Sì, quest’anno, se vuole iddio, se le troppe sigarette che fumo non essiccheranno i miei polmoni, se il pneumologo mi dirà che, nonostante il possibile cancro, potrò restare piuttosto in forma per fine Agosto, tornerò alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica del lido di Venezia.
L’ultimo film da me visto, visionato ma non vivisezionato in codesto luogo rinomato ove l’Hotel Excelsior ospitò Sergio Leone e Bob De Niro di C’era una volta in America, è stato Birdman, uno dei film della mia vita.
Ma, quando lo vidi per la prima volta al PalaBiennale, tendone da circo appositamente allestito per la kermesse veneziana e poi, tutto l’anno, smontato e forse adibito a baraccone ove la rediviva Moira Orfei, morta nel 2015 ma rinata grazie a un trucco digitale migliore dei suoi ex ceroni, gigioneggia pachidermica con far elefantesco fra trapezisti e Joaquin Phoenix di Joker, non mi piacque.
Per un ovvio, comprensibile motivo. In quel periodo, ero talmente rincoglionito che non mi accorsi di aver perso tre gradi all’occhio sinistro. Così, non munendomi di occhiali, vidi ben poco.
Avvistai da lontano un omuncolo di nome Michael Keaton che viveva come me.
Io sono un uomo del sottosuolo, amante di Dostoevskij e di Taxi Driver.
Un uomo che, nella vita, ha fatto una cosa simile al sottoscritto. Ovvero imbeccò, perfino un po’ sbeccato, l’imprevedibile virtù dell’ignoranza da vero Genius-Pop inaspettato.
Un uomo misantropo, sepolto vivo da questa marcia società, un uomo che sogna di essere una star di Broadway e brama di calcare il palcoscenico come Marlon Brando di Un tram che si chiama desiderio.
Un uomo che, nella sua esistenza rancorosa, timorosa, schiva e ritrosa, capisce che lo stronzo Edward Norton non è in confronto nulla rispetto alla merda schifosa di quella critica altezzosa e così ottusamente puntigliosa.
Decide di spararsi in testa per rendere la scena più reale, molto teatrale.
Superando Eleonora Duse e Antonin Artaud con una prova talmente veritiera e follemente istrionica da meritare l’applauso a scena aperta e, oserei dire, il visibilio della folla incantata, perfino lo stupore entusiasmante della boriosa critica esaltata eppur sfigata e frustrata che, impressionata da tanta arditezza alata, scriteriata e sinceramente umana, rimane talmente allibita da scappare a gambe levate.
Alla fine, Michael si ucciderà lo stesso, nonostante la protesi facciale e dopo (non) averci perso appunto la faccia.
O forse, come un falco elevato, guarderà la miseria del mondo dall’alto della sua grandezza obiettiva da Orson Welles de Il terzo uomo.
Io, dopo tante bastonate, inculate, fottute delusioni spropositate, ora scrivo per Daruma View e Ciao Cinema, due testate migliori, senza dubbio, di voi testoni che mi prendeste per coglione, avendo io ottenuto in passato pochi istituzionali attestati da dimostrare.
Sono invero un fine conoscitore di Cinema in ogni sua segretezza infinita e più raffinata. Anche se talvolta cazzeggio da Quentin Tarantino dei quartieri bassi.
Ecco, dopo quella visione, ne patii ancora. Dopo quel viaggio a Venezia, brutte news mi aspettarono.
Anziché leggere Variety, ricevetti a casa comunicati che vollero attestare se volevo commettere qualche gesto pericoloso. Fui indagato per essermi ancora incazzato in modo smodato contro esponenti irriconoscenti del mio eccentrico uomo esagerato eppur carismatico.
Così, da allora, non misi più piede a Venezia. Tantomeno nella mia sanità mentale.
In quel periodo mi affiliai a una testa di cazzo che si professò essere il mio talent–scout. Lo conoscevo da anni e lui, al telefono, mi disse un bel giorno che mi aveva da sempre considerato un genio spaventoso. Insomma, per lui, io fui un colpo di fulmine. Ma 15 min dopo mi arrivò perfino la telefonata di Andrea Diprè.
– Buongiorno. Il signor Falotico? Un suo amico mi ha detto che lei è uno che si crede un artista migliore di Caravaggio. Sono qui per aiutarla.
