Archive for February, 2020

La top ten dei miei film preferiti dello scorso anno: siamo sicuri che sia così insuperabile il Cinema orientale? Mah, forse sì


13 Feb

exiledPremettendo che ancora non vidi (sì, uso il passato remoto apposta) Parasite, domenica scorsa assistetti al colorato discorso di Federico Frusciante su Tetsuo di Tsukamoto. Che è giapponese come Takeshi Kitano. Fuori dal Mikasa Club, ove si tenne la sua presentazione cinematografica, gli accennai brevemente proprio in merito a Kitano. Chiedendogli espressamente se consideri Achille e la tartaruga un grande film. Lui mi rispose:

– Be’, è Arte pura.

 

Il che significa tutto e significa al contempo nulla. Vi fu un tempo in cui Kitano fu un regista indiscutibile.

Ci furono però annate, prima della sua sottovalutata trilogia di Outrage, in cui molti dubitarono della sua genialità. Poiché, sebbene largamente apprezzate, pellicole troppo personali come Takeshis’ e Zatôichi, più che Arte pura, apparvero sinceramente coma masturbazione mentale impura, nel senso non di atto impuro, bensì di opere imperfette e/o irrisolte.

Forse, concettualmente geniali ma talmente, per l’appunto, ermeticamente agganciate alla sua poetica soggettiva che, agli occhi anche dei suoi fan più sfegatati, sembrarono di primo acchito, più che figlie del genio, partorite semplicemente da un neuronale blob kitaniano di matrice ghezziana.

Infatti, al caro Enrico Ghezzi piacquero da morire e, più del dovuto, le magnificò ed eresse, forse erse, ah, i dubbi da Hermann Hesse, in auge.

Ora, chiariamoci. Non è vero, a differenza di come, in tal caso non semplicemente, bensì un po’ semplicisticamente, generalizzò Frusciante, ma lo capisco, fu costretto per brevità a eccedere di sbrigatività, che i film provenienti dall’Oriente siano superiori a quelli occidentali per il semplice fatto che, nelle terre del Sol Levante, non s’è avvezzi all’italiota manicheismo e al più becero qualunquismo. Spesso relativistico.

Dobbiamo dirci la verità senza farci prendere e assalire da esterofilie e orientali manie connotate di semplicismo e superficiale esaltazione anti-patriottica. Non facciamo i leninisti, sì, è vero, basta coi vetusti latinismi ma dovremmo smetterla anche col dire che, a proposito de L’insostenibile leggerezza dell’essere, l’ex stupenda modella tedesca Tatjana Patitz, solo perché diretta da Philip Kaufman in Rising Sun con Sean Connery e Wesley Snipes, sia meno affascinante di Céline Tran, in arte, qui eccome se impura, ribattezzata Katsuni.

Nel lontano 2006, per esempio, chiesi a un mio amico di Monselice, del quale già vi parlai innumerevoli volte, perché mai considerò Katsuni più sensuale delle super statunitensi attrici altrettanto non geografiche ma solo pornografiche.

– Perché mai – gli domandai, infatti – Katsuni ti piace di più delle sorelle Ashley e Angel Long?

 

La sua risposta fu questa:

– Perché sono un uomo da Tokyo Fist e da Tokyo Decadence. Sto anche scrivendo un libro intitolato Tokyo nera in cui parto da Paperino della Disney per arrivare a un delirio e trip visivo-letterario da Cinema di Takashi Miike.

 

Gli replicai così:

– Non è che invece, più che uomo da Sonatine, sei già molto suonato e, più che amante della bellezza non solo femminile, bensì artistica e in senso lato, non intendo quello b, inoltre più che essere tu un esistenzialista malinconico alla Hana-bi, sei invece in fin dei conti il miglior amico del Beat de L’estate di Kikujiro?

– Che vorresti dire, Stefano? Che sono un bambino?

– Voglio dire che la bellezza non ha confini erotici, no, esotici. È bona Katsuni ed è molto buono il romanticissimo Dolls, però sono buone anche le sorelle Long.

– Ah, Stefano, tu la sai lunga…

 

Ecco, detto ciò, dopo questa mia spiritosaggine, più che da Philip Kaufman, da Jim Carrey di Man on the Moon, cioè Andy Kaufman, a essere proprio sinceri, i film di Ki-duk Kim sono noiosi non perché noi siamo italiani e quindi fatichiamo a capirli. No, non è per questo. I film di Chan-wook Park sono decisamente più belli. Ed entrambi, guardate bene, sono cineasti sudcoreani.

Ora, in Italia abbiamo quella merda del Festival di Sanremo, le polemiche su Morgan, i cachet esagerati a Benigni da Zio Paperone, l’esagerata e plastificata, esaltata Diletta Leotta (comunque una carina Minnie con grosse minne per ogni Mickey Mouse che si crede un latin lover come il Mickey Rourke che fu), abbiamo gli improponibili Gabriele Muccino, troppi cappuccini e quella Nonna Papera, che si crede pure figa, di Paola Cortellesi.

Dobbiamo però anche dire che l’Italia e il nostro Cinema possono vantare film, sebbene pochissimi, che riuscirebbero benissimo, già peraltro alla grande riuscirono, a rivaleggiare nelle maggiori competizioni perfino coi migliori film cinesi, thailandesi, nipponici e via dicendo.

Per esempio, Lo chiamavano Jeeg Robot, solo perché fu scritto da un guaglione dal cognome Guaglianone, non potrebbe battere, secondo voi, in un solo colpo da Ken il guerriero, maestro della sacra scuola e disciplina di Okuto, Ronin di John Frankenheimer? In effetti, no. Ah ah.

Ecco, ciò per dire che esistono i grandi capolavori della Settima Arte orientale ma non è vero che il Cinema migliore sia soltanto quello oltre i nostrani confini e quelli statunitensi.

Non facciamo di tutta erba un fascio, amico Frusciante.

Ecco comunque la mia top ten in ordine sparso:

Joker di Todd Phillips: quando Arthur Fleck, poco prima di ammazzare sua madre, cammina con l’impermeabile in stile Unbreakable sotto la pioggia notturna, la fotografia acquosa e molto piovigginosa, su luci al neon fluorescenti e melanconiche, batte ogni frame di tutte le pellicole di Kar-Wai Wong.

Dunque Richard Jewell di Clint Eastwood. Con tutto il bene che voglio a Scorsese e a Tarantino, il film di Eastwood è più struggente, in una parola, più bello di The Irishman e più tragico di C’era una volta a… Hollywood.

Ecco, finita la top ten.

– Che cosa? E gli altri otto film dove li hai messi?

– Ecco, ragazzo, conosci il dialogo finale di Per qualche dollaro in più?

Colonnello Mortimer: Che succede ragazzo? Il Monco: Niente vecchio, non mi tornavano i conti. Ne mancava uno.

– Qui ne mancano otto, però. Stai scherzando, vero Biondo… tu… mi vuoi fare uno scherzo, eh?

– Non è uno scherzo, è una corda. Su, avanti, mettici dentro il collo, Tuco.

 

Insomma, Il buono, il brutto, il cattivo è onestamente più bello de La tigre e il dragone.

– Ma che risposta è, amico? Che pensi di essere il più bello?

– No, figurati. Non lo penso affatto. Ci mancherebbe. Lo sono.

Toglimi però una curiosità. Davvero tu pensi che ogni film orientale, anche il più trash, sia sempre inappellabilmente meglio di ogni altro film di un altro continente?

– Sì, credo proprio di sì. Perché sono più intelligente degli altri e questa è la verità.

– Perfetto, apposto. Dunque, sei più scemo di quello che pensavo.

Spesso, amico, assomigli a Kitano. Non come regista ché non si discute. Per quanto invece riguarda la sua recitazione come attore, eh sì, è più espressiva la facciata di una stampante degli anni novanta.

– Ma che ne vuoi sapere tu di Cinema orientale?!

– Mi ricordo che vidi Exiled del grande Johnnie To al Festival di Venezia del lontano 2006. Magnifica storia d’amicizia girata con riprese alla Michael Mann e un finale tarantiniano alla Sergio Leone.

Amico, invece che ne pensi di Windtalkers di John Woo? A me ha sempre commosso la scena nella quale Joe Enders/Nicolas Cage osserva, stupito e incredulo, Ben Yahzee/Adam Beach che prega il suo dio. Insomma, due culture agli antipodi che d’empatia si compenetrano. Poiché forse l’amicizia e l’umanità, l’amore e il dolore della condizione umana sono un libro di Yoshimoto Banana.

– E noi due invece chi siamo? Jean Rochefort e Johnny Halliday de L’uomo del treno (L’homme du train) di Patrice Leconte?

– Mah, amico, a me dicono che sia un bimbo favolista da Fantaghirò. Detta come va detta, Alessandra Martines, la donna del Leconte, m’ha sempre eccitato oltre ogni Racconto dei racconti da Garrone.

Quindi, vedi di non farmi girare i coglioni perché, altrimenti, potrei diventare Johnny Halliday di Vendicami.

– Ah, certo che tu ne sai di Cinema. Comunque, è meglio Ryan Gosling di Solo dio perdona.

– Può essere, non lo so. Adesso, ficca nel lettore dvd il film Brother.

– Ah, te la tiri da Alain Delon di Frank Costello faccia d’angelo, invero sei solo un coglioncello.

– Invero, Alain annunciò il suo ritiro ma dovrebbe invece presto girare il nuovo film del Leconte con Juliette Binoche.

