Assomiglia a qualcuno di mia conoscenza. Sì, questo qualcuno (che) io vedo allo specchio dalla mia nascita. Non credete?

Sì, come noi uomini sappiamo, non si può mentire dinanzi alla propria immagine riflessa.

Specchiandoci, infatti, cogliamo intimamente il silenzio del nostro vero, vivo, scalpitante e viscerale cuore specularmente simbiotico alla nostra coscienza più inesplorata, riaffiorata dal profondo…

Nella realtà di tutti i giorni, siamo spesso costretti, giocoforza, a indossare delle maschere. Per accontentare il gusto della medietà conformista, adattandoci alla tristizia dei compromessi più puttaneschi pur di essere stimati dal prossimo. Al fine di ostentare, esteriormente, la nostra immagine migliore possibile.

Sto parlando ovviamente di molti di voi. Di mio, non ho mai pensato che un uomo debba svendere la sua dignità per piacere agli altri pur di ottenere la patetica simpatia e un contentino come si fa coi bambini e, semmai, elemosinare piacevolezza da una donna, mostrandosi a lei con un look fintamente perfetto che trasudi impeccabilità morale, invero truccata.

Ma che film sarebbe mai questo che vi siete “sparati?”. Whore di Nicolas Roeg?

Sì, a causa del mio istrionismo personalissimo in linea con la mia autentica unicità indissolubile, i miei coetanei, durante l’adolescenza, credettero che fossi matto e mi consigliarono di vedere Mille pezzi di un delirio.

Essendo taciturno, mi dissero perfino: – Guarda pure Niente per bocca.

 

Al che, ne successero delle belle. Insomma, delle brutte più racchie delle ragazzine da Harry Potter, frequentate da chi mi accusò di essere agorafobico e più incosciente, poco previdente delle conseguenze come Lee Harvey Oswald di JFK.

Se ne fece un caso e voi non fate, per l’appunto, caso se mi va qui di sdrammatizzare sulla situazione assurda che involontariamente innescai, inducendo le persone ad addebitarmi la diagnosi di persona afflitta da disistima, da allucinante atimia affettivamente fredda, forse solo emozionalmente sofferente di tachicardia mancante d’empatia. Ma per cortesia!

C’è da rimanere senza parole. Ah ah. Speechless.

No, al punk di Arthur Fleck, preferisco Sid e Nancy. Mentre, a Nancy Brilli, Gilda Sbrilli. Curatrice di un’edizione dei Promessi sposi.

Ah, Orson Welles ed Hayworth Rita, la leggendaria Gilda.

Mi urlarono… sei Il mai nato. Un film pessimo. Lo andai a vedere solo perché la locandina m’attizzò.

Sì, nel poster originale viene riflessa la strega di Cappuccetto rosso sangue?

No, semplicemente una che fa sesso. Il film invece fa senso e lei non soltanto non si spoglia, bensì non sa aprirsi, a differenza di Oldman, ad una recitazione sbottonata da vetusti codici di rigidità formale assai pallosa.

Adoro Gary. Quest’uomo nevrotico, imprevedibile, che recita col cuore e non a c… o.

Quando carica da matto, no, di brutto-bellissimo da matti come per il suo epocale, gigionesco Norman Stansfield di Léon, è uno spettacolo più eccitante di Monica Bellucci dei tempi d’oro.

Lo amo quando è uguale a me in A Christmas Carol.

E quando se la ride come un pazzo ne La talpa. In cui, degl’ingordi idioti pensarono di aver compreso un mistero alla Rosebud, invece rimasero con un palmo di naso.

Cantando La Mer poiché distrutti e costernati dinanzi alla loro umana miseria oceanica.

Amo anche da morire La finestra sul cortile ma non so se The Woman in the Window sarà un bel film.

Quello che so per certo è che Amy Adams è più f… a di Grace Kelly.

No, non voglio diventare il Presidente degli Stati Uniti. E non so se sia peggio Donald Trump o se sarà ancora più scemo di lui, eh sì, Biden. Per me, quasi tutti i politici sono sporchi e meriterebbero un bidet.

Non sono comunque un anarchico terrorista come Oldman in Air Force One.

So anche che Mozart fu un genio indiscutibile mentre Oldman, in Amata immortale, sembrò una caricatura di Amadeus, sì, il presentatore televisivo. Mica quello divinizzato da Alex di Arancia meccanica. O no?

Gary sbagliò tante volte nella sua vita da fuori di testa. Perse, sì, la testa per molte donne e pensò che un genio come lui potesse accontentarsi di Uma Thurman ed Isabella Rossellini.

Sì, devo dare ragione al mio amico Ottavio. Lui crede fermamente alla dottrina gnostica. Che suddivide l’umanità in tre categorie.

1) I nani, cioè gli ilici. Il 90% delle persone. Che vivono di gelosie, invidie, corna, tradimenti e oscene competizioni superflue.

2) gli psichici. Categoria nella quale Ottavio mi annette. Cioè persone a un passo da essere elette. Spero non a capo degli States. Ah ah.

La terza categoria, comunque, il mio amico pensa che io possa raggiungere fra circa un mese.

Quando pubblicherò il mio prossimo libro.

Un libro che, alla pari di Orson Welles di Citizen Kane, ribalta la concezione di tempo e lo supera a mo’ dell’Oldman del Dracula. Abbattendo ogni barriera.

