Sì, tutto ciò ha dell’incredibile e dell’agghiacciante.
Joker, dopo la strameritata vittoria al Festival di Venezia, pareva il contendente favorito agli Oscar.
Ora, secondo i sondaggi e le ultime, pilotate recensioni, per i soliti motivi politicizzati, è sceso vertiginosamente nelle quote degli allibratori.
Tant’è che alcuni siti, esperti in materia, addirittura l’hanno tolto dalla cinquina dei possibili pretendenti.
Su metacritic.com, la media recensoria è scesa fino al mediocre 58%.
Joker è un film scomodo, il film spartiacque troppo cattivo, senza retorica, cinico sino al midollo, che la fazione aderente a Donald Trump farà di tutto per distruggere.
Come sta già facendo. Inevitabilmente.
L’America non è ancora pronta a un Elogio della follia firmato, anziché da Erasmo da Rotterdam, dal signor regista, in tutti i sensi, Todd Phillips.
Una pellicola che rivela, ahinoi, l’atroce, oramai indubitabile verità che attanaglia la nostra società.
Una verità che si chiama paurosamente disagio.
Con questa parola però non mi riferisco esclusivamente alla psicopatologia debilitante che costringe Arthur Fleck all’impossibilità oggettiva, inesorabile d’essere normale.
Bensì, faccio riferimento a una gamma di significa(n)ti a più ampio raggio.
Un disagio allarmante di cui s’è ammalato il nostro mondo che si sta ramificando, come un morbo virale e apparentemente invisibile, come un roditore verme solitario, nelle nostre vite di tutti i giorni. Spellandoci nei cuori, nel coraggio spezzandoci.
Insomma, una psicologica ecatombe.
Perfino la gente che un tempo stava bene, i cosiddetti privilegiati, stanno dando di matto, confusi da una realtà ove ogni regola precostituita, ogni certezza data per assodata, ogni dì viene messa profondamente in discussione.
Un mondo ove tutto può essere capovolto in un nanosecondo dall’imperversare di nuove idee.
Alcune progressiste e veramente innovative, rivoluzionarie e vitalistiche, altre spaventosamente nichilistiche nell’accezione più cimiteriale del termine nichilismo.
Che fa rima con suicidio, con tragedia, per l’appunto.
Le persone schizofreniche non ce la fanno più. Per loro il percorso esistenziale è identico.
Durante le prime, pulsanti e veramente sentite fasi dell’adolescenza… ecco che comincia lentamente ma impietosamente calzante il distacco.
I ragazzi che ne soffrono avvertono l’intimo bisogno d’isolarsi poiché il dolore della vita comincia a battere troppo forte.
Si manifestano i primi sintomi psicofisici. Si sviluppano i primi, deleteri disturbi.
C’è chi evita il contatto fisico, chi preferisce le anime giapponesi a un mondo occidentale in cui i valori sono il sesso e i soldi. Ma ora pure in Oriente è così.
Oggi, Pasolini sarebbe un disadattato, sarebbe un barbone umiliato a morte, un povero coglione.
John Lennon sarebbe internato poiché considerato ritardato a scrivere canzoni che parlano d’amore.
E io, dopo l’euforia iniziale della mia momentanea, più volte avvenuta rinascita, non mi sento tanto bene.
Sverginarmi, tantissimi anni fa, è stata la prima presa di coscienza della mia totale alterità emotiva.
Da allora, infatti, è stato un manicomio.
Per molto tempo, debbo confidarvi che io stesso credetti di essere un vigliacco.
Mi persuasi che avessero ragioni gli altri e mi colpevolizzai.
Purtroppo, sono davvero un diverso. Non c’è verso.
Le tentarono tutte, io le ho provai tutte, sì, tranne la vicina del terzo piano, ah ah, ma non servì a un cazzo.
Prima fui un “pazzo” poetico, adesso non ho neanche più la mia pazzia.
Un detto psichiatrico è: togli a un “matto” il suo delirio e diventa matto sul serio poiché, per resistere al male di vivere, il delirio se l’è creato inconsciamente da solo.
Togli a me Robert De Niro, infatti non è che Bob sia giovanissimo, e la mia vita non ha molto senso.
Per quanto potrò andare avanti a vedere imbecilli che ballano come scimmie e si filmano nelle stories su Instagram?
Ma forse il mondo è sempre stato questo. Un posto orribile e mostruoso ove vincono non i migliori ma i più stronzi.
Anche se The Irishman vincerà l’Oscar. De Niro però no, lo vincerà Phoenix.
Per tutti è uguale.
Solitamente, si prendono le peggiori offese e stanno zitti, incapaci di reagire.
A un certo punto, quando sono già morti nell’anima, scatta qualcosa.
Ma oramai è troppo tardi sia per loro sia per chi li offese.
È finita per tutti.
di Stefano Falotico
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