– Che vuoi dire?

– Che Juliette è bella.

 

 

di Stefano Falotico

zatoichi

kitano

samourai delontatjiana patitz

Martin Scorsese, il grande sconfitto della Notte degli Oscar, forse delle sue insonni, tormentate notti


11 Feb

fuori orario

Amici, vi do il benvenuto nel mio nuovo profilo. Che intende mantenere una linea piuttosto coerente con la mia anima noir. Che è una cosa ben diversa da anima nera.

Il noir mi entusiasma. Anni fa, pubblicai anche un libro intitolato Noir Nightmare, raccolta di racconti onirici intrecciati alla mia mente che, d’intersezioni sinaptiche, fra neologismi da me coniati persino fuori tempo massimo, allestì una silloge strana e bizzarra. Accordata alla mia anima romantica. Scrivendo termini come freneticità Che non esiste in italiano, si dice per l’esattezza frenesia. Ma freneticità mi diede il senso di movimentata malinconia mista a ilarità, di visionaria ebefrenia mescolata alla più avveniristica fantasia.

Si può dire invece ferocità al posto di ferocia. E forse nella mia prossima, letteraria copertina, chissà, sarà stampata e vertiginosamente si staglierà, in tutta la sua immensa bellezza statuaria, una donna di nome Elenoire.

Ah, già il nome Elenoire ricorda la dolcissima Lenore di uno dei massimi capolavori di Edgar Allan Poe, ovvero Il corvo. Da non confondere col film di Alex Proyas anche se, a ben vedere, il/la graphic novel da cui fu adattato il cult con Brandon Lee, eh già, non fu solo tratto da James O’Barr, bensì fu anche reminiscente della novella di Poe. La storia di un uomo oramai morto che non vuole più essere rinascente.

Poiché vivere davvero comporta rivivere emozioni che potrebbero, sì, tanto piacere, ma anche tanto dolere. Insomma, amare ancora la vita e non solo quella, potrebbe darti godimento, altresì potrebbe cagionarti altri gravi tormenti. E, ancora una volta deluso a morte, potresti impazzire e diventare un malato di mente. Per resistere al dolore della vita, dunque ai suoi (dis)piaceri.

Lo sa Bob De Niro di Nonno scatenato. Uomo stronzo ma anche molto colto che affascina la giovanissima Aubrey Plaza, eccitandola nel citarle proprio Lenore de Il corvo.

Sì, m’innamorai di De Niro dopo aver visto, in una galassia assai remota del mio aver già perso la luce dei giorni, giammai però sputtanandomi da perdigiorno, per la prima volta Taxi Driver.

Da lì non risorsi, anzi, ancora di più m’immalinconii nelle notti mie più torbide, assumendo nel quotidiano un’espressione accigliata e torva.

Furono notti da After Hours nelle quali, grazie al mio black humor proverbiale e unico, sdrammatizzai ogni mio senso di colpa da Nicolas Cage di Bringing Out the Dead, per l’appunto.

Nic, nel succitato film, si colpevolizzò oltremodo per non essere riuscito a salvare una ragazzina entrata in overdose. Di mio, divenni malato di complesso di colpa, malgrado in vita mia non mi sia mai drogato, tantomeno fui sottopagato. Spesso però da nessuno fui cagato. Cosicché, ingiustamente colpevolizzato, disintregrato e accusato di essere troppo un bravo ragazzo, molte malelingue credettero che mi sarei dato alla malavita, ammanicandomi ai Goodfellas. Che felloni questi qua che non amarono il mio essere falotico e mi considerarono, precocemente, un uomo già finito e fallito.

Godetti invece immensamente dei miei pleniluni ma fui spacciato per un solitario lupo.

A parte gli scherzi e la verità, poiché tale è e mi pare giusto non rinnegarla, bensì mi sembra davvero doveroso, oh sì, confessare ogni mio conflitto psicologico come Harvey Keitel di Mean Streets, mi parve anche abbastanza ovvio che The Irishman non vinse nessun Oscar. Non vi pare ovvio? Oggi, io vi paio un uomo? Non lo so, lo sapete voi.

Scorsese già, difatti, vinse per The Departed e l’Academy è da sempre restia a dare un secondo Oscar a distanza di poco più di un decennio. Infatti, Eastwood vinse la statuetta per Gli spietati e dovette aspettare circa quindici anni per rivincerla con Million Dollar Baby.

De Niro fu escluso dai candidati dei migliori attori protagonisti.

Al Pacino e Joe Pesci già vinsero. Pure lo sceneggiatore Steven Zaillian. Fra l’altro, ossessivamente vi consiglierò il suo splendido The Night Of. Il primo episodio è praticamente un incubo kafkiano alla After Hours unito a una storia simile, di errore giudiziario impressionante, a Richard Jewell.

Rodrigo Prieto, invece, bravissimo direttore della fotografia, può vantare nel suo carnet ben tre nomination agli Oscar ma, prima di vincere lo Zio, non solo Marty, dovrà ancora patire, carnalmente e non, come Andrew Garfield di Silence.

Ora, ribadisco che Scorsese sia attualmente il regista vivente con più candidature agli Oscar. Anche quello più ingiustamente, eccezione fatta per The Departed, come detto, di vittorie rimasto a secco.

Però voglio dirvi anche quanto segue. Sebbene inizialmente scrissi che The Irishman sia un capolavoro, rivedendolo più e più volte, con estrema e sofferente sincerità debbo ammettere che non lo è, assolutamente.

Rimane un gran bel film ma l’ultimo capolavoro di Scorsese resta Al di là della vita.

Mi pare che il mio discorso non faccia una grinza.

Più coerente di così, si muore.

O forse si rinasce.

 

di Stefano Falotico

bringing out the dead cage

Non basta la bellezza, l’eleganza e la personalità per essere dei geni, cari Greta Gerwig e Noah Baumbach


11 Feb

Greta+Gerwig+2020+Vanity+Fair+Oscar+Party+OW3BNO-HXWol

matteo venturi

Ora, Greta Gerwig è indubbiamente una donna molto bella. Da alcuni, anzi da molti, eh sì, considerata un genio.

Chiariamoci molto bene. Geni, a tutt’oggi, ne esistono pochi. Può esistere al massimo il Genius-Pop, ovvero il sottoscritto. Poiché sa ironizzare con ardita sfacciataggine in merito alla sua imbattibile imbranataggine.

Personaggi invece come Greta Gerwig e suo marito, ovvero Noah Baumbach, si lasciano indifferenti, no, mi lasciano indifferente.

No, non le considero persone fetenti, tantomeno deficienti. Tutto si può dire di Greta e di Noah tranne che non siano molto colti e, con disinibita nonchalance, sfilino sui tappeti rossi, mano nella mano da perfetti innamorati d’una vita altoborghese da Woody Allen e Diane Keaton ante litteram. Per forza, Greta e Noah sono anche letterati, scrivono da sé le sceneggiature, i loro impianti drammaturgici nell’augurio, condiviso a quattro mani, per l’appunto, di allontanare le loro reciproche tristezze quotidiane. Svegliandosi il più tardi possibile prima che sopraggiunga la via del tramonto dei più irreversibili rimpianti.

Qui, invece non si ride né si piange, amici della notte. Qua oramai vivo troppo da voi distante. Oggi chiudendomi in una stanza, domani fantasticando e favoleggiando per schivare questa frivola joie de vivre che a voi dà la spinta per fingere di vivere.

Qui, nemmeno si sopravvive. Vi fu un tempo, infatti, nel quale vissi, poi non più vissi, combattei per vivere ancora, innamorandomi nuovamente della vita stessa mia perduta. Invero, non deperii, già fui perito. Chissà dove smarrito. Defunto e vivamente seppellito. Quindi, da un pezzo morto dentro e già altrove infinitamente sepolto, forse solo spellato. E fu solamente una folle resilienza, un’inutile guerra in trincea per recitare la parte di chi, felice e apparentemente contento, parve rinato e appagato. Baldanzoso, euforico e persino fastidioso per come, inscenando io un’allegrezza di facciata, fui superficialmente scambiato per un bugiardo conclamato, per uno sfacciato pagliaccio indignitoso e addirittura ignominioso. O forse solo per un farneticante gnomo ridicolo e troppo permaloso. Per un farabutto vergognoso dei più decerebrati e pericolosi. Nessuno mi chiamò per nome. Il mio nome è nessuno, ah ah.

Quante fantasie che si crea la gente, forse più delle mie che oramai, spiace dirlo ma è così, non ci sono più. Giammai vi saranno. Forse, le mie emozioni migliori, vergate su pagine bianche annerite dall’inchiostro di stilografiche digitali, giaceranno intonse e immortalate nei miei libri poco calligrafici ma stampati e redatti in ottima calligrafia e allineate a una fluida, lirica grammatica, ortografia e perfetta sintattica, forse solamente un po’ ridondanti e dunque privi/e di prosa sintetica.

Poiché se morirò davvero, fisicamente e clinicamente, almeno avrò lasciato a chi vorrà vivere, nascere e poi morire, forse soltanto rivivermi o immedesimarsi d’empatia, nella mia (non) vita, qualcosa della mia anima immortale e infinita. Comunque unica e indivisibile. Ché un tempo fu gioviale e giovane, poi si perse nel non essere amabile persino per me stesso già dimenticabile.