Sì, Welles è un gigante del Cinema.

Comunque, penso che questo sia un bel mediometraggio mistico-spirituale, perfino ero(t)ico, e che Bruce Springsteen, col passare degli anni, sia uno splendido fantasma ancora capace di commuovere alla maniera di Bob Dylan.

Insomma, date il Nobel anche al Boss.

Date l’Oscar ad Oldman per Mank o ad Anthony Hopkins per The Father.

A me date un bacino. Mi accontento.

Tanto, qualcos’altro, è la mia lei a darmelo(a)…

Goodnight and good luck.

Presto sarà Natale.

E vi regalerò altri sogni.

Sì, sono Clint Eastwood/Babbo Natale di Fino a prova contraria.

Se non vi sta bene, non pot(r)ete amare Gary Oldman. Dividerete le persone fra sfigati e fortunati, tra fighi e cog… ni, chiamerete l’altro orfano di madre od aborto vivente, vi odierete e non amerete, in cuor vostro, l’immagine di voi stessi che si rifletterà davanti allo specchio.

Mi spiace, non vivrete bene, non amerete non solo il Cinema.

E non sarete mai Gary Oldman, Orson Welles, Bob Dylan e Bruce Springsteen.

Per quanto mi riguardi, mi riguardo sempre per migliorare. Io sono io. Va bene così.

No, sì, no, sì, abbasso gli asini e le teste di mulo.3_Tavola disegno 1 2_Tavola disegno 1 1_Tavola disegno 1

Letter To You, recensione del grande, nuovo album di Bruce Springsteenletter-you-recensione-album-bruce-springsteen-copertina

Ebbene, il Boss è tornato con Letter To You. Un’ode alla più dolce, fosca, tenera e al contempo tenebrosa, malinconica sua reminiscenza monumentale di natura mondialmente musicale, un’epica e soffice raccolta delicata, già d’antologia, incastonata e sigillata eternamente nella mirabilissima sua rocciosa eternità perpetua ed eterea. Una carezza lieve donata alle nostre anime. Alle volte spaurite, melanconiche, altre volte grintosamente auto-echeggianti l’evocativa virtù dell’infinità (u)morale delle nostre stesse accorate sensazioni traballanti, in continuo mutamento e rigenerativa freschezza persino euforica dopo tante eclissi dei nostri cuori spezzati, oscuratisi nel buio e poi, di colpo, risorti magnificamente in gloria.

Quest’uomo immarcescibile, oramai appurata ed incontestabile leggenda vivente incarnata nel suo viso oggi smagrito, nella sua ectoplasmatica sagoma avvolta da una nebbiosa atmosfera nevosa, camminando nell’asperità romantica dei suoi perenni, giammai vinti, crepuscolari e al contempo infuocati dubbi esistenziali, pare che riemerga dalle soffuse penombre di sé stesso, incorporandosi nel revenant cantore delle sue incantevoli memorie magiche. Pietrificate nello splendore dell’adamantino rammemorare il suo e nostro cammino poetico, addirittura ambiguamente ermetico. Sobrio e lucente.

Bruce Springsteen, ladies and gentlemen, che nella copertina del suo nuovo, stupendo album imprescindibile non solo per i suoi irriducibili aficionado, ormeggiando in metaforico the river sulfureo della plumbea, “accordata” mareggiata emotiva della sua carriera oceanica, ci regala un’altra perla piena di canzoni dolcemente lievi evocanti forse A Christmas Carol di Charles Dickens, soavi come un’onirica, atmosfera natalizia, per l’appunto, appaiabile a Paul Auster o, forse, alla squisita amabilità commovente del derivatone, cinematograficamente, racconto vividamente sentito di Harvey Keitel in Smoke.

Letter To You profuma di concettuale spiritualità quasi gospel, sì, di mistica ed avvolgente, allo stesso tempo sanguigna vivacità toccante. Pare, a tratti, addirittura un moderno canto gregoriano.

Dopo Western Stars, elegia dedicata alle anime spare parts dell’infinita, folle e visionaria America forse perduta eppur combattivamente resiliente, a settant’uno il Boss si restaura nel ricordarsi, nel contemplare la bellezza sfuggevole e cangevole del tempo rivisto, introiettato e cantato con la forza ancora gagliarda della sua tempestosa leggendarietà inscalfibile ed immutata.

Cosicché, recuperando dal cassetto dei suoi stessi sogni giammai arenatisi ed assopitisi, alcune canzoni incomplete ed inedite degli anni settanta, alternandole a brani del tutto nuovi, levigati nelle sue vocali corde già, puntualmente, indimenticabili, c’allieta e culla con vibrante, senziente beltà marmorea.

Rilluminando sé stesso, estasiandoci nel far sì che, ancora una volta, possiamo immergerci attraverso lui in un altrove luccicante di lucida, fortemente impalpabile voglia di vivere e rivivere. Di amare e ricordare per rinascere nuovamente intrepidi ed agguerriti. Ancorandoci al passato per rielaborarlo, assieme a lui, in forma catarticamente suadente e morbida.

Con Ghosts supera sé stesso, mormorandoci la levità della fantasia immaginativa e della mnemonica frenesia del suo rispolverare il suo e nostro excursus insuperabilmente, strenuamente agganciato alla purezza dei nostri ricordi riscaturiti vulcanicamente in esplosiva potenza vitale, inarrendevole e, nonostante tutto, ancora intatta. Ripetiamo, immutabile.

