Sì, anche io ho visto e recensito il capolavoro inaudito (si fa per dire), maudit di Lars von Trier, ovvero l’abominevole The House That Jack Built, monumentale idiozia a cui ho dato due stelle per simpatia.
Sì, Lars va incoraggiato. Dunque, come si fa coi bambini bravi, e Lars bravo se vuole lo è eccome, va spinto e invogliato. Sì, non la castigo signor Lars ma un po’ meno, dopo aver visto questa sua ultima pellicola, la stimo.
Sì, mio caro Lars, le scrivo questa epistola poiché sono indubbiamente dantesco. E come il grande Dante io a lei tiro le orecchie. Dante aveva il naso lungo e lei invece continua a girare un Cinema di gambe poco lunghe. Senza respiro. Amorfo, già in partenza morto. Soprattutto mortificante.
Sì, l’Alighieri scrisse Le epistole e io sono stanco dei suoi furbi pistolotti. I fessi potranno abboccare, definendo il suo La casa di Jack un capodopera, io non sono un pesce. Neppure la povera papera del film sottoposta a un’agghiacciante mutilazione da parte del protagonista bimbo già satanicamente irrecuperabile. Già affogato nello stagno del suo seme geneticamente traviato.
Dei suoi film fintamente scabrosi e repellenti son davvero stufo, non tanto perché vorrebbero provocare scandalo a buon mercato, bensì perché lei sempre più si sta cinematograficamente fuorviando.
Sì, io non abbocco ma lei oramai ha una pericolosa strada manieristica e compiaciuto imboccato.
Lo so, caro amico Lars, lei si è oramai smarrito nella landa della depressione acuta. Più galoppante di questa boiata da bovaro che da lei, anima sensibile e ammalata di dolce Melancholia, non mi sarei aspettato.
Qui, in tale sua operetta ridicola, lei di luoghi comuni abbonda. Esagerando pure di David Bowie, la cui pronuncia corretta è bovi e non bauvi, mio Lars il bove.
Citando a sproposito pianisti che adoravano Bach mentre io, dinanzi a questa sua partitura stolta senza tatto, eh sì, lei non sa toccare le corde giuste, le rifilo delle bacchettate molto musicali in testa.
Senti che frastuono. Vediamo se, frastornandola, i suoi film futuri avranno più ritmo.
Lei è stato indelicato con questa sua storia di un toccato poi alla fine anche dalla grazia sfiorato.
Per svegliarla dal torpore, ahinoi, tristemente deprimente, appunto, della sua caduta libera, le prescrivo una bella cura di fosforo e le consiglio di passeggiare lungo le colline verdi della Danimarca.
Affinché, a contatto con la natura adamantina, possa allievare le sue pene e riflettere all’imbrunire sul tramonto della sua carriera adesso penosa che presto, continuando così, sarà cupissima come il buio pece delle notti del suo Jack.
Sì, caro Lars.
Un paio di sue opere avevano fatto sì che potessi io elevarla nel paradiso della Settima Arte.
Sì, lei lì fu grandissimo. In alto, per quanto concerne il mio personale apprezzamento nei suoi riguardi, ascese.
Ora è di nuovo sceso, non solo all’inferno.
Amico artista, mediti su queste mie parole. Lo so, potranno apparirle momentaneamente dure e troppo severe.
Ma io non sono un consigliere fraudolento. Sono un uomo intransigente che conosce il suo talento splendente. E dunque, reputando inammissibile che lei l’abbia sputtanato per questa ciofeca miserevole, malata di pochezza esecrabile, mi perdoni ma debbo esserle sincero.
Ora, leggendo queste mie parole, potrà indiavolarsi e vorrà bruciarmi vivo.
Così come, lo so, faranno parimenti i suoi ammiratori assaliti dall’ira più bollente, lanciandomi commenti lincianti sul mio canale YouTube.
Un giorno, dopo tanti patimenti, io e lei saremo lassù.
Dio le chiederà:
– Signor Lars, dopo averla assolta da questo film osceno, blasfemo e semplicemente tremendo, vuole bene al signor Falotico?
– Sì, è il mio migliore amico.
Gli amici migliori sono quelli che non ti leccano il culo. Ma quelli che ti vogliono bene.
Che ti sgridano quando è opportuno, che ti spronano quando sanno che un genio non va mai punito e fermato.
Un genio va rimproverato con dolcezza, non va censurato e “castrato”.
Va soltanto coccolato come il gelato al cioccolato.
Mentre gli stronzi ignoranti, invidiosi, prosaici e precipitosi vanno spurgati con poetica posa e la mia prosa talvolta, lo ammetto, ridondante e pletorica, invero giammai retorica come la falsità diabolica di questo mondo ipocrita.
di Stefano Falotico
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