Greta è una donna dagli occhi magnetici, dalle forme sinuose, dalle gambe deliziose. Ma se la tira troppo, è tutta una recita, la sua, da donna che fa del finto femminismo un ipocrita, lezioso life style che vorrebbe darci a vedere di essere una femmina cazzuta o soltanto una graziosa donna eburnea, forse anche un po’ burina dietro questa scorza da raffinata principessina di sé molto sicura. Che dura. Ma quanto durerà questa sua messa in scena nella quale interpreta il ruolo della donna intellettualmente marmorea?

Sì, è alquanto insopportabile. Rimarrei incantato, dinanzi a lei, a spizzicare un boccone.

Le offrirei pure da bere, pagandole anche il dessert. Io e lei, se non fosse sposata a Noah, probabilmente faremmo anche all’amore. Lei, memore di The Humbling, avrebbe infatti dirimpetto a sé un teatrante della sua tragedia vivente. Si commuoverebbe, anzi, a compassione si (s)muoverebbe nei miei riguardi.

Porgendomi un dolcissimo sguardo.

Davanti alla sua venustà, no, alla vastità del mio disagio rimarrebbe, sì, impressionata. In poche parole, esterrefatta e allucinata, prendendo presto confidenza, soprattutto coscienza, che non sto fingendo per elemosinare sessuali passioni selvagge, mi bacerebbe con intensità immensa. Tentando lei stessa, pateticamente, di salvarmi dall’abisso del mio eterno scontento immane e la mia anima mangiante. Per avvinghiarmi angelicamente fra le sue gambe al fine, speranzoso, di allietare e sanare quell’insopprimibile male di vivere che, certamente, non guarisce se con una donna a letto guaisci.

Tanti anni fa, incontrai una donna. Lei mi disse che mi avrebbe salvato. Ne fu convinta e di ciò volle seduttivamente persuadermi. E fu felicissima quando io finsi di essere con lei, grandemente, altrettanto felice spropositatamente.

Non so se l’amai, se pensai di amarla o soltanto sposarla. Non ci sposammo ma comunque ci spossammo.

Lei di me non ne poté più e cercò uno davvero da sposare, forse un impotente messo bene economicamente. Ma, al di là di questo, almeno uno che l’avrebbe fatta ridere sterminatamente, mantenendola nel non fare niente. Stuzzicandola con la sua simpatia, stimolandola con le sue brillanti idee da uomo appartenente, per l’appunto, all’alta borghesia pensante. Non come me, penante più di Alighieri Dante.

La vita è riflessiva e diplomatica ma io ripudio invece ogni certezza, quindi anche ogni dubbio ponderante.

Io so che non avrebbe funzionato assolutamente. No, non a letto. Nella vita.

Sono troppo intelligente per non sapere che Scent of a Woman sia un film oratorio e retorico.

E forse, quando siamo di fronte a una tragedia imminente, è giusto dichiararla svergognatamente.

Come il mio amico. Che, esattamente, così scrisse.

Fu inizialmente e all’apparenza illuminante l’avvento dei social.

Perfino le persone più asociali, vomitando nei loro post il loro spogliatoio, potremmo dire, anzi per meglio dire i loro personali sfogatoi, s’illusero di allentare i loro dolori interiori, sperando di vincere e superare le loro cosiddette fragilità nell’effimera, per l’appunto illusoria sicumera e in una solidale socialità irreale.

Proiettarono nel virtuale le loro depressioni abissali, festeggiando addirittura per un Mi Piace in più in maniera plateale, sì, tanto plateale quanto invisibile. Per gli altri e per sé stessi. Stesi.

Ma, come avviene per tutte le illusioni, se in passato si ricevettero troppe delusioni, non v’è né vi sarà verso anche poetico che possa salvarti dall’ammettere che è finita. Non perché tu sia debole o altro. O perché non sai affrontare gli attriti del reale non umanamente allontanabile, semmai smorzandoli nel magnificare culture diverse, a noi occidentali lontane, issando in gloria pure il Cinema coreano.

Semplicemente perché, a differenza di Greta e Noah, non c’è più voglia di stare assieme a chicchessia.

E questa non è mancanza di cultura da piccola borghesia, non è mancanza di pelle e palle o mancanza d’altrui fiducia. Esistono persone che non se ne fanno nulla d’una misera scopata. Nemmeno d’una sonora ripassata. Neppure del loro bellissimo passato.

Ora, questo non basta e non c’è più.

Ci fu la nostalgia, poi fu tutta un’inascoltabile, anche per te stesso, fottuta litania.

Dunque, amen e così sia.

Stanotte, la morte da qui mi porterà via.

Spero che domani un altro giorno sia.

Non so se però in questa vita.

Non può servire a lenire il mare dentro e il male che provi a contatto con l’esterno, eh no, la psichiatria, anzi, è deleteria. E, col tempo, ogni malinconia che credetti fosse sparita, ritornando prepotentemente, ancora mi sta uccidendo lentamente.

La pietra tombale anche della stupenda, inviolabile, non sedabile pazzia è forse il ritratto più bello della stessa intoccabile bellezza.

In paradiso o all’inferno, oppure in una purgatoriale vi(t)a di mezzo, celebrerò il diabolico tormento del mio potentissimo avere tutta un’altra mente. Non adatta alle pose, nemmeno alle spose.

E qui ora io, per sempre, riposo.Greta+Gerwig+2020+Vanity+Fair+Oscar+Party+UCaCC_-bvDml

di Stefano Falotico

Anche questi Oscar ce li siamo tolti dalle palle. Trascurando Parasite, diciamocela, il film più bello dell’anno è/fu RICHARD JEWELL, ve lo dice Tarantino


10 Feb

tarantino

Come sapete, gli Oscar premiano i film dell’anno antecedente. Anzi, per esattezza, i film distribuiti nell’anno da poco terminato. Film che devono essere stati presentati in sala. Anche se in due sale. Con l’avvento di Netflix, tutto fu incasinato.

Così come alcuni film presentati ai festival in tempi decisamente anteriori rispetto alla loro (scarsissima) distribuzione in sala, vengono erroneamente classificati come usciti in sala in un certo anno quando, invero, furono già completati e mostrati parecchio tempo prima.

Sarebbe come dire… The Irishman è un film del 2019. Invero, no. Le riprese terminarono nel 2018 e di tale progetto se ne parlò dal lontano 2008.

Sarebbe parimenti come dire… Shakespeare realizzò i suoi capolavori letterari solamente giunto oltre la maggiore età. Grande balla, in verità vi dico che, alla pari di Mozart, William fu un genio dalla nascita.

Se avesse pubblicato Amleto a 8 anni, la madre l’avrebbe internato nel manicomio di Joker.

Eh sì, Shakespeare fu un mostro della letteratura. Mi pare giusto che William, da vera volpe inglese, volesse trascorrere l’infanzia, guardando C’era una volta a… Hollywood. Tempo per tragedie, appunto scespiriane come quella di Sharon Tate, ci sarebbe stato.

Quentin Tarantino invece è rimasto un bambinone col ciuccio. Ci sta, fa parte del personaggio.

Quest’uomo esteticamente impresentabile, la versione cartoonesca di Boris Karloff in Frankenstein che gigioneggia a tutto spiano nel pulp, credendo spesso di essere più cinico di Roman Polanski coi suoi magnifici, taglienti noir.

Quest’uomo forse più matto di Charles Manson ma che, a differenza dello scimunito Charles, canalizzò ogni sua frustrazione erotica, così come il suo Steve McQueen di C’era una volta a… Hollywood, il quale sbava indiscriminatamente e piuttosto schifosamente, spogliando con gli occhi Margot Robbie, ecco…, Quentin sublimò la sua adolescenza, da bugiardo, sfigato cronico come Mr. Orange/Tim Roth de Le iene e soprattutto come Tim Roth di Pulp Fiction, nel divinizzarsi, celebrando la venustà, non solo femminile bensì artistica, effeminandosi lui stesso nel consegnare al virile sex symbol per eccellenza, ovvero Brad Pitt, il ruolo di una vita da bella statuina. Ah ah.

Sì, Quentin Tarantino altri non fu in realtà che Stuntman Mike/Kurt Russell di A prova di morte redentosi, cioè un ex misogino incallito divenuto un feticista amante pure dei piedi callosi di Margaret Qualley.

Poiché, dopo aver celebrato nella sua videoteca anche degli scult volgarissimi con Alvaro Vitali, dopo essersi sepolto vivo fra pareti caliginose, trasformò genialmente la sua orribile presenza scenica da uomo odioso e ombroso, forse lombrosiano, per l’appunto fisicamente scalognato, insomma non certamente Brad Pitt o Leonardo DiCaprio, inventandosi un modo per scoparsi Uma Thurman in maniera dolcemente sfiziosa.

Quentin deve aver pensato a questo. Ora, di mio appaio come un mezzo burino alla John Travolta di Pulp Fiction, quindi con una figa così, se mi presentassi deciso e porco come Christoph Waltz di Bastardi senza gloria, farei la fine di David Carradine nel finale di Kill Bill 2.

Vediamo un po’ come posso cucinarmela. Ah, facilissimo. Le scrivo il ruolo della Sposa su misura. Cioè, se le dedicassi poesie d’amore leopardiane, aggraverei la mia situazione. Alle donne non interessano gli uomini romantici. Dicono di amare gli uomini che sanno amarle. Sì, solo se hanno i soldi. Devo dunque beatificarla, cucendole addosso la parte della stronza che forse non è così stronza come la dà a bere, leccare e vedere a tutti, no, come potrebbe apparire e come infatti è.