Anche se a noi è piaciuta da morire soprattutto Song for Orphans.

Sì, Letter To You non tocca certamente le vette di perfezione stilistica di Nebraska, Bruce Springsteen non è più quel ragazzo strepitosamente e meravigliosamente scalmanato di Born to Run, ma è sempre lui.

In Letter to You aleggia anche la presenza, chissà, di un altro rocker immenso, Bob Dylan.4_Tavola disegno 1

 

di Stefano Falotico

 

Il grande, graditissimo ritorno di uno dei più grandi: ANTHONY HOPKINS, The Father… of the attori di classe

19 Oct
SILENCE OF THE LAMBS, Anthony Hopkins, director Jonathan Demme with film crew on set, 1991

SILENCE OF THE LAMBS, Anthony Hopkins, director Jonathan Demme with film crew on set, 1991

One of the greatest actors of all time, sir Anthony Hopkins, premio Oscar per Il silenzio degli innocenti, protagonista fra l’altro di The Innocent di John Schlesinger, assai probabilmente, nuovamente oscarizzato per la sua titanica, strepitosa interpretazione inarrivabile in The Father con Olivia Colman.

Gary Oldman di Mank permettendo, pare infatti che il vecchio, navigatissimo lupo di mare, Anthony, chi sennò, quest’anno potrebbe aggiudicarsi ancora la statuetta, semmai assieme proprio ad Olivia per una “doppietta” storica di Best Actor & Best Actress premiati per le rispettive prove magistrali nello stesso film. Roba grandiosa da ricordare Jack Nicholson ed Helen Hunt di Qualcosa è cambiato che primeggiarono come migliori attori nell’anno del Titanic forse glorificato in maniera eccessivamente calorosa. Ciò, se si avverasse, avrebbe del clamoroso. Ma anche del sacrosanto. Ovviamente, un “paio” che ci riporta alla mente il succitato Silenzio… per cui Anthony vinse, come già detto, insieme a Jodie Foster, sconfiggendo nientepopodimeno che Bobby De Niro di Cape Fear, Robin Williams de La leggenda del re pescatore, Warren Beatty di Bugsy e l’eterno “perdente” Nick Nolte de Il principe delle maree. Alzando in cielo l’Academy Award strameritato ed entrando subitaneamente nel mito più leggendario. Anthony Hopkins, poveri cazzoni, mica un debosciato come il 90% delle persone. Anche se, a dirla tutta, nel suo periodo più buio nel quale fu afflitto da una potentissima depressione acuta, anche il buon Anthony divenne alcolizzato quasi cronico. Salvato per il rotto della cuffia, come si suol dire, forse da una possibilissima, lancinante, perforante ulcera devastante, grazie a Johathan Demme e alle sue intuizioni prodigiose e salvifiche, oserei dire miracolose. Roman Polanski corteggiò De Niro quando fu vicino a dirigerlo in Magic. Ma, per strane circostanze del destino, la regia passò a Richard Attenborough e De Niro fu da Anthony egregiamente rimpiazzato. Prima nomination ai Golden Globe per Anthony dopo una gavetta prestigiosa di natura scespiriana in tantissime prove teatrali portentose. Lui che camaleonticamente interpretò, in lungometraggi, film per la televisione e persino fiction di bassa lega, una marea di personaggi iconici e storici realmente esistiti, vissuti davvero… da Anthony con immedesimazione strepitosa. Da Adolf Hitler a Pablo Picasso, da Nixon ad Alfred Hitchcock, da Burt Munro forse a un uomo, meno famoso del gobbo di Notre Dame, ma assai vip, cioè celebre, in quel di Montemurlo o forse di Montecarlo. Sì, Anthony può fare tutto. Può interpretare, anche a ottanta primavere e più suonate, però non da suonato, anche il ruolo di Ugo Fantozzi in un remake americano diretto non da Luciano Salce, bensì da Michael Bay che donerebbe ad Anthony la parte ingrata eppur celeberrima del ragioniere sfigato incarnato dal compianto Paolo Villaggio, allestendogli attorno micidiali sparatorie scagliategli contro da un megadirettore galattico all’urlo d’uno spaurito Hopkins, veramente “transformer”, che implorerebbe disarmante pietà da comare sicula timorata di dio e più racchia della signorina Silvani!

– Com’è umano lei! Mi perdoni padre, cioè padrone, perché ho peccato. Mi “facci” la grazia.

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Anthony, adesso silenzio, cari/e lambs, falsi angioletti e piccoli agnellini. Comunque, dopo The Father, Anthony è atteso in Elyse. Diretto dalla sua ex moglie, Stella. La storia di una donna certamente più sexy di Buffalo Bill che però vive da Elephant (wo)Man. Di mio, non sono un lupo solitario come Buffalo ma potrei essere Wolfman. Su questa freddura, vi lascio. Ora, ho da fare. Forse la mia lei, forse Lisa Pepper. Attrice il cui nome ci segniamo subito poiché mi sembra, a differenza del suo personaggio interpretato nel film succiato, tutto fuorché malata. Mi pare semplicemente bona.

