Sì, il primo maggio. Festa dei lavoratori. Ma lavoratori di che?
I lavoratori sono pochissimi oramai, la classe operaia è stata asfaltata dalle officine d’una borghesia metalmeccanica. Gente robotica che, più che umana, è diventata un Android.
Come Rutger Hauer di Blade Runner? No come i loro cellulari della Huawei, protesi cronenberghiane di (s)collegati cervelli vuoti.
Almeno Hauer/Roy Batty scaricò preste le batterie vitali poiché sentiva troppo il fuoco dell’esistenza. E il suo cuore elettronico bruciò in fretta come quello di Jim Morrison.
Questi invece sono eterni. Sì, immortalano le loro facce da culo in tremila selfie al giorno in memoria dei loro poster edonistici.
Che modello hai comprato? Il nuovo della Samsung? No, me stesso con tanto di optional.
Sì, una società di manichini, di gente senz’anima, di gente che ha proprio una bella faccia da culo, appunto. Sì, le modelle di Instagram lavorano parecchio coi glutei in palestra per ottenere tre ville al mare.
Quando si dice: ah, per arrivare lì, te lo sei fatto!
Gli unici che lavorano sono quelli che non hanno mai lavorato. Cioè gli impiegati statali. Il cui stress maggiore, durante la giornata, è il traffico cittadino di prima mattina. Poi, una volta in ufficio, quando timbrano il cartellino alle nove, aspettano otto ore per smettere di lavorare.
Come diceva Rocco Barbaro, sì, è un ottimo lavoro. Mi pagano per mettere due timbri. Non capisco però perché fra un timbro e l’altro devo aspettare otto ore.
Ah, ci sono anche alcuni dipendenti eccezionali che fanno gli straordinari, cioè fanno passare un’altra ora, leggendo la gazzetta sportiva per cui s’è consumata carta e disboscato dunque alberi dell’Amazzonia per stampare le prodezze dei miliardari dell’Ajax, squadra che forse arriverà in finale di Champions League.
La Coppa dei Campioni! Dico, mica pizza e fichi. Ammazza! E i giocatori giocano pure con le palle assieme alle loro amazzoni.
Sulle pizze presto qui vi dirò, sui fichi vi go già parlato.
Sì, poi questi adocchiano la nuova foto scabrosa, si fa per dire, della Belena Rodriguez. Una che so io dove ha lavorato duro.
Già, questa è la tipologia di lavoro medio. Lavoro che davvero nobilita l’uomo e non lo rende Jack Torrance di Shining. Vero?
I pizzaioli, artigiani della pastella ben infornata e lievitata, condita con prelibatezze gustose, si pigliano pure le pizze in faccia da parte di una cliente capricciosa di nome Margherita.
Lei voleva un kebab e invece si è accorta di vivere nel calzone italiano che premia a Sanremo la canzone di un cazzone.
Altri uomini sono alla Marinara, non pagano alla Romana, aspettano che siano sempre gli altri a pagarli. Non la pagano mai!
Come quei farabutti che si dichiarano invalidi psichici e invero sono più dotati, in ogni senso, di un coglione qualunque.
Sì, tempo fa frequentai, per bislacche, sciagurate circostanze di questa mia vita imprevedibile e contorta, un topo, no, un tipo che si lamentava di essere perennemente senza soldi.
Lo Stato gli passava la pensione d’invalidità, altri danari li prendeva dai genitori divorziati, costretti a elargirgli 300 Euro cadauno, a testa cioè, in totale 600 mensili, più otteneva quegli spiccioli grossi che racimolava assai con le scommesse, appunto, calcistiche.
Un uomo balistico, non c’è che dire. Un ballista, più che altro.
Cioè, fra una cosa e l’altra, senza fare un cazzo da mattina a sera, questo guadagnava, credo guadagni ancora, forse anche di più, eh sì, gli avranno alzato la percentuale d’invalidità viste le sue assillanti richieste d’asilo, più di mia madre in un mese ai tempi nei quali insegnava. Che doveva fare la spola da una città all’altra quando non era di ruolo. Più di centochilometri al giorno, anzi duecento, considerando il pendolarismo andata e ritorno. Più i biglietti del treno.