Lei interpreterà la parte di una troietta che, pur di fare la vita comoda, la diede al vecchietto coi soldi, il nababbo matusalemme tutto corrotto e lercio, David Carradine. Ma, essendo giovane, desiderò ancora divertirsi e non passare le serate a vedere le partite della Juventus, cosicché volle poi sposarsi un tipo da canzoni di James Blunt.

Bill le ammazzò il futuro marito nel giorno del matrimonio, compiendo una strage peggiore dell’eccidio di Cielo Drive.

Lei sopravvisse, lei è una con le palle, cazzo. Una che, sì, la diede a tutti per potersi permettere il lusso di pensare solamente a vendicarsi, anziché fare la sguattera sottopagata e dai più tamarri, durante i sabati sera in discoteca, sbattuta e tutta sudata, palpata, fottuta e inculata.

Lei, dopo esserseli scopati tutti, anzi, dopo che tutti la scoparono, sciupata eppur giammai davvero trombata, nell’anima e non solo in quella prosciugata, ebbe quindi una missione quasi politica, punitiva e reazionaria da portare avanti. Affinché sua figlia, in un mondo migliore senza figli di puttana, potesse avere davvero una villa ad Arcore. Sì, Uma Thurman di Kill Bill è in verità Maria Elena Boschi e Francesca Pascale. Ah ah.

Sì, da giovanissimo, le ragazze mi paragonarono a Luke Perry. Ma, come Rick Dalton, essendo troppo insicuro di me, non ebbi neppure il coraggio di fare il Revenant davvero. Sbandierai ai quattro venti che mi sarei atrocemente vendicato, in maniera machiavellica, di ogni Ed Harris di Snowpiercer. Sì, riuscii a liberarmi dalla morsa dell’iniqua, terrificante schiavitù psicofisica in cui i maiali mi costrinsero a esserenon essere… Al che, ebbi momenti di rabbia nei quali pensai perfino di diventare, più che una bestia salviniana, un adepto dei culti satanisti da Rosemary’s Baby.

Ma, dopo ponderate, sagge riflessioni, preferii essere un colto bibliotecario di libri preziosi, fra i quali i miei, come Johnny Depp de La nona porta.

Mi dissero che vissi addirittura in maniera parassitaria, ah, questi Mr. Wolf, pure di Wall Street.

Mi scompensarono psicologicamente e scesi le scale gerarchiche come Arthur Fleck, completamente ammattito. Sballato, gasato, completamente fuso. Sì, fu tutto un one man show per dare spettacolo. Un’innocua mia pantomima da burlesque, una mia sceneggiata da uomo apparentemente lupesco bensì burlesco, insomma un’esplosione di fuochi artificiali piuttosto fatui. Sì, per molto tempo mi raffreddai troppo e divenni un uomo, più che materialista, materico come Frank Sheeran/De Niro di The Irishman. Freddissimo, un ghiacciolo di granito.

Di mio, so che presto mi regalerò un’altra estate e succhierò la cannuccia, ficcandola in una granita. Sono un uomo realista, altro che nichilista. So che invece voi, poveri illusi, sognate di sposarvi Scarlett Johansson. Buona Storia di un matrimonio a tutti ma poi, ricordatevi, se come Adam Driver crollerete a pezzi, impazzirete e non riuscirete neppure più ad amare le “bambinate” dei film di Tarantino, saranno cazzi vostri.

Il film più bello, commovente e sincero dell’anno è/fu Richard Jewell. Parafrasando Marsellus Wallace: se vuoi dire che migliora con l’età, non è così.

Mi riferisco alla vita di molti di voi? Sì. Ora, se vogliamo dire che C’era una volta a… Hollywood sia il film più bello e maturo di Tarantino, non è così. Pulp Fiction rimane il suo film più autentico, Jackie Brown il più maturo e forse più bello.

Se invece vogliamo dire che è uno scandalo non avere candidato Clint Eastwood agli Oscar, è così.Quentin+Tarantino+92nd+Annual+Academy+Awards+iKpjcJGIardl

 

di Stefano Falotico

Stanotte, Joaquin Phoenix impugnerà la statuetta dell’Oscar per Joker e il Falò fu, ieri sera, assieme al Frusciante, incredibile! THE KING OF COMEDY!


10 Feb

85154242_10215666143069477_4010617160807219200_o

Be’, che dire? Questo Falotico non finirà mai di stupirvi. Indubbiamente, è un tipo alquanto irascibile che, se mal provocato, soprattutto ingiustamente, s’infervora e poi sembra che attacchi tutta la gente.

Sbraitando un po’ da deficiente poiché troppo ferito interiormente.

Rannicchiandosi nella spelonca delle sue ataviche tristezze. Ma il Falò sa meditare e non piange sul latte versato. Ma sì, fa niente. Al massimo, fu parzialmente scremato ma, come i migliori prodotti della Granarolo, non è mai a pecorino. No, a pecora.

Sebbene, spesso, possa apparire cieco e sardo, no, sordo… sa il fallo, no, fatto suo.

Egli birbanteggia, vive d’inaspettati magheggi e ama, a differenza di quelli che stanno sopra i carri di Viareggio, non indossare nessuna maschera carnevalesca. Egli è nudo e crudo, dunque appetibile e ritoccabile, altro che nel cervello tocco. E, in passato, mostrandosi in tutta la sua incolpevole, onesta nudità esistenzialistica, fu nella sua intima essenza snaturato e divenne psicologicamente ricattabile.

Insomma, fu maltrattato. Cosicché, frettolosamente sospettato di essere un diverso, lui stesso se ne persuase, dando retta a chi invece fu, è e, purtroppo per lui, diversamente abile rimarrà nel suo cervello limitato e giammai rinnovato.

Legato a schemi di vita antiquati e oramai sorpassati.

Il Falò spadroneggia, a volte ancora alza la cresta ma è una voce fuori dal corpo e dal suo core. Tant’è che possiede, se vuole, la stessa vocale rochezza di Stefano De Sando e del grande Giannini Giancarlo.

Soventemente, gioca troppo a fare il melanconico, anche il tipo che all’apparenza può sembrare da manicomio. Ma secondo me, sono di parte, ah ah, merita d’ora in poi ogni encomio.

Egli, infatti, tanti anni or sono, quando non poté autodeterminarsi e fu perda degli indagatori sguardi pusillanimi dei cosiddetti adulti della sua anima ingorda e dunque da costoro, ah, che impostori, bellamente lordata, emotivamente paralizzato da chi, arbitrariamente, ancora prima che potesse rinascere, decretò troppo sbrigativamente, con gratuite licenze, in merito all’essere nuovamente del suo futuro libero arbitrio concretizzatosi in mirabile carisma seducente, di sé stesso si stufò e nessuna donna stantuffò.

Cucinando soltanto lo stufato del suo credersi bollito prematuramente.

Eppure, questo Falò è un essere ancestrale inaspettato e dall’inaudita forza imprevista, egli di colpò il suo destino cambio e, con una robustissima mossa, sterzò la rotta poiché di troppe offese si ruppe. Quindi, con fare geniale, dopo tanta vita sgarrupata e scalognata, riprese magnificamente il volò e svoltò in maniera al(a)ta, sferzando pugni allo stomaco ai perbenisti ipocriti e ai finti moralisti, invero, questi sì… nell’anima corrotti e andati.

Il Falò è un corridore, un sapido provocatore, possiede una voce da doppiatore e non ha, esteticamente niente da invidiare sia a Joaquin Phoenix che a Johnny Depp. Che meravigliosi attori! Cioè, quando si cura e nell’anima non si rabbuia e oscura, per gli altri la vedo dura e saranno adesso questi qui a pigliare la fregatura, lasciando al Falò gustare ogni femminile confettura.

Stanotte, Phoenix vincerà l’Oscar. Mentre il Falò, ieri sera, fu al Mikasa Club di Bologna. Incontrò dal vivo Federico Frusciante. Sul quale il Falò però dissente in merito al valore, cinematografico e non, di Joker. Ma ci sta avere gusti diverso, no? Il mio discorso è democratico e non fa una piega.

Invece con Fede concorda sulla qualità invincibile di Tetsuo. Poiché, come disse Fede, siamo stanchi della gente cosiddetta “grande” che decide per noi come vivere alla grandissima. Ancora propinandoci Sanremo e con questa merda ammorbandoci. Disgustandoci con la retorica più stracca e con le loro vite, da tempo immemorabile, andate in vacca.

Il Falò non se la tira affatto. È ben cosciente, altroché, che la vita presenterà ancora tante batoste e inculate a raffica. Ma egli giammai si demoralizza.

That’s Life.

Insomma, diciamocela.

Questo è un comeback fenomenale.

 

di Stefano Falotico

re per una notte

Gli scrittori maledetti esistono ancora? Vivaddio, sì. E il Cinema, invece, scomparirà?


08 Feb

joker

Be’, io sono un tipo certamente difficile. Semplicemente, da tempo immemorabile, abbandonai le mie sacre spoglie per non concimarmi nella realtà giornaliera. Sono giullaresco. Ah, è nauseante il mondo (a)normale. Spuntano zoccole da ogni cantina e cooperativa sociale, i centri storici sono invasi da modelle palestrate che, pure in inverno inoltrato, mostrano la tartaruga in bella vista quando invero dovrebbero segregarsi vive e dare da mangiare al cane.

Queste sono donne che pensano solo al pesce e ancora credono all’oroscopo. Quello, che è Acquario, si sposerà con una Vergine?