 

di Stefano Falotico

THE ELEPHANT MAN, Anthony Hopkins, 1980, (c) Paramount

THE ELEPHANT MAN, Anthony Hopkins, 1980, (c) Paramount

anthony hopkins

Christian Iansante e Luca Ward? Opterei per un Falò con fascino da Ermal Meta – Presto, La leggenda dei lucenti temerari, libro cinematografico

15 Oct

Purtroppo, questa è la mia faccia.

Dico purtroppo. Mi sarebbe piaciuto essere molto brutto. Sì, non avrei sofferto. Prevedo infatti un bombardamento di cattiverie mai viste.
Oltre a quelle già ricevute.121615228_949600978862336_6049428251979352116_n

Ma guarda un po’…

Non avrei mai pensato di avere una voce da doppiatore.

Intanto, vengo giustamente corretto per aver scritto erroneamente Massimo al posto di Carlo Mazzacurati nella mia recensione di Caro diario. L’errore, anzi, il refuso ci sta. Basta avvedersene.

Peraltro, Robert De Niro in Red Lights vuol dar a vedere di essere cieco ma è cieco invece Cillian Murphy a non accorgersi di essere sensitivo quanto me. Ah ah.

Sì, va detto. Chris Walken de La zona morta mi fa un baffo.

Ora, se la bellissima Silvia Notargiacomo stette con Ermal Meta, io sono Nic Cage di Cuore selvaggio.

Credo che, in quanto a pazzie amorose, possa battere sia Adriano Celentano di Innamorato pazzo che lo stesso Cage di Stregata dalla luna.

La mia lei sostiene di essersi innamorata di me dopo avermi sentito parlare. Io m’innamorai di lei dopo averla vista…

So che vorreste non fosse vero. Invece, è roba da Verissimo…

Sì, va detto. Sono un “ignobile” bugiardo mai visto. Non per quanto concerni la mia love story, bensì perché sono più bello di Mickey Rourke ed Enrique Iglesias.

Va be’, diciamo di Mickey Rourke di oggi senza dubbio. Ah ah.

No, sono un bugiardo quando mi do dell’ignorante da solo.

Fra pochissimo, il signor Falotico si presenterà in libreria con un romanzo intitolato La leggenda dei lucenti temerari.

La postfazione è stata curata da un mio amico, D. Stanzione, critico di Best Movie.

Vi faccio qui leggere in anteprima assoluta sia la sua postfazione che la prefazione curatami dall’editor.

Le altre 260 pagine sono tutte mie.

Prefazione

Strutturata come un vertiginoso flusso di coscienza, La leggenda dei lucenti temerari somiglia a un lungo sogno lucido, in cui si fondono citazioni cinematografiche e letterarie, ritratti di sensuali figure femminili, suggerite con poche pennellate vibranti e soffuse di un erotismo a tratti crudo e angosciato.

Il linguaggio si inerpica tra vocaboli ricercati e forme arcaiche per poi scivolare in picchiata verso un registro più colloquiale e brutale.

Al filo logico del discorso si privilegia la musicalità della frase, il giocare con le parole spezzandole, creandone di nuove o esasperandone il senso.

È un periodare irregolare e inafferrabile, che bombarda il lettore di immagini e lo trascina su una sorta di ottovolante emotivo.

Chi è il “lucente temerario”?

Non è semplice decifrarlo, a meno che non si accetti di essere travolti dalla voce narrante, che nel corso dell’opera sceglie diversi alter ego per farsi rappresentare, che si tratti del personaggio di un film o di un romanzo.

Una voce, quindi, multiforme ma al contempo sempre coerente con se stessa.

Emerge in modo prepotente un’invettiva nei confronti di un certo tipo di umanità, intrisa di valori borghesi e percepita come ipocrita e repressiva.

Il “lucente temerario” sembra essere consapevole della sua condizione di outsider, di freak, ma non ha nessuna intenzione di scendere a compromessi o di occultare la sua natura.

A un certo punto il narratore si definisce: «Solo, solissimo, eterno e non so dove».

La solitudine talvolta è una condizione inevitabile ed è palpabile anche negli intermezzi erotici, nei lunghi monologhi simili a lettere aperte che il narratore rivolge alle donne che ammira, desidera ma con le quali non sempre riesce a stabilire il “discorso amoroso” ideale.

«Che cos’è la vita se non un girarci attorno, negli orli folli e anche oscuri di amori smidollati?»

Lo slancio vitalistico, adolescenziale, verso il sesso è una sorta di antidoto a un modo di vivere che mette al primo posto il denaro, il successo, l’apparire e che non consente all’individuo di essere libero nella sua diversità.

Alle maschere imposte da una società che identifica l’individuo con la sua posizione lavorativa, il ruolo che gli è stato cucito addosso e non con la sua interiorità, si contrappone la maschera del personaggio cinematografico.

A volte è il guascone da film d’azione, altre volte una scheggia impazzita di una pellicola di Lynch, oppure un ibrido tra Rocky Balboa, il “perdente” animato da un fortissimo desiderio di riscatto, Dracula e il Cappellaio Matto.

A conclusione di questo percorso allucinato e onirico, il “lucente temerario” non è più solo, ha trovato altri individui che vivono la sua stessa sorte e l’io narrante solitario diventa un “Noi” e il monologo si fa proclama e manifesto di una condizione umana.

«Il vivere per piacerci, non per il “piacere” d’un clero ammansito».