Sì, un amico davvero speciale. Ma, si sa, io sono amico di tutti. E decisi, sciaguratamente, di recarmi con costui al Festival per vedere chi avrebbe vinto il Leone d’oro. Alloggiamo in un ostello gestito da preti. E lui per tutta la notte volle condividere con me la sua passione sfrenata e onanistica per Miriam Leone, l’ex Miss Italia, sì, lei.
– Stefano, quella donna mi fa impazzire.
– Cosa ti provoca?
– Appena la vedo, arrossisco più dei suoi capelli.
– Capisco. È solo un arrossamento dovuto all’’imbarazzo?
– No, mi diventa tutto rosso e rizzo.
– Capisco. Ora però dormiamo.
– Stefano, abbiamo letti separati.
– Perché avresti preferito una stanza matrimoniale?
– No, ma vorrei che, per stanotte, mi facessi capire che non devo più fantasticare su Miriam. Devo darmi a donne rosse come te. Sei il mio M. Butterfly.
– Perché io sarei una donna?
– No, però con questa luce solare di fine Agosto, i tuoi capelli, da castani, son diventati vermigli. Posso offrirti uno shampoo smacchiatore per rifarti il look?
– Tu vorresti farmi e basta. Non tirare in bagno, no, in ballo il balsamo. Mio bello.
– Sì, ti vedo un po’ imbalsamato. Facciamo una doccia insieme?
– Sì, questa è la doccia. Fredda però.
– Ehi, che fai?
– Vado a dormire. Vai nell’altra stanza e tirati una sega, pensando a Miriam. A me ci penso io.
– E chi pensa a me?
– Nessuno. Comunque, se dovessi avere mal di stomaco, ricordati che qui, a Venezia, molti turisti hanno il mal di mare.
Se proprio non ce la fai, basta che ti butti sotto un motoscafo e non devi soffrire più pene d’amore.
Sì, senza dubbio era un ragazzo alle prime armi con molti sogni nel cassetto e soprattutto nel fazzoletto.
Ma era simpatico. Era ossessionato da Cronenberg.
– Stefano, concordi? David è un genio. No?
– Sì, tu no, però. E secondo me hai travisato tutto il Cinema di Cronny a tiramento di culo e di uccello.
– No, io l’ho capito benissimo. E sono Tom Stall di A Histoty of Violence.
– Il bambino de La zona morta, no? Tuo padre non ti capisce, giusto? Vorrebbe che tu fossi un calciatore. Se lo fossi, non dovresti sudare sette camicie per avere Miriam. Mi sbaglio? Invece tu sei iscritto a Filosofia Teoretica. La vedo molto dura. Miriam te lo farà pur diventare duro ma ama gli uomini duri.
– Cioè, secondo te, è una zoccola? È dolcissima, invece.
– Sì, quando le dai diecimila Euro.
– Ma no! Lei è famosa perché è bellissima. È stata madre natura a regalarle il successo. Lei è purissima, un angelo.
Sai chi invece credo che sia una troia? Selvaggia Lucarelli. Guarda questa foto.
– Fa’ vedere, da’ qua. Cazzo, ma questo sei tu assieme a lei.
– Sì, l’ho scattata alla Feltrinelli di Padova. Lei stava lì presentare Che ci importa del mondo.
– E invece, visto che la consideri una troia, che ci facevi tu, lì?
– Mi trovavo da quelle parti.
– Uhm, capisco.
– Stefano, a me è piaciuto da impazzire A Dangerous Method. Grande prova di Keira Knightley.
– Mi pare ovvio che ti sia piaciuto. Quello che non è tanto ovvio è perché tu dica… da impazzire. Sei già la Knightley del film, lo sapevi?
– Che vorresti dire?
– Niente, hai mai letto Freud e Jung?
– No. Dai, Stefano, piace anche a te Miriam, vero?
– No, le preferisco Emma Stone.
Questo mio amico molto “particolare”, dopo questa mia risposta ambigua come la fine di Scanners, è ancora, a distanza di cinque anni, rinchiuso in camera.
Non di quell’albergo. Di un manicomio.
Io invece volo sempre più alto. Tutte lo vogliono ma io sono troppo malinconico per tutte queste bagasce da festivalini.
E sono La mosca!
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