Ma per piacere.

Eppure, baldanzose, anoressiche come acciughe, espressive come Nicolas Cage di Zandalee, cazzeggiano tutte in tiro, allupando gli sguardi vogliosi e bavosi dei maschi che, corteggiandole in modo sfacciatamente libidinoso, ardimentosi si riscaldano di voyeurismi focosi, scalmanandosi in branco al fine di concupire tali cagne in maniera lupesca e biecamente lussuriosa.

Sì, il mondo è oramai putrefatto, più sfatto di Alba Parietti. Donna bugiarda e infingarda, furba e sgambettante che, grazie alle sue scosciate epocali, mandò sulle montagne russe molti maschili o(r)moni dalle gambe corte.

Sì, l’uomo italiano medio è pinocchiesco. A differenza di Pinocchio, non gli si allunga il naso poiché, dopo una certa età, la cartilagine non si prolunga come la terza guerra della pugnetta, no, punica, terminata a Cartagine, bensì s’allunga qualcos’altro per le vag… e meno impudiche.

Ma cosa vagite? Ma che v’agitate? Siete uomini da porcile.

Sì, debbo ammettere di essere un duro, l’ultimo dei maschilisti. Nella mia biblioteca di cinofilo, no, da cinefilo, a fianco di capolavori come Arancia meccanica e il nuovissimo Steelbook di Joker, c’è un parterre, non so se de rois, sicuramente di bionde, rosse e more da far arrossire anche Woody Harrelson di The Walker. Ora, possiedo Control 4 con Brianna Beach e Filthy Family 09 con Kendra Lust. Gli altri posso regalarveli, sono già consumati. Accettate l’usato garantito e non di prima mano? Ah ah.

Non sto schizzando, no, scherzando, miei poveri bigotti e matti. Nel 2020, la dovremmo finire con le lauree, con gli allori, con Laura e pure con la Critica cinematografica vecchia da rincoglioniti impolverati.

Se vorrete tutta la vita ammirare Federico Fellini, cari miei vitelloni, io invece mi darò al “vitello tonnato”, godendo anche di molte donne sconsacrate. Mica come le acide. Sì, sono meglio le donne che non devono chiedere mai. Prendetele voi quelle che vi porteranno a Teatro. Semmai a farvi vedere Il malato immaginario. Cosicché, se già come mariti foste depressi poiché vostra moglie è più depressa di voi, completerete l’Opera con un ritornello tristarello andante, sinceramente andaste da un pezzo. In maniera auto-ficcante. Brillantissimi! Così è, non ci sono cazzi che tengano.

Per quanto riguarda i pazzi, avrei da illustrarvene. Tutti i pazzi sono coloro che, a differenza delle persone cosiddette normali, le quali non capiscono un cazzo, pensano a quella. Mi pare giusto.

A cosa dovrebbero pensare? A vincere l’Oscar? E una volta che l’avranno vinto? Se lo metteranno nel culo, appunto. Tanto, oggigiorno, non frega una beneamata minchia a nessuno dell’arte. Domani notte, Joaquin Phoenix vincerà. Da lunedì mattina, Rooney Mara scoperà un premio Oscar.

Quindi, pretenderà di più. Caro Gioacchino, andasti a cercartela. Auguri e figli maschi. Ah ah.

Ripeto, spolverate le belle statuine e tutte le principessine sul pisello. Fidatevi.

Le persone normali invece, essendo frustrate, pensano a curare i pazzi, sbattendoli nei centri di salute mentale. Sì, avrei da dirvene sulle psicologhe che si lasciarono imbottire dai pazienti più irrefrenabili.

Se i pazienti più surriscaldati davano alle dottoresse qualcosa per tirarle su, le dottoresse regalavano loro pure la dimissione psichiatrica dopo aver ricevuto tutta l’emissione da ragazzi non tanto nella testa cresciuti, quindi da reparto pediatrico, bensì molto sviluppati per il reparto geriatrico.

O no?

Donne che vivono di missioni, si capisce. Noi, figli della generazione di queste malate di mente assai frigide, patimmo offese delle più discriminatorie e castranti, cazzo.

Sì, soprattutto in Italia, se compri un film porno, ti dicono che devi lavorarci su e migliorare.

Perfetto, questo film, in effetti, non è il massimo. Compriamone un altro. Oh, qui c’è da lavorare tutta notte con una sola pausa caffè quando India Summer versa la schiuma del cappuccino.

No, onestamente non mi vedo sposato. Stare assieme a una rompiballe che vuole da te sempre che tu sia cazzuto e figo.

Ah, chi vinse Sanremo?

Be’, ancora non si sa.

Continuate a farvi le seghe sulle canzonette e sulle mezze calzette.

Vado a sfilare, ora, una calza.

Quindi, leccherò una donna gelata.

Voi, teste di cono, amate i ghiaccioli con le palline, no, praline?

No, è per chiedere.

 

di Stefano Falotico

 

Gli attori e le attrici belle che mi piacciono e quelli/e che non mi piacciono anche se sono più belli/e


07 Feb

pitt hollywood

Nessuno è meglio di Brad Pitt, che vi entri… in testa

Innanzitutto, a quanto pare, nelle prossime ore sarà sospeso il mio account su FilmTv.it, in seguito a mie risposte piuttosto accese avvenute in una conversazione con una persona che platealmente mi calunniò.

Ma questa fu la decisione e io non sono nessuno per contravvenire a questa disposizione.

Ora, prima che forse il mio materiale scompaia anche se, i miei migliori scritti sono già presenti tutti integralmente su tale sito www.geniuspop.com/blog, vorrei congedarmi da voi con un’analisi degli attori e delle attrici che a me non piacciono. È inutile che proviate a farmeli piacere perché li ripugno in maniera dispotica e forse pure indisponente.

Qualche giorno fa, che mi crediate o no, dissi a una che mi paragonò a Stefano Accorsi.

– Bene. Se ebbi qualche dubbio riguardo il mio possibile suicidio, ora m’hai appena convinto di non ammazzarmi.

– Io ti ho offeso. Ti ho appena detto che chi, in passato, ti disse che assomigli ad Accorsi fu pazzo. Perché Accorsi è bellissimo.

– Ecco, una che frequentai, diciamo, mi disse che invece gli assomigliai. Ora, se avesse detto che sembrai o sembro Antonio Rezza o il compianto Carlo Delle Piane, non me la sarei presa. Mi comparò invece all’attore e all’uomo peggiore del mondo.

– Ma che dici? Stefano è bellissimo. Fu un grande complimento.

– Per me fu un affronto gravissimo, invece.

 

Fu la peggiore offesa, sì, da me ricevuta in vita mia. Ecco, potete infamarmi e raccontarne di ogni tipo sul sottoscritto, dammi del bugiardo cronico, del fallito, del pagliaccio o addirittura, per via di vostre distorsioni mentali da maniaci ammalati di bigottismo, tacciarmi come un mezzo pervertito.

Ma non paragonatemi, nel bene o nel male, ad Accorsi.

Non me la prendo, tanto sono oramai abituato a essere screditato dalla gente invidiosa. Sì, solo gli invidiosi o gli innamorati non corrisposti, eh già, offendono il prossimo.

Si chiama critica pretestuosa. Conoscete forse una persona che, se non è interessata al prossimo, insulta quest’ultimo al fine solo di distruggerlo? Sì, esistono. Stanno pure in manicomio, però.

Le persone cosiddette normali, invece, forse sono ancora più pazze dei soggetti manicomiali.

Cioè, non possedendo il talento altrui, la sua bellezza o perfino la sua purezza, se n’accaniscono con furia imperterrita e infinita solamente per godere sadicamente di una sorta di corrispondenza emotiva che trae morboso piacere nel massacrare il prossimo. Per innervosirlo o dipingerlo in maniera arbitrariamente distorta, per l’appunto. Cosicché l’altro, rispondendogli a tono, venendo scosso dai suoi attacchi spropositati, in qualche modo, sebbene in maniera altrettanto malata, permette alla persona che l’offese o appena offesa, eh sì, di godere del suo gioco.

Un ricatto emotivo che spesso avviene fra innamorati. Ove una persona follemente innamorata dell’altro/a, eh già, la fa ingelosire apposta per misurare se, ingelosendola, la persona da lui amata si arrabbi(a).

Se si arrabbia, significa che tale arrabbiata persona è innamorata della persona che la fece arrabbiare. Altrimenti, se non soffrisse di gelosia, dunque se non avesse paura di perdere chi gli o le procurò gelosia, ne sarebbe rimasto/a indifferente.

Di mio, devo dire che con le ragazze, spesso, non capii un cazzo.

Tanti anni fa, una tizia che pubblicò, non so se pubblichi ancora per la Guanda, dopo essere stata da me disdegnata in modo da lei reputato agghiacciante, mi fece una guerra psicologica atta non a distruggermi, bensì a far sì che per lei mi struggessi. E patissi pene d’amore mai con lei venuto. Scusate, avvenute.

Non starò a dirvi chi fu ma fra me e lei, nonostante le sue insistenze, niente fu.

Lei mi baciò vicino alla stazione centrale di Bologna ma, al solo sfiorarmi le labbra, avvertì che io non avvertii nulla. Al che, con impeto selvaggio da Demi Moore di Rivelazioni, scese in tutta fretta dalla mia vettura, sbatté la portiera (solo quella, eh) e mi coprì dei peggiori appellativi ed epiteti:

– Sai chi sono io? Un altro, al posto tuo, avrebbe fatto carte false solo per assaggiare il mio profumo. Tu sei più matto di quello che pensai. E dire che, se me l’avessi dato, ti avrei reso lo scrittore più venduto del mondo. Io conosco tutti, ti avrei fatto arrivare subito…

 

La mia risposta fu lapidaria:

– Di mio, sto al mio posto di guida e tu ora non sei tanto a posto.

