Ebbene, ieri pomeriggio mi recai allo Space Cinema di Bologna, multisala che non è male, al primo spettacolo pomeridiano, ovvero alle 16.45, inclusi i venticinque minuti di pubblicità.
Arrivando io con un po’ d’anticipo, oltre a fare il biglietto, adocchiai la bigliettaia ma capii che era troppo brutta per farmela e deglutii l’amarezza, ordinando un caffè. Zuccherandolo mestamente con cucchiaiate oserei dire crepuscolari come il Cinema meglio miscelato di Clint Eastwood.
Un uomo che invecchia come il buon vino. Insomma, ora ha quasi novant’anni, è un vino molto stagionato però giammai scaduto.
Sì, Clint non è un uomo normale. Trovatemi un altro uomo capace alla sua età di possedere ancora una così forte, compattissima lucidità, in grado di dirigere un robustissimo film di due ore e un quarto circa, coordinando magistralmente una scena di massa con tanto di Macarena.
Prima di gustarmi il film in totale souplesse, in gradevolissima solitudine con tanto di gamba accavallata, sedendomi su un posto non assegnatomi tanto in sala v’era quasi nessuno, dovetti però sorbirmi i promo pubblicitari, detti più comunemente trailer, della nuova elegia dolceamara di Gabriele Muccino, Gli anni più belli.
Sì, con un Kim Rossi Stuart incartapecorito e non più bello come una volta e una Micaela Ramazzotti che, a forza di leccarlo a Paolo Virzì, è ora prosciugata, cioè pelle e ossa. Con un Favino diverso anni luce dal suo Bettino Craxi, forse pure con un sospetto parrucchino e liftato più di Al Pacino.
Gabriele Muccino, uno a cui non offrirei da bere neanche un cappuccino poiché idiota totemico di quel tipo di cinematografia ruffiana, melensa e precocemente nostalgica da Cinema formato pasticcino.
Sì, i pasticcini sono buoni, grondando di cremosa delizia da trangugiare e mandare giù come un buon tiramisù.
Ma risultano poi stomachevoli.
I pasticcini, dunque anche Gabriele Muccino, sono come Olivia Wilde. La vedi e vorresti subito impiastricciarla di panna montata per un amore al profiterole.
Quindi, capisci che è una zoccola ammuffita e dà il voltastomaco.
Sì, la Wilde è tutto ciò che non fu Shelley Duvall, donna invece timida e pudica, povera moglie di Jack Torrance/Nicholson di Shining e Olivia, appunto, del Popeye di Robert Altman.
Sì, un uomo vede la Wilde e non gli pompano i bicipiti come Braccio di Ferro, bensì (gli) diventa duro come Jon Hamm. Ah, un omone con molti ormoni questo Hamm. Uomo che, assieme a Hugh Jackman, le donne accoglierebbero dentro le loro coscione come un vero bambagione. Un uomo lupo, un mutante da strappa mutande.
Sì, nel film di Eastwood, la Wilde lo seduce al bar. Lui vi casca come un coglione, forse con entrambi i coglioni. E, pur di darle lo scoop, si sputtana e la scopa da lurido marpione, insomma, un bellissimo puttanone. Altro che investigatore dell’FBI. Hamm vuole solamente vedervi lì chiaro, in maniera profonda.
Sì, una ragazza riesce a trombarsi Hamm. Lui però è uno stronzo e lei, al mattino dopo, canta già Albachiara.
La Wilde se la tira presso la redazione del suo giornale come l’Alba Parietti nazionale, esibendosi in sorrisi autocompiaciuti più fieramente sfrontati di Brandi Love, l’attrice porno più rifatta della storia, dunque dandola a vedere senz’alcuna vergogna per l’applauso scrosciante di tutti i colleghi suoi maschi che pendono dalle sue gonfiate labbra soprattutto quando cammina su tacchi a spillo molto alti e cavalcata arrapante assai scosciante.
Olivia è un po’ come Luisa Ranieri. Luisa è bella ma non apprenderebbe l’italiano nemmeno se imparasse a memoria tutto lo Zingaretti…
Olivia, invece, ha un vocabolario d’attrice che va dalla chirurgia facciale mono-espressiva alla mastoplastica della sua recitazione come il culo.