Questo è, se non il fulcro, uno dei perni principali del loro pensiero.

Un inno alla libertà individuale, insomma: dionisiaco, enigmatico e tortuoso, ma non privo di un velo di crepuscolare tristezza.

Postfazione

Al cospetto dello stile de La leggenda dei lucenti letterari è legittimo rimanere sbigottiti e tramortiti, come se si viaggiasse dentro un incubo nottambulo in cui i confini dell’immaginazione e della supposta realtà si logorano, sfibrano e frustrano vicendevolmente.

Tutta la letteratura barocca è stata sempre condizionata dal bisogno di fantasticare, di azzardare slittamenti progressivi del piacere per non affondare nelle paludi del già visto e del già noto, di inseguire la bizzarria fantasiosa ed esagerata per esaltare il potere generativo ed eccessivo della follia che cova sotto la superficie di ogni fragile, rassicurante e infingardo ordine sociale.

In un momento storico in cui quasi tutti ci crediamo eccezionali anche senza particolari meriti, e strepitiamo per fare sentire la nostra voce, la prosa di Stefano Falotico tenta un’altra via, più rischiosa e più ardita: si ritaglia un cantuccio sincero e insanguinato, non mira alla comunicazione diretta e immediata, alla leggibilità veloce e istantanea in barba alla complessità, ma si affida al potere vorticoso fascinoso di un turbinio di evocazioni da smembrare, poi ricostruire, con un coraggio autolesionista che è insieme balsamo di libertà e senso di dannazione autodistruttiva che si tocca con mano lungo tutto il testo.

Casualmente, la citazione di Emily Dickinson che apre il libro, «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere», è in perfetta sintonia con la dichiarazione d’intenti – lucente, letteraria, temeraria – di un testo che si consegna senza paraurti, indifeso e incandescente, ai sensi delle parole e alle parole dei sensi, come una lama elettrificata e ancora rovente che affonda nella nuda pelle della percezione delle lettere, riga dopo riga, ma soprattutto spasmo dopo spasmo.

Un gesto eversivo nel senso più antico e piacevolmente desueto del termine, di anarchia fuori dal suo tempo e dalle mode, che tiene insieme gli inciampi più vergognosi e inconfessabili dell’erotismo maschile, i tradimenti degli ideali e delle norme, il candore luciferino di un confessionale privato dove ogni nevrosi e angoscia può trovare asilo, in una sorta di porto franco marchiato a fuoco dai demoni dell’insonnia.

Con, a fare da collante, in filigrana ma forse spudoratamente in primo piano, la forza sotterranea e salvifica del cinema e della letteratura che, in una sorta di mostruosa ma benefica simbiosi mitologica a chissà quante teste, si nutrono di isolamento e disagio e lo risputano sotto forma di carne viva, tremante e oscena.

Davide Stanzione*

*Fondatore e redattore del dizionario di cinema online LongTale, è critico cinematografico e firma del mensile di cinema Best Movie e collaboratore del sito di cinema The HotCorn Italia.

Dal 2018 è selezionatore del Sulmona Film Festival.

 

Ecco a voi il trasformista. Folle alla miglior Cage, deniriano. Completamente fuori.

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I migliori film sulle pandemie (il Covid-19 è ritornato come nei nostri incubi peggiori…), ieri fu la giornata mondiale “dedicata” ai disturbi mentali e i best movie sull’argomento

11 Oct

nielsen pazzo del mondo

francesco-bottonecontagion matt damonLe notizie mondiali sono sempre più allarmanti. E il Coronavirus si sta nuovamente diffondendo a macchia d’olio, seminando morti a non finire, ahinoi.

Ma non v’è nulla, invero, di cui preoccuparsi. Gli scienziati, i virologi e i cosiddetti esperti in materia lo predissero che, con l’inoltrarsi dell’autunno, il Covid-19 si sarebbe ripresentato con una nuova ondata di contagi(ati). Un’ondata meno potente della prima, certamente. Pur sempre, però, disagiante.

In queste cruciali ore, il governo Conte si sta riunendo per attuare delle nuove normative al fine di constatare, contrastare una malata situazione, anche italiana, sempre più angosciosamente mortificante…

Ho inserito i puntini di sospensione per creare la suspense… ah ah.

Pare che, prossimamente, saranno previste multe assai salate emesse a danno di chi, in barba alle disposizioni e limitazioni della libertà personale che, senz’ombra di dubbio, saranno virate e fortemente intraprese, non indosserà la mascherina non soltanto nei locali pubblici, bensì anche all’aperto.

Peraltro, i locali non potranno rimanere aperti, dunque frequentati dalla gente, oltre le 23.

Tamponare… il contagio si sta rivelando inutile. Darci la caramellina di un’altra estate limpidamente vitale, non evitò che ogni piacere condiviso fosse “evirato”. La moderazione non servì a impedire che il virus e la sua inevitabile, nuova diffusione, ancora si spandesse, si spargesse e sotto la pelle si propagasse. Di amuchina, cospargetevi. E voi, ipocriti, alla domenica mattina, intingete la manina nella vostra acquolina in bocca benedetta.