– Perché mi rifiutasti?

– Perché non mi piaci. Subito, lo fiutai.

– Nemmeno tu. Anzi, sai che ti dico, fai schifo, sei bruttissimo. Sei un mostro. Ora ti annienterò. Sai cosa andrò a dire a quella che frequenti? Che ci stiamo frequentando. E che puoi farmi?

– Non voglio fare niente con te. Che volesti fare, invece, tu? Ancora pensi di farmi qualcosa?

– Io le dirò che l’abbiamo fatto. E lei ti lascerà. So che di lei sei innamorato e ti rovinerò.

– Va bene. Ora però non rovinare, coi tuoi calci, la mia macchina. Sei da rottamare, bella mia. Vuoi che chiami il carroattrezzi?

– Allora tu sei veramente fuori.

– Mah, in verità, io sto dentro la mia macchina. L’unica fuori sei tu.

– Basta!!! Ora ti buco e sgonfio le gomme.

– Fai pure. Il mio comunque non si gonfiò per te.

– Ti gonfio di botte!

 

Questa qui, comunque, finse di essersela presa dopo che da me non prese un cazzo ma tempo dopo me la rifece. La incontrai, per caso, al festival di Venezia.

– Stefano, vedi quello che prepara i panini? Oh, me lo mangerei subito.

– Va bene. Adesso vado a dirgli che si scordò di darmi la maionese. Torno subito. Le patate vengono meglio con la sua maionese.

– Io ti distruggo! Ti faccio al forno!

 

Insomma, nemmeno tirando in bello, no, in ballo il panettiere riuscì a farmi, non solo ingelosire.

No, a differenza di molti di voi, non soffro di gelosia.

Che mi crediate o no, tantissime ragazze giovanissime mi scrissero in questi anni per fissare appuntamenti al buio.

Mi divertii come Bill Murray di Lost in Translation con queste Scarlett Johansson. Arrivate, no, arrivato al dunque, dissi a ogni Margaret Qualley:

– Fai la tua vita. Solo quella.

– Non ti piaccio?

– Potresti anche piacermi. Ma io sono troppo grande per te. So che mi prenderai per un coglione anche se, in verità, vorresti pure i miei coglioni ma hai ancora pagnotte da mangiare più di quella tizia che volle farmi ingelosire col panettiere.

 

Ecco. Dopo questo mio scritto, vorreste farmi credere di non essere un Bruce Lee semi-ascetico e zen che vi lascia vincere perché pensate di essere Brad Pitt e io ve lo lascio credere?

Ma vi smonto subito, nani.

Dunque, se vi piace prendermi per il culo, ci sto. Almeno, mi scuotete un po’ dal torpore esistenzialistico.

Se pensate invece di essere Lee Van Cleef di Escape from New York, mi spiace deludervi.

Sono molto più stronzo di voi.

Sono anche come Arnold Schwarzenegger de L’implacabile.

E i criminali non li lascio mai vincere, soprattutto se vogliono che accadano tragedie come quella di Sharon Tate.

Detto questo, gli attori belli che non mi piacciono sono Stefano Accorsi, si era capito, no, e Stefano Accorsi.
A me Brad Pitt, invece, stranamente piace.

Margot Robbie, purtroppo, non mi piace.

Le preferisco Margaret Qualley.

E ho detto tutto. Ah ah.

 

di Stefano Falotico

JOKER di TODD PHILLIPS con JOAQUIN PHOENIX – Dal 6 Febbraio di nuovo al cinema e in Blu-ray & Dvd, mamma mia che rinascenza questo Falò!


06 Feb

joker happy face

Sì, sono indubbiamente un personaggio rinascimentale. Se abitassi nella Firenze degli artisti cullati dal mecenate Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, sarei già celebrato come Leonardo Da Vinci.

Sì, più che altro come Paolo Bonacelli di Non ci resta che piangere. Ah ah.

Sì, come Massimo Troisi e Roberto Benigni del succitato film, credetti che avrei avuto una vita modesta, cioè bella che già fritta, invece finii a Frittole nel quasi 1500 del mio essermi rinnovato e, di colpo, ringiovanito come se avessi attraversato uno Stargate quadridimensionale.

Sì, la mia mente da James Spader, più che altro da ex Spider di Cronenberg, uh uh, mi permette questo ed altro. Di essere, cioè, l’incarnazione del Tempo ritrovato di Proust e di guidare una macchina su giubbotto di Drive alla Ryan Gosling futurista più di Miami Vice.

Sì, patii calvari interminabili, mi stressai talmente tanto da diventare perfino quasi calvo.

Ma non ne feci una tragicommedia come La cantatrice calva di Eugène Ionesco. Poiché, essendo per natura autoironico, essere falotico, quindi stravagante e burlesco, trasformai il mio Aspettando Godot, più che altro finalmente di godermela, ah, questa vita puttana che tutti noi fotte e che, lungo il cammino, presentò, presenta e ancora presenterà molte dure fregature, in una filosofia esistenziale mai come oggi così sicura.

Sì, da circa un anno a questa parte, dopo essermi inabissato nelle notti più melanconiche, diciamocela, tragicomiche e quasi da manicomio, mi ributtai nella mischia. Io sono un fan pure dell’ex pornostar Brooks Mischa.

Sì, il mio fu un culo pazzesco migliore di quello di Mischa. Più che altro di (s)figa mai vista. Ah ah.

Sin dalla prima adolescenza, professandomi io un uomo amante di Taxi Driver, estraniandomi dal troiaio generale dei miei coetanei straniti, drogati, frivoli e certamente dementi, fui scambiato per un disadattato alla Travis Bickle e per un mammone col complesso di Edipo come Rupert Pupkin di Re per una notte.

Ma rinacqui come O’ Sole mio. Ah ah.

Sì, dopo tanto tempo da God’s lonely man, cioè da uomo solo e poco solare, più che altro da metafisico come Solaris, anziché arrendermi e cantare a vita Uomini soli dei Pooh, decisi di diventare un dio delle città e dell’immensità. Ah ah.

Portando la mente a un livello superiore della realtà. Ih ih.

Sì, da Principe della notte della mia Gotham City del cazzo, dopo aver scarrozzato tanti pagliacci per anni in lungo e in largo per Bologna ed essere stato preso per un mezzo handicappato, disgraziato, super sfigato tutto scassato e pure rompi-cazzo, durante un viaggio a Roma, avvenuto nei primi mesi del 2003, compresi dall’alto dei cieli di essere un illuminato.

Rivissi, ritornando a Roma, in pochissimi istanti quei gaudi amorosi della mia giovinezza smarritasi nella tetraggine più tenebrosa.

Improvvisamente, come Bradley Cooper di Limitless, riacquisii la vista e anche, di conseguenza, la vita.

Chi mi frequentò, non credendo al mio mutamento tanto repentino quanto incredibile, quando io provai a spiegare quello che successe e cosa provai, mi diede ancora di più del cretino e del provato. Ah ah.

Ancora qualcuno mi tormenta e, come un gufo, intimamente gode col suo pipistrello, sperando che io mi lamenti in mezzo a tante altre tormente, no, a miei atavici tormenti.

Ah, questo è solo un teppistello, un coglioncello a cui avrei da raccontarne davanti a un bicchiere di vino per confrontarmi con lui in merito ai nostri stupidi, reciproci duelli.

Gli narrerei di come mi sverginai ma lui, ottuso, ancora una volta non mi crederebbe e, se gli dicessi di chi mi oggi mi corteggia, di maggiore gelosia nel suo animo invidioso a morte, eh sì, creperebbe.

Oppure, piacevolmente sconvolto, assieme a me riderebbe a crepapelle.

Poiché That’s Life e la vita, fratelli della congrega, è ancora purtroppo lunga.

Lo prenderemo in quel posto numerosissime altre volte, avverranno altre svolte e c’illumineremo di nuovo come una lampadina di Alessandro Volta. Lo daremo a chi ce la dà ma l’importante è che come dice James Woods (o fu De Niro?) in C’era una volta in Americanoi siamo come il destino, chi va a star bene e chi va a prenderselo nel culo!

Sì, non so quante volte morii in vita mia. Quando pensai che fosse finita, cazzo, almeno mi sarei messo l’anima in pace, dio mi bussò a tarda notte e mi ricordò di essere lui.

Domenica notte, Joaquin Phoenix vincerà l’Oscar.

Entrerà nel mito. Come Brando Lee de Il corvo, come Marlon Brando di Fronte del porto, come Robert De Niro di Toro scatenato e forse come qualcun altro…

 

di Stefano Falotico

Giornate frenetiche come quelle di Henry Hill di Goodfellas – Chi vincerà gli Oscar? Intanto, il 9 Febbraio sarò al Mikasa a vedere Federico Frusciante, lunga vita al Falò!


05 Feb

84336984_10215634405036046_2853338489187991552_o

liotta goodfellasSì, avete presente, no, il pre-finale di Quei bravi ragazzi quando un magnifico, esasperato, insuperabile come il tonno Rio Mare, eh sì, Ray Liotta fu costretto a districarsi fra mille impegni. Fra polpette, donnette, cuginetti, amici fraudolenti e viscidi, grilletti di pistole che non funzionano, padelle e pentole, l’elicottero che lo spia e lo segue, manco fosse l’UFO di Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre.