Olivia Wilde è una che, infatti, se lo fece fare pur di arrivare… Mica come la grande Kathy Bates, una che invece se lo fece e basta.
Donna grassoccia, la Bates. La quale, a forza di passare le nottate in bianco, prese sempre più chili poiché, insonne e bulimica, svuotò tutto il frigorifero. Soprattutto della sua voglia di qualcosa di buono…
Legò al letto, in Misery non deve morire, pure James Caan, famoso ex puttaniere e abituale frequentatore della manson di Hugh Hefner. Sì, un playboy davvero Rollerball.
Kathy si spogliò dinanzi a James. James, divenuto paraplegico a causa dell’incidente in macchina, non riuscì a muovere un solo muscolo, figurarsi se avesse potuto muovere quello per Il gioco di Gerald.
Oddio, se sopra di lui si fosse trovato Carla Gugino, pur con molti sforzi, credo che si sarebbero eccitati i suoi cuginetti.
Ma con Kathy non poté fargliela manco ficcandole sul viso un cuscinetto.
Comunque, la Bates vinse l’Oscar nello stesso anno in cui anche Al Pacino lo vinse. Per Scent of a Woman. Ah ah, ho detto tutto. Poi, la Bates si sparò… il viaggio… con Jack Nicholson di A proposito di Schmidt. E ho detto tutto un’altra volta. Ah ah.
Comunque, meglio il lupo che perse il pelo ma non il vizio, appunto Jack Torrance, piuttosto che Dermot Mulroney.
In Nonno scatenato non è manco tonto, si fa inculare sia dal figlio che dal padre.
Kathy, comunque, se ne sbatte. E sa di essere una Mia Martini a cui nessun George Clooney offrirà la sua Olivia, no, olivine. Al massimo, Kathy è donna che, prima di andare a letto, si fa un altro quartino di vino.
Richard Jewell invece non vuole né la botte piena né la moglie ubriaca. Allora, fottendosene pure del complesso di Edipo, fa l’addetto alla sicurezza.
Sì, mentre gli altri si sbronzano e ballano, si baciano e sbattono, lui deve stare attento che nessuna coppia scoppi, no, nessuno faccia esplodere una cazzo di bomba sexy? No, bomba e basta.
Ah, torniamo a Olivia. Sì, uomini, chiamate gli artificieri appena vedete Olivia. Dovete disinnescare subito l’ordigno della vostra eiaculatio praecox da imbarazzanti fuochi pirotecnici. Ah ah.
Di mio, sono come Sam Rockwell. Sì, v’assomiglio non solo fisicamente. Olivia Wilde entra di soppiatto nella mia macchina e posa il suo sedere stupendo sul posteriore.
Io la mando a fare in culo, subito. Ma che volete farmi? Fui per anni Nicolas Cage di Matchstick Men.
Sì, che può venire con una così? Guardate, ragazzi, fidatevi. Preferisco che mi seghiate piuttosto che pigliare lo scolo da questa malafemmina.
Sì, anni fa subii una diagnosi psichiatrica. Dissi al perito che soffrii di disturbo ossessivo-compulsivo misto a depressione bipolare.
E che, a causa del mio disturbo da Jack Nicholson, però di Qualcosa è cambiato, molti bastardi attentarono alla mia vita.
Fui indagato e sottoposto a un processo sommario, anzi, da somari della minchia.
Sono sfregiato come Anna Levine de Gli spietati.
Ma rimango sempre William Munny e Walt Kowalski.
Quindi, ciccino, andate a dirlo a quella bagascia di vostra madre, cioè Olivia Wilde.
Ho vinto io…
Ah, dite pure all’Indio, che sono anche Lee Van Cleef di Per qualche dollaro in più.
– Colonnello, prova con questa…
Indio, non è che adesso te la fai sotto?
Eh già, mi sa che sono più bravo di te.
L’hai sempre saputo.
Oh, non farti una sciolta.
Non voglio un finale per te piagnucoloso come un film di Muccino.
di Stefano Falotico
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