Sì, nelle prossime ore sarà presentato a Cannes il nuovo lavoro, si spera capolavoro, di Quentin Tarantino.
Sinceramente, come già scrissi, non nutro molte aspettative, a differenza di molti di voi, riguardo quest’opus n. 9 del Quentin.
Sebbene, cazzo, riconosca che io e Quentin ci assomigliamo parecchio. Abbiamo vissuto di folli immaginazioni, di voli pindarici assai romantici, introiettandoci nella celluloide, respirandola più di come Lexington Steele ansima con le sue pornoattrici.
Ci siamo svenati per il Cinema, ci siamo resi personaggi da James Woods di Videodrome. E dovrebbe saperne qualcosa Federico Frusciante. Fede tiene molto in auge Quentin. Certo, Quentin praticava la sua stessa professione, quella del proprietario e gestore di una videoteca. Da cui spargeva il suo scibile cinematografico, sperando un giorno di compiere il grande passo verso Hollywood.
Sarebbero arrivate molte sceneggiature potenti come quella di Natural Born Killers e, fra il dire e il fare, forse c’era anche di mezzo il mare d’inverno, tanta rabbia per una vita “sfigata” come nelle canzoni di Bertè Loredana. Una che quando devi scriverle il cognome, non sai mai che tipo di accento usare, cioè se è o é. Un po’ come accade, senza sbirciare su Wikipedia, per Fabrizio De André. O per Gian Maria Volonté. Cantanti e attori irosi, incazzosi, che sputavano e sputtanavano giustamente tutta la verità su questo lurido, sporco mondo.
Non so, ad esempio, se come Loredana, Tarantino, figlio chiaramente d’italiani, conosceva, oltre ad Alvaro Vitali, la musica nostrana di quel tempo. Non so se, tra un film di Fernando Di Leo, non immaginando mai che un giorno avrebbe lavorato con DiCaprio Leonardo, anche perché il bel Leo non aveva ancora girato Titanic ed entrambi non erano nessuno. Forse Tarantino, afflitto dalla solitudine più cupa e polverosa, nella sua video library asfittica, in preda alla malinconia più atroce, ascoltava le musicassette di Loredana, cantando Amici non ne ho a squarciagola!
Oppure, pensando che presto sarebbe affondato come il celeberrimo, succitato transatlantico, crollato cioè psicologicamente a pezzi, stanco di raccontare a tutti true lies per mantenere la sua dignità, pensava che di lì a poco sarebbe appunto colato a picco, schiantandosi contro la quotidiana, dura realtà fottuta.
Sì, Quentin non era e non è certamente un tipo cerebroleso come Terminator, no, non è grande e grosso come Schwarzenegger Arnold. Però più grasso, eh eh. A forza di curarsi il mal di pancia e il fegato amaro con i buoni spaghetti cucinati da sua madre. Volete sapere chi sia/è la madre di Quentin?
Ma è facilissimo, è questa. Classica donna siculo-calabrese da Amaro Lucano trapiantata a Los Angeles.
Visualizza questo post su InstagramDi chi è figlio Quentin Tarantino? #danaykroyd #johnbelushi #johnlandis #bluesbrothers
Certo che è lei! Ah ah!.
A parte gli scherzi, no, Quentin doveva essere emarginato da tutti. Era un Tarantino che non veniva mai invitato a una festa. Neppure a un festino. Certamente, si era proiettato nel proiettore, danzando il valzer d’una reservoir dog.
Una vita fantasiosa, non c’è che dire, molto alla Pulp Fiction, però non ballava neppure la tarantella con qualche passerina bella.
Poi la botta di culo. Ah, che filastrocca, come adesso ti filano le super gnocche. Dopo tanta fame ecco la fama. E che fauna!
E vai di capolavori! Tanto che Quentin, questa sorta di mostro di Frankenstein, questa specie d’uomo che non gli daresti una lira, s’è scopato pure Uma Thurman.
Voi dite di no? Io dico sì.
E adesso che fa? Il gigione, cazzeggia a tutto spiano. Inserendo in Once Upon a Time in Hollywood persino il sosia di Bruce Lee, ficcandoci dentro la sua nemesi, Brad Pitt, lavorando appunto con Leonardo e potendosi permettere lo smodato lusso d’iper-accessoriare il suo film con un pezzo di carrozzeria liscia come l’olio, Margot Robbie.
Una che, secondo me, nella parte di Sharon Tate c’entra comunque come i cavoli a merenda. È una bellezza troppo Baywatch per attizzarmi come diceva il mitico Charlton Heston proprio di True Lies.
No, non sono un moralista, non sono Mosè de I dieci comandamenti eppure, rispetto alle bellezze perfette ma sciapite come quella di Margot, ho sempre preferito donne forse non fisicamente eccezionali ma con quello sguardo da Carrie Fisher che ecciterebbe(ro) pure il cagnaccio Chewbecca.
Cazzo, in The Blues Brothers alla fine compare anche Steven Spielberg. Pappa e ciccia con George Lucas.
Mi spiace molto per Carrie. Ammalatasi di grave depressione e poi morta in maniera ingloriosa.
Ma vedete che i conti tornano? Lo sa bene Clint Eastwood di Per qualche dollaro in più di Sergio Leone, maestro ispiratore di Quentin… o no?
In The Blues Brothers c’è anche il cammeo di Frank Oz. Che poi avrebbe diretto Robert De Niro in The Score. De Niro, come saprete, si drogò assieme al suo geniaccio amico “demenziale” John Belushi nella sua roulotte.
E John morì fatalmente per overdose, a differenza di Chris Walken de Il cacciatore. Quella fu solo una maledetta, russa roulette.
Ecco, credo che per molto tempo io sia stato scambiato per Ray Charles. Cioè per un cieco.
Io vedo la realtà e il Cinema meglio di voi. Anche sulla figa avrei da insegnarvi.
Sono come Aretha Franklin, Freedom!
Quindi tu, povero pidocchio, forse pure finocchio nel senso peggiore del termine, cioè rompipalle, non ci provare mai più.
Perché, cafone ignorantone, questa è la mia vita. Prova a toccarla un’altra volta e te le suono come la banda.
Mi vuoi spedire, per questa mia accesa ribellione, a un istituto correzionale o addirittura in carcere?
E qual è il problema?
Qui si balla!
Ed è epica!
Ecco a voi servito, cazzo, un “demente” vero, reale, in carne e ossa.
Ehi, biondo, lo sai di chi sei figlio tu?
di Stefano Falotico
Tags: Carrie Fisher, Clint Eastwood, Comicità demenziale, Dan Aykroyd, John Belushi, John Landis, Leonardo DiCaprio, Margot Robbie, Once Upon a Time in Hollywood, Ray Charles, Robert De Niro, Sergio Leone, Sharon Tate, Steven Spielberg, The Blues Brothers, Videodrome