Una castrazione psicologica a base di altissima, assai grave, emotiva sedazione, ci aspetta. Come nella seconda legge della termodinamica (entropia!), rivista in forma negativa, le profezie all’apparenza più ridicolmente millenaristiche e pessimistiche si stanno trasformando in una nucleare “fusione”, potremmo dire, di notizie confuse e patetiche che vengono trasmesse dai mass media per tranquillizzarci con fake news distorsive la verità affinché l’umanità, scioccata e impaurita, possa sentirsi come i passeggeri de L’aereo più pazzo del mondo quando venne chiesto al comandante Leslie Nielsen se il velivolo con loro a/in carico stesse precipitando. Leslie fieramente affermò che la situazione fosse assolutamente sotto controllo mentre, all’unisono, allo scandire delle sue parole capziose, il suo naso, a mo’ di Pinocchio, gli crebbe.

Suscitando ilarità generale presso gli spettatori che, dinanzi a una genialata demenziale del genere, smisero di sudare freddo, liberandosi euforicamente, attraverso una risata eccezionale veramente, de/alle frustrazioni della loro grigia vita quotidiana non propriamente eccelsa. Assai divertendosi, le persone si distrassero estemporaneamente dalle loro precipitazioni, no, preoccupazioni di pagare le bollette. Se il film con Nielsen e il grande Guttenberg di Scuola di polizia fosse uscito oggi, la gente, dirimpetto a qualcosa di più fenomenale della battuta fra Martin Sheen e suo figlio Charlie in Hot Shots 2, si sarebbe ricordata di buttare via i cellulari alla maniera di Robin Williams di Hook – Capitan Uncino. Comprendendo, in quel momento di libertà goliardica assoluta, che la vita è sacra, appesa a un filo e non vale la pena dolersi se, su Instagram, la tua fidanzata abbia messo un Mi Piace sospetto a un uomo conciatosi come Dustin Hoffman di Tootsie o come lo stesso WIlliams in Mrs. Doubtfire. Fra stories nascoste, spie russe da Guerra Fredda, Salvatore Aranzulla che insegna ai pensionati come spegnere un iPhone e una pietosa, assai penosa condizione umana completamente incapace di amare M.A.S.H. di Robert Altman o di comprendere Animal House, a un certo punto arriva uno, il sottoscritto, che fa una battuta così:

nel mondo, almeno nei paesi sviluppati, ogni famiglia possiede due utilitarie e quattro Android. Rutger Hauer di Blade Runner, invece, fu un androide, non possedette nessun accessorio della Samsung e non ebbe neppure la patente B. Anche perché gli fu tolta dalla motorizzazione di Ritorno al futuro 2 e de Il quinto elemento. Ma fu un genio lo stesso.

Al contempo, una volta la gente moriva solitamente attorno ai sessant’anni per cause naturali dovute alla vecchiaia.

Oggi, a circa 80 anni, Harrison Ford interpreterà Indiana Jones 5 ma, anche se “usassimo” lo Stargate di Roland Emmerich, non riusciremmo ugualmente a ringiovanire James Spader e a renderlo meno ingessato, nella sua recitazione legnosa, dal sembrare un faraone egizio che reciti peggio di Tom Cruise ne La mummia.

La mia amica Vera Q. scrittrice satirica d’inappuntabile stile pungente, su Facebook scrisse ciò, ieri sera:

Oggi è la giornata mondiale dei disturbi mentali.

E ho letto parecchi post in proposito. Profondi, e scanzonati. Ed ho apprezzato le battute, del resto la vita stessa è un disturbo mentale, non ha alcun senso se non il banale rotolare nella fossa, unica cura, e dunque, ben venga scherzarci su.

E però mi piacerebbe per una volta essere seria sull’argomento, siccome, per troppi motivi, conosco il tema.

E non è per nulla affascinante. Perché il disturbo mentale comprende anche la gamma del ritardo e del disturbo neurodegenerativo, che no, non conquistano quanto le psicosi da Criminal Minds.

E diciamolo: Hannibal Lecter ci ha ammaliati tutti. E pensare che può bastare un’aggressione qualsiasi dell’encefalo, come accade in alcune malattie infettive gravi con febbre alta, per giocarsi la famigerata normalità, termine che piace assai. Ai cosiddetti normali.

Io ho conosciuto persone con disturbi regalati da malattie di infanzia, da ghiandole dai nomi assurdi, da abuso di sostanze tossiche e soprattutto da farmaci comuni, e poi dalla sfiga.

E già, la cara vecchia sfiga.

E infatti la psichiatria e la neurologia si sono salutate andando ognuna per la propria strada: mente e cervello non sono la stessa cosa.

Insomma, si sa poco quando si inneggia alla sfiga.

Ma la scienza concorda sul fatto che, per pronunciare la diagnosi di disturbo mentale, ci siano in gioco più fattori di origine biologica, psicologica e sociale.

E quindi, il suddetto squilibrio finisce nel calderone dei grandi boh.

Ed io, alla faccia dei professoroni, nel mio piccolo ho risolto: tolgo il disturbo sintonizzando il decoder.

 

Di mio, tolsi Sky perché costava e costa ancora troppo. Va costato, nei costati, no, constatato. Ma ho i bluray di Taxi Driver, di Joker e di tutti i film di Woody Allen ancora nel cellofan sigillati.

Non li apro perché potrei rovinarli. Nella mia casa, ci sono tremila libri. Non li rileggerò. Anche perché, così come sostiene il mitico Max Cady/Bobby De Niro di Cape Fear, li ho già letti.