Vi ricordate, per l’appunto, pure questo cult dell’infanzia con un Bud Spencer d’annata?

Sì, state parlando col Quentin Tarantino italiano, figlioli belli.

E Chissà perché… capitano tutte a me. Ove c’è pure il compianto, leggendario Ferruccio Amendola, ex doppiatore storico di Bob De Niro.

Sì, ebbi momenti nella vita da alienato, da emarginato ove, seppellito vivo, con voce alla Ferruccio, mi divertii (mica tanto) a fare il Jack Lucas de La leggenda del re pescatore quando, invero, fui soltanto Robin Williams dello stesso film. Ah ah.

Io sono un alieno, non lo sapevate?  Sono H7-25/Cary Guffey e adoro Essi vivono.

Dai quattordici anni ai venti, diciamo che non è che vissi tanto. M’inabissai nelle notti da Warriors. Cazzeggiando un po’, diciamocela.

Ma ora saranno di nuovo botte per tutti poiché, come Bud Spencer di Bomber ma soprattutto dello stupendo Lo chiamavano Bulldozer, il Falò tornò in pompa magna. Anche se, ultimamente, non tanto magno/i, infatti persi venti chili in due settimane. Roba da Joaquin Phoenix di Joker.

Scrivo recensioni a raffica, il cervello è quello di un uomo coltissimo ma è anche colto da spasmi onirici, un’altra modella mi contatta per essere la protagonista di una mia nuova copertina quando in verità vi dico che mi piacerebbe contattarla, di veri Incontri ravvicinati della terza topa, no, del terzo tipo, sotto una coperta.

Quello vuole l’articolo sugli Oscar, quell’altro fa la bella statuina.

Ah, che serata incasinata.

Alle 23, incontrai un simpaticissimo ragazzo, direttore artistico del Mikasa. Club ove, domenica 9 Febbraio, nella stessa notte in cui si svolgeranno gli Academy Awards, Federico Frusciante intratterrà chi comprò il biglietto, come me, con la sua monografia su Tetsuo.

Squilla sempre il cellulare, il mio uccello a fasi alterne.

Uno vuole che, con la mia voce, gli reciti il suo nuovo libro. Un mio detrattore invece vuole che finisca a guidare i trattori senza avere nemmeno un soldo per un piatto di pastasciutta in trattoria.

Ma il Falò, fratelli e sorelle, s’illuminò di colpo, ringiovanì esplosivamente come un orgasmo e ora, se mi siete nemici, sono cazzi vostri. Pigliatevi questo ed evviva il Joker.

A proposito dell’ultimo Tarantino, ne dissi peste e corna.

Ma, parafrasando Uma Thurman e David Carradine di Kill Bill.

– Come hai fatto a ritrovarti?

– Io sono io.

 

Ebbene, oramai ci siamo. La magica notte delle stelle è vicinissima.

Esattamente, l’imminente 9 Febbraio, al Dolby Theatre di Los Angeles, in California, si svolgerà la kermesse della novantaduesima edizione degli Academy Awards, denominati più comunemente Oscar.

Mentre Hollywood è in fibrillazione, mentre tutte le attrici e gli attori, fieri di sfilare sul red carpet, stanno già lottando, senza tregua, a colpi di sarti per indossare gli abiti firmati più prestigiosi, mentre l’alta moda sussulta, finemente cucendo ed elegantemente sfoderando smoking elegantissimi e paillettes delle più esuberanti e variopinte da esporre orgogliosamente e vanitosamente in bella vista, noi qui stileremo le nostre predictions. Ovvero le previsioni riguardo quelli che, a nostro avviso, saranno i vincitori.

Ora, dopo l’assegnazione dei Golden Globes, degli Screen Actors Guild Awards e dei premi BAFTA, abbiamo già un quadro piuttosto ben delineato dei nomi più papabili per le rispettive vittorie definitive.

Brevemente eppur dettagliatamente, ci soffermeremo su ogni singola massima categoria, sviscerandovi le nostre considerazioni, soppesandole e, dopo un’attenta, scrupolosa e soprattutto oculata meditazione estremamente obiettiva e ponderata, basandoci per l’appunto sui ricevuti riconoscimenti poc’anzi menzionativi, attenendoci quasi esclusivamente ai più attendibili pronostici dei cosiddetti allibratori esperti in materia, non trascurando però le nostre personalissime predilezioni, descriveremo ed elencheremo minuziosamente, nelle righe seguenti, ogni pellicola, attore e regista che reputiamo possa aggiudicarsi l’ambita statuetta dorata.

Potremmo ovviamente sbagliarci poiché, sebbene quest’anno i giochi sembrino già fatti e non ci pare, sinceramente, che possano esservi delle clamorose sorprese rispetto ai nomi oramai dati per assodati come sicuri vincitori, gli Oscar, soprattutto ultimamente, non mancarono di stupirci.

Pensiamo, per esempio, alla scorsa manifestazione quando vinse Green Book. Bellissimo film che però in pochi avrebbero immaginato che potesse meravigliosamente, in extremis, trionfare. Sbaragliando una concorrenza, forse, persino qualitativamente superiore.

In questa nostra analisi, partiremo ovviamente dalle categorie più importanti, vale a dire quelle del Miglior Film e del Miglior Regista.

Se dovessimo attenerci ai gusti del pubblico di più bocca buona e soprattutto affidandoci alle valutazioni della Critica più esigente, stando alle varie medie recensorie più alte, dovrebbe vincere Parasite. Reputato unanimemente il film capolavoro indiscutibile della stagione.

Noi tifiamo, segretamente, per Joker, la pellicola che, a livello di nomination guadagnate, cioè addirittura undici, parrebbe, in quanto a numeri da offrire, la favorita assoluta. E forse potrebbe finalmente vincere anche Quentin Tarantino col suo controverso eppur molto amato, soprattutto negli Stati Uniti, C’era una volta a… Hollywood.

Sarà l’anno dell’attesissima consacrazione di Quentin?

Purtroppo, no. Poiché quasi certamente vincerà Sam Mendes col suo 1917.

Il quale bisserebbe, aggiudicandosi un’altra statuetta dopo l’Oscar vinto, nel duemila, con American Beauty.

Passiamo ora alle categorie Miglior Attore e Miglior Attrice protagonisti.

A furor di popolo e meritatissimamente, il vincitore sarà Joaquin Phoenix. Che, per la sua interpretazione in Joker, già vinse, in maniera sacrosanta, tutti i premi possibili e immaginabili.

L’Oscar è già suo, Joaquin deve solo aspettare di sentire pronunciare il suo nome e di salire sul palco per recitare ancora una volta l’ennesimo discorso di ringraziamento.

Tutti i suoi avversari, infatti, cioè Antonio Banderas di Dolor y gloria, Jonathan Pryce de I due papi, Leonardo DiCaprio di C’era una volta a… Hollywood e soprattutto Adam Driver di Storia di un matrimonio (il rivale, tutto sommato, più temibile e agguerrito di Phoenix, l’unico che potrebbe contendergli lo scettro), sono onestamente spacciati, malgrado le loro prove, a eccezion fatta forse del sopravvalutato DiCaprio, siano state eccelse e notevoli.

Come miglior attrice vincerà Renée Zellweger di Judy. Però chissà…

Scarlett Johansson potrebbe darle filo da torcere sino alla fine.

Oppure, Charlize Theron, dopo l’Oscar da lei vinto per Monster, potrebbe con Bombshell soffiare all’ultimo secondo l’Oscar alla Zellweger?

Per la categoria miglior attore non protagonista, anche in questo caso la vittoria di Brad Pitt sembra soltanto una formalità da ufficializzare.

Ci piacerebbe che vincesse Joe Pesci. Che, col Russ Bufalino di The Irishman, ci donò un comeback memorabile da consegnare ai posteri.

Pesci però ottenne già la statuetta come miglior attore non protagonista per Quei bravi ragazzi.

Stesso discorso vale per Al Pacino. Già vincitore dell’Oscar per Scent of a Woman. E per Anthony Hopkins che impugnò e alzò al cielo l’Academy Award per Il silenzio degli innocenti.

Dunque, il non ancora oscarizzato Pitt, dopo le nomination come miglior attore per L’arte di vincere e per Il curioso caso di Benjamin Button, dopo aver perso come non protagonista per L’esercito delle 12 scimmie, stavolta è oramai a un passo dal farcela.

Laura Dern, invece, vincerà per la sua prova in Storia di un matrimonio.

Anche se, a dirla tutta, Kathy Bates di Richard Jewell le è una spanna decisamente sopra. Kathy Bates è la più grande attrice vivente, senza se e senza ma, in maniera inopinabile.

Il premio per la migliore sceneggiatura non originale se l’aggiudicherà Taika Waititi per Jojo Rabbit.

Potrebbero invece Todd Phillips e Scott Silver vincere per la sceneggiatura non originale (?) di Joker?

Ne dubitiamo. Poiché vincerà Bong Joon Ho per Parasite.

Lasciando a mani vuote Tarantino, comunque già vincitore due volte per Pulp Fiction e per Django Unchained.

A conti fatti, il grande sconfitto di questi Oscar sarà proprio The Irishman di Martin Scorsese.

A dispetto delle dieci candidature ottenute, siamo pressoché convinti che potrebbe addirittura non vincere neppure un Oscar.