Questo invece, fumando canne dai primi canti del gallo a notte fonda, stando spaparanzato sul divano a masturbarsi sulle galline della tv, incassa lautamente una cifra non indifferente. Tirandosele, no, tirandosela da povero malato di mente con tanto di macchina, autonomia completa, casa perfino compratagli dai genitori, seratine in campagna e compagnia allegra con birra, vinello e poi puliamo il tinello ché abbiamo fatto, in casina, un gran casino!
No, certamente non un riccone ma un bel furbacchione, questo sì.
Insomma, con 1000 Euro e passa al mese, anzi, passati dallo Stato, io sarei andato a donne ventiquattr’ore su 24, invece questo schiamazzava pure perché si riteneva un santo ed era sessuofobo.
Adesso come sarà? Ah, avrà chiesto, oltre alla pensione, pure i voti religiosi. Ah ah!
Ma cose da matti!
Infatti, per pazzo passa, anzi per tale si spaccia quando gli fa comodo e invece inneggia alla guerra civile quando gli torna utile far il profeta mistico e rivoluzionario poiché nessuno lo caga, giustamente.
Charles Bukowski detestava il lavoro ma almeno era un gran poeta. Sì, lo era.
Disse… ci vuole cervello per cavarsela senza lavorare.
Eh, mica travestirsi da dementi soltanto perché idioti del genere in vita loro hanno letto solamente Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta.
Ah, insegnanti buoni come Paolo Villaggio dell’omonimo film di Lina Wertmüller?
No, nemmeno fantozziani. Sono gli scemi del Villaggio de Il volpone.
Bukowski non è mai andato in giro a elemosinare compassione in atteggiamenti pietistici. Questi non sanno che cos’è manco La Pietà di Michelangelo!
Nino D’Angelo aveva dignità. Questi invece fanno la parte dei finti angeli e si fanno mantenere dai nonni.
Bukowski era una testa di cazzo, sì, ma sapeva di non essere tanto a posto, si vezzeggiava e imbrodava nel suo dolce far nulla. Di questo però ne era totalmente consapevole, anzi davvero sofferente.
Il suo era un modo fintamente strafottente per ridere e sdrammatizzare delle sue quotidiane sfighe con acume e autoironia immensa. E tra una sfiga e l’altra, eh sì, s’ingroppava pure qualche figotta. Ho detto figotta, non figona. La figotta è una che sta a mezza via, mentre vedo molte super gnocche che stanno in quella strada lì.
Un beone gran bevitore, mica un beota farfallone e porcone. Che rigira le frittate a piacimento quando s’accorge che non piace agli altri e allora, da cretino di guerra, da coniglio fugge dinanzi ai suoi limiti e sta in trincea. Distillando consigli da papa? Da pappone, no?
Almeno, ci scherzasse sopra, sarebbe quantomeno accettabile e credibile. No, ripeto, gente/persone così vuole anche che si dedichi loro un monumento in piazza con la scritta oserei dire lungamente epigrafica e graffiante:
qui giace il nobile condottiero della sua battaglia da Don Chisciotte, uomo stoico, soprattutto a prendersi per il culo da solo, storico perché fuori dal tempo, in particolar mondo, no, modo da sé stesso, rinnegato alla nascita nonostante l’anagrafe attesti che sia esistito. Un uomo che ha combattuto la Resistenza, da lui chiamata cialtronescamente psicologica resilienza, in quanto capace di far niente, rimanendo deficiente malgrado lo Stato gli regalò da vivere gratis in modo più che sufficiente.
Ecco, per il primo Maggio, Netflix ha fatto un regalo a tutti i suoi abbonati. Ha messo su dei gran film tutti in una volta. Fra cui The Judge col grande Robert Downey Jr. Filmone.
Robert Downey Jr. è un genio. Sino a vent’anni fa lo davano per morto. Non soltanto a livello cinematografico.
Era cascato in brutti giri, lo arrestarono varie volte e finì in clinica.
È ringiovanito, oggi è Iron Man e rimane uno degli attori più bravi di sempre.
D’altronde, se a soli ventisette anni vieni candidato all’Oscar per Charlot e sei battuto per un soffio soltanto da Al Pacino di Scent of a Woman, devi essere un monello che sa il fallo, no, fatto suo.
Come il mitico Monsieur Verdoux.
Uno che era rimasto al verde e poi invece… ho detto tutto.
Insomma, andate a pigliarvelo tutti in culo. Sì, questa vita è fottuta, è tutto un gran fottio. Dunque, fottetevene.
E qua sono anche come Carlo Verdone.
di Stefano Falotico
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