Ci sono anche dei gialletti e non mi piace Marco Giallini. Giallo di Dario Argento è un film che fa paura… da quanto è brutto ma, nonostante Dracula 3DNon ho sonno e Il cartaio, Dario Argento rimane un genio. Be’, in Italia, una persona su tre ha letto un libro di Stephen King almeno una volta in vita sua. In Italia, però, se una persona scrive un libro più bello del miglior Stephen King, non ha amici e viene considerata pazza. Poiché è “sano” cantare con Tiziano Ferro e, alla domenica, essere “fighe” come Silvia Notargiacomo che, in radio, dice… nella lasagna ci vuole la besciamella, è la morte sua!

Con sommo dispiacere, mi spiace anche tristemente ammettere che Chris Walken e Bob De Niro non sono/siano né saranno più gli stessi.
Anche loro imborghesiti e vecchietti.

Chi ha orecchie per intendere, intenda. Voi, dietro le tendine, fate quello che volete/vogliate e deridete i pagliacci da tendoni da circo. Evviva La leggenda del re pescatore!

Cosicché, nel bel mezzo del cammino della mia vita, mi trovai/o dinanzi a un buio, no, a un bivio. Dovetti, devo, dovrò compiere solo una scelta possibile. Inevitabile.

Ebbi, ho due alternative. O essere Clint Eastwood del finale di Million Dollar Baby oppure quello di Gran Torino.
Di solito, sono scherzoso.war with grandpa de niro walken walken de niro war with grandpa

sandersStavolta, no.

 

di Stefano Falotico

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L’amore vince su tutto: se Fedez forse non tradirà mai la Ferragni, il grande ROCKY BALBOA visse per Adriana e non la tradì neanche da morta, ci avevate mai pensato?

05 Oct

rocky tommy gunnstanzionerocky davide daltri

Alla Bacinotti, detta La Baci, preferisco la bici? Non credo.

Al bacio al cioccolato, comunque, preferisco il pistacchio.

Sceriffo Teasle: – E vorrebbe dirmi che duecento uomini contro il suo Marine sono nella posizione di non poter vincere?

Trautman: – Se ci manda tanti uomini non dimentichi una cosa.

Sceriffo Teasle: – Che cosa?

Trautman: – Una buona scorta di barelle.

Per quanto tempo, su R 101, Silvia Notargiacomo e Francesca Bacinotti leggeranno il gobbo gossiparo per illustrarci della storia d’amore (?) tra Fedez e la Ferragni?

Di mio, ho sempre considerato Ryan O’Neal un grande e Love Story un bel film, a differenza di Ghost.

Guardando invece Al Pacino in Bobby Deerfield, debbo ammetterlo, credetti di essere omosessuale come Gabriel Garko. Perché Al, in questo film, è più figo che in Crusing. Ah ah.

Anni fa, da Bruno Vespa, Vittorio Sgarbi litigò furiosamente con Garko. Invece, Elenoire Casalegno forse litigò con Matt Dillon di In & Out? Ah ah. Be’, se avesse litigato con quello de La casa di Jack, avrebbe potuto anche non bisticciarvi, diciamo. Tanto lui l’avrebbe ammazzata ugualmente. Se invece la Casalegno avesse incontrato il Dillon di Fort Washington, non si sarebbe arresa dinanzi alla schizofrenia di Matt e l’avrebbe lo stesso amato come Jennifer Connelly nei riguardi di Russell Crowe di A Beautiful Mind. Cioè, alla follia. Ah ah. Se la Casalegno avesse incontrato il Dillon di Singles, l’avrebbe lasciato dopo tre giorni e si sarebbe chiusa, non solo in casa, depressa a morte, riascoltando tutta la peggiore, dunque migliore musica grunge malinconica per ritrovare i(l) Nirvana. Invece, se avesse incontrato il Matt di Rusty il selvaggio, credo che sarebbe andata con suo fratello, cioè Mickey Rourke. Voi dite di no? Non diciamoci stronzate. Se la Ferragni avesse incontrato il Rourke dei primi anni ottanta, avrebbe lasciato Fedez dopo tre secondi netti. Peraltro, Rourke non stava messo male a soldi.

La Notargiacomo e la Bacinotti sono due donne molto sexy, la seconda però, anziché avere una voce calda e dunque radiofonica, come si suol dire, appena apre bocca, mette solo voglia di amare Piccolo Buddha di Bertolucci. Poi, se la vedi su Instagram, senza che lei minimamente fiati, è mozzafiato. Sì, ottime gambe, seno esplosivo, una bionda da leccarsi i baffi.

Ecco, dopo queste gustose freddure in puro stile Falotico, ne aggiungiamo un’altra. A 13 anni, dopo la licenza media, rimasi innamorato d’una delle mie ex compagne di classe delle medie. Lei s’iscrisse all’istituto per geometri, il Pacinotti di Bologna. Io, invece, dopo mille delusioni, amai da morire Al Pacino di Serpico.

Cavolo, ne so una più de L’avvocato del diavolo. Ah ah.