Non perché non meriti di vincerne, bensì perché Scorsese è oramai una leggenda vivente e si preferirà premiare altri film.

E questo è quanto.

 

 

di Stefano Falotico

Gli artisti sono sfortunati a essere nati in Italia – Parlate tanto di rivoluzioni culturali, di JOKER e ribellioni al sistema meritocratico e iniquo ma, ieri sera, foste tutti davanti alla tv a vedere Sanremo!


05 Feb

Achille+Lauro+Festival+Di+Sanremo+2020+Day+gin3Nq4-IPdl

Sì, ancora una volta Pasolini non si sbagliò.

L’Italia è un moloch, un macigno inscalfibile. Più che altro un porfido indistruttibile, un cubo asfittico di gente che si dà tante arie ma a cui piace infliggersi soffocamenti dettati dal suo giammai ripudiato, se non in esibizionistiche, istrioniche pose fintamente trasgressive, background terragno. Legato non tanto a quei (dis)valori fertili di tale madrepatria e terra fin troppo consacrata nell’ipocrisia del cattolicesimo più borghese, bensì ad antichi agganciati in maniera inamovibile e monolitica a retaggi di affezione audiovisiva assai antica.

Persone metodiche che pendono dal tubo catodico e che, nel tempo libero, si sfogano su Facebook, mostrandosi fighe e disinibite, emancipate dietro uno schermo e una tastiera ove non velatamente le sparano grosse, celandosi, forse incellofanate dietro plastificate immagini con cui, (s)truccate nel lifting semmai di un programma che asciuga ogni loro difetto estetico, si sono date all’etica dell’edonismo più sfrontatamente fottuto da esaltati fanatici.

Gridano che se ne fregano delle retrive e assai vetuste regole istituzionali dell’Italia culinaria coi suoi master chef, dell’Italia dei paraculi indottrinati da una superata cultura, sono cazzuti, cazzo.

Una banda davvero agguerrita di convinti finti outsider che a me, puntualmente, non convincono.

In Italia impera la noia, la gente non sa parlare. Parla, anzi, per frasi fatte, si attiene ai beceri luoghi comuni più insinceri. Putrefacendosi nella ritualità più consuetamente immutabile che si rinnova, qui sì, ah ah, a ogni annata.

Al che, ecco che ieri sera iniziò Sanremo. Ne venni a conoscenza, leggendo i vostri post su Facebook.

Un’imbizzarrita società di modelle andate in brodo di giuggiole per il cavernicolo Achille Lauro col suo nude look da Ringo Starr dei poveri e da Adriano Celentano ante litteram di Bingo Bongo.

Sì, Achille, mica un figlio di Troia qualsiasi, no, da guerra di Troia.

Questo mostra tutto il tallone, è bono come Brad Pitt di Troy, cazzo, visto che movimento pelvico da stallone? Visto che pelo? Anzi, è glabro, ma guarda che tatuaggio da iguana tutta inguainata. Mica il patronimico Pelide. Visto che movenze da uomo con tante frecce al suo arco?

Ma andate a dare via il culo, troie. Ah ah.

Diletta Leotta è sempre, intanto, più mignotta, una sgualdrina, una popolana nazionale che parla come se avesse in bocca una caciotta ed è amante non tanto del Calcio, bensì degli uomini che sanno tirare fuori le palle. Visto che cosce, che quadricipiti? Che legamento sinistro con tanto di menisco?

L’uomo italicus se n’eccita, sua moglie spia se lui la guarda ma lui fa quello che non caga la mossa.

Di Diletta che, come la Tirabusciò, eccome se glielo tira.

Un tiro fendente da fetente.

Basta, avete rotto i coglioni. Dove sono i vostri attributi? Vedo all’Ariston solo tribune gremite e platee di gente che fa la ola su un Amadeus che recita programmate battute più scontate delle canzonette di tali scemi che celebrano l’amore della minchia.

Sì, l’amore piccolo-borghese di quest’Italietta che, da tempo immemorabile, parla di rivoluzioni culturali, di cambiamenti sociali.

Di gente che urla di adorare il Cinema di Gaspar Noé e di Darren Aronofsky ma io non salverei neppure se fossi Russell Crowe di Noah. Anzi, se fossi stato Noè (attenzione all’accento, diverso da quello di Gaspar), avrei messo sulla nave di Schettino. Affogate, animali!

Ah ah.

Dobbiamo essere schiettissimi. L’Italia è un Paese di avvinazzati con le fiaschette e il Lambrusco, un immondezzaio di ubriachi di cazzate. Sì, come dicono a Bologna, queste persone andrebbero prese e buttate nel rusco.

Gente losca, gente che se la racconta in modo viscido.

Falsi ribelli che vogliono fare solo i belli. Belli miei, qui sembra che tutto cambi ma quel canale di regime della Rai, eh già, non cambiate.

Ma quale cambiamento? Io ravviso sempre più un imborghesimento, un totale rincoglionimento, un puttanesimo a base di rose rosse per te… ho comprato stasera.

Al che, assistiamo a insegnanti liceali che si struggono e il rimmel loro struccano, ascoltando una canzone dal ritornello scritto veramente in endecasillabi da far venire non il maschio sulla Leotta, rifatta gnocca, bensì il latte alle ginocchia.

Meglio allora regredire allo stato puerile da Joker.

Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, cantò Gianni Morandi con le sue mani gigantesche da Polifemo.

E voi, sinceramente, fatevi mandare a fanculo, subito.

Senza se e senza ma.

Cos’è che vuoi tu, donna? Il mio uccello? Ma pigliati il velociraptor di Achille. Sei una troglodita che confonde il T-REX col T-1000.Tu mi dici di sciogliermi un po’ ma, come Robert Patrick di Terminator 2, ti faccio no col ditino. Vedi d’inzuppare altri biscotti nel tuo Nesquik, puttana da squirt. Vedi anche di comprarti un cane, un’ocarina, suona con altri la chitarrina, pettina il tuo carino uomo canarino e dai da mangiare ai picci(o)ni fuori dal mio cortile, donna da pasta e pisellini.

Forse sono dei piselloni? Ah sì? A quanto vengono all’etto tali in(s)etti? Infettatene!

Evviva il Pasolini.

Tu, accattone, tornatene nel Porcile. Basta!

Gente che si credette alternativa e pensò che Christina Aguilera avesse una voce migliore di Whitney Houston. Sì, ci vorrebbe il grande principe Augusto Aguilera di Too Old to Die Young. Uomo come il sottoscritto. Non dice una parola, vive senza fare un cazzo da mattina a sera, gigioneggia in casa, sollevando pesi e scrivendo libri. Al che, Miles Teller gliela fa sporca. E lui punisce tale porco. Lo macella.

Sì, tutti questi ometti e queste donnette s’illanguidiscono quando guardano e ascoltano Sanremo.

Sembrano Kate Winslet in questa foto. Con la bocca aperta come se dicessero… bello, bella, com’è bello, quanto m’emozionano.

So io quale microfono bisognerebbe usare con queste zotiche. Diciamocela, con queste super zoccole!

Ah, vedo un’altra sciammeria. Sciammeria, in meridione, significa donna abbastanza scema e zammera che, a sua volta, significa, femmina sguaiata e maleducata. Colei che, dietro retoriche e perbenismi moralistici, si crede investita d’una missione redentrice.

E, da educanda-pedagoga, da psicologa della mutua, si prodiga al fine di salvare le vite altrui quando in verità vi dico che è lei quella insalvabile.

Frustrata e repressa cronica, cioè la cantante Giorgia.

Donna più magra di un grissino che mangia solo grissini. Con la pelle più bianca d’un latticino quando non magna soltanto la mozzarella, bensì pure la sua immacolatezza ammuffita.

Dispensatrice di ritornelli incitanti alla rinascenza della vita alla massima fluorescenza, ah, per questa non v’è nessuna scienza che tenga. Non si può reggere. Le sue canzoni sono, per l’appunto, delle scemenze adatte a donne senescenti. Non più lì senzienti. Io, psichiatra forense e cannibale delle donne e degli uomini insanguinatisi nelle pudiche passioni cristologiche da falsi san(t)i, la obbligo a genuflettersi in maniera beatificante.

– Si prostri e poi vada a prepararmi una crostata. Da me non riceverà la torta di mele, prostituta, neppure del miele. Le diede retta, non so se ritto glielo diede, solamente Pino Daniele.

Questo è il prezzo che

questo mondo impone a noi

di vivere senza certezza alcuna

in bilico nel blu, disperati amanti che

non hanno mai trovato amore puro

piegati alle regole del tuo mercato

mi pento, mi dolgo per questo peccato

 

ma quando respiro mi accorgo che esisto davvero

e stiamo isolati in cerca di gloria

mediocri e muti e senza memoria

ma guarda l’estate è tornata speranza ancora

 

Ma quale Vivi davvero!

Ci vorrebbe Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti per questa colpevole d’innocenza. Può andare bene solo a Vincenzo.

Ah, bel coglione, comunque… Buffalo!

Non trovò i soldi per operarsi e cambiare sesso. Al che, come un ossesso, scuoiò le donne bianche e le disossò.

Ma che cazzo poteva fare? Se si fosse affidato ad Al Pacino di Quel pomeriggio di un giorno da cani, avrebbero preso in ostaggio pure il suo barboncino.

Al rapinò una bianca, no, una banca ma non sbancò e in culo lo pigliò. Alla fine, solo sbiancò.

kate winslet

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)