So farvi sempre ridere ed essere autoironico sulle mie sfighe. Sulle mie fi… e, sono molto serio. Ecco, cerchiamo di fallo, no, difatti… di mantenere un atteggiamento da duro… non lasciamoci intenerire da troppi ricordi da rompiballe. Ah ah. Credo di credere all’amore nonostante le inculate bestiali ricevute. E dire che non sono gay passivo. Ah ah. Neanche attivo. Tant’è che, qualche anno fa, vollero affidarmi all’assistenza sociale. Per fottermi di più? Ah ah. Sì, ci sono cosiddetti tutoralias educatori, che tradiscono le mogli con le ragazzine malate di mente da loro prese in cura, forse sotto gamba. Eh già, codeste ragazze, apparentemente sprovvedute, sputtanano tali pedagoghi della mutua e li fanno impazzire. Ah ah. Sì, infatti costoro sono sempre affiancati da uno psichiatra. Ah ah.

Sono uno dei pochi uomini che ama Pier Paolo Pasolini ma solo dal punto di vista del lato artistico e non del lato b, a differenza di Ninetto Davoli. Willem Dafoe interpretò Pier Paolo per Abel Ferrara. Massimo Ranieri invece per David Grieco. Scusate ma il Ranieri de La patata bollente non piaceva evidentemente ad Edwige Fenech ma forse sarebbe piaciuto a Giacomo Leopardi. Sì, diciamocela, la celeberrima Silvia di Leopardi fu usata a mo’ di copertura alla pari di Eva Grimaldi e Manuela Arcuri con Garko. Basta, fermatemi! Ah ah.

Uh uh, che diavolaccio che sono. Il mondo è pieno di maligni, non esiste solo il Maligno. E io ho un diavolo per capello. Ah ah. Molti anni fa, mi piacque molto Luisa Ranieri, poi compresi che era, fu, è e sarà un’attrice solo del cazzo. Ah ah. Luisa s’innamorò di Luca Zingaretti dopo averlo ammirato ne Il commissario Montalbano. Se l’avesse visto in Vite strozzate e ne Il branco, avrebbe cantato con Adriano Pappalardo di Ricominciamo. Ah ah. E Luca, consapevole di essere stato uno stronzo, avrebbe urlato a squarciagola con questa.

Credo di essere stato sempre molto più avanti rispetto ai miei coetanei. Ai tempi delle medie, infatti, mentre quelle della mia età adoravano Claudio Baglioni, io amavo questa canzone:

Nel ‘92, il Festival di Sanremo fu vinto da Valerio Mastandrea de La prima cosa bella. Cioè Luca Barbarossa, ah ah. Non so, comunque, se Paolo Virzì dedichi alla sua Micaela una canzone di Eros Ramazzotti oppure questa:

Comunque, Sylvester Stallone di Rambo è ascetico. Mentre quello della saga di Rocky è forse l’uomo più romantico di sempre. Non tradisce mai Adriana. Nemmeno da morta. Rocky non è soltanto una storia di sconfitta e redenzione commovente over the top. È la storia di un “fallito”. È la storia di un uomo, la storia di un uomo… come Il grande Lebowski. È la storia di un uomo che accetta ogni provocazione e colpo basso. Ma è una grande storia d’amore soprattutto, ripeto.

Ora, molti mi chiedono come abbia fatto a essere piaciuto e a piacere alla mia lei.

Risposta: – L’ho vista e le ho detto che volevo baciarla. Non solo baciarla, direi che mi sono spinto oltre…

– Eh, chi sei? Alain Delon?

– Alain Delon ha più di ottant’anni.

– Ma va’, va’. Chi sei? Una viene con te perché sei, saresti più bello mentre gli altri devono farsi il culo per essere amati?

– Significa che non amano, sono dei leccaculo.

Comunque, appoggiato dalla mia lei, sto terminando Bologna insanguinata. Libro di circa 300 pagine che disaminerà amori, imbrogli, reati, ipocrisie, delitti efferati avvenuti nel capoluogo emiliano che mi diede i natali. Un excursus mai visto, soprattutto letto, su Bologna e dintorni. Dall’Uno Bianca di Castelmaggiore a Villa Clara, da Marco Dimitri alla strage della Stazione Centrale, da Andrea Roncato a Pupi Avati, dalle scuole Guido Reni alle Salvo D’Acquisto, dai licei Galvani e Minghetti al Sabin e al Copernico, dal Righi a una che amò i Righeira ma non andò mai in riviera, dai suicidi indotti dal bullismo alle persone rinate grazie al loro devastante e ribaltante colpo inaspettato da gancio sinistro micidiale e geniale alla Balboa.

Nel frattempo, D. Stanzione, critico di Best Movie e mio amico, mi ha promesso che stasera mi manderà, in allegato PDF, su Messenger, la prefazione da lui curata del mio prossimo libro pubblicato dalla Kimerik Edizioni. Fenomeni e campioni, chi sono io? Nessuno. Sono uno che, per colpa d’imbecilli, si beccò una diagnosi totalmente sbagliata. Nessuno al mondo resiste a una mostruosità del genere. Nessuno tranne John Rambo.

Cari idioti, ora vi do una Bacinotti e un bacino. Siete felici o volete un altro mio (s)gradito regalino? E quella Notargiacomo la dovrebbe finire di parlare in radio solo di lasagne. Avrebbe bisogno di una besciamella e so io di cosa. Densa e granulosa. Dolce e cremosa. Oserei dire, voluttuosa e associata a qualcosa di grosso, diciamo, molto voluminoso.

 

di Stefano Falotico

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