Io avevo profetizzato, in tempi non sospetti, la vittoria di Malek. Era ovvio e prevedibilissimo che avrebbe facilmente vinto lui, diventando uno degli attori più giovani, anche se non giovanissimo, a vincere la statuetta, checché se ne dica, ambita da ogni Actor, appunto.
È stata una vittoria a furor di popolo, come si suol dire. In parte immeritata perché, se vogliamo essere obiettivi, senza lasciarci trasportare dal fanatismo, credo doveroso, verso il mitico Freddie Mercury, l’Oscar doveva intascarselo Christian Bale.
Ciò non è successo e invece, come tutti noi sappiamo, l’Academy Award è finito nelle mani di Malek.
La sua, più che un’immedesimazione nel personaggio, è stata un’interpretazione vincente sui generis.
Malek è magrolino, possiede un viso infantile e quei denti posticci da castoro che gli son stati appioppati sono spesso ridicoli, soprattutto nella prima mezz’ora della pellicola. Ove, sì, Malek, più che assomigliare a Mercury, assomiglia a Bugs Bunny.
Però il film poi, pur romanzando e semplificando la complessa personalità di Mercury magnificandola oltre il necessario, si lascia vedere amabilmente. Perché Malek, malgrado sia dissimile nella forma fisica rispetto a Mercury, bisogna essere altrettanto oggettivi, ha saputo infondere una tenerezza commovente al suo Freddie, reinventandolo in maniera stupefacente. E le scene del concerto finale sono state girate in modo prodigioso. Semmai, nel video originale della storica performance di Mercury, il cameraman aveva ripreso un campo largo e invece nel film vediamo un primo piano. Ma poco importa. L’effetto sortitone è stato di sicuro impatto. Emozionale ma anche attendibilmente veridico rispetto alla realtà. Una “cover” cinematografica che ha eccome il suo perché.
Bohemian Rhapsody, no, non è affatto un grande film. Ma nessuno avrebbe preventivato un successo simile. Spiegabile per il fatto che Bryan Singer, fregandosene altamente delle iperboli romanzate e retoriche, ha realizzato un film palesemente così “fake” da diventare paradossalmente un bijou. Io la penso così.
E io me lo sono accattato in Steelbook. Sì, sì, sì! Ah ah.
Perché me lo rivedrò al PC, con le gambe comodamente accavallate, sorseggiando le mie memorie adolescenziali tra una sigaretta liscia e un caffè buono, cazzo, davvero buono.
Invece, mi sa che sin al giorno della mia morte non vedrò mai più quella schifezza di The Doors del signor Oliver Stone. Una vaccata tremenda.
Morrison, dalla sua leggendaria tomba, spesso di notte, al pallido plenilunio, come dice il Joker, cioè il sottoscritto, ah ah, ripensando a questa monnezza di film, bestemmia e poi spacca tutto, resuscitando come Jan Valek/Thomas Ian Griffith di Vampires. Sì, come Marilyn Manson nei suoi temp(l)i d’oro.
Cammina poi tutto lercio col giubbottone di pelle nera sin ad arrivare a un motel ove Sheryl Lee, anziché riguardarsi Twin Peaks, ha messo su appunto il film di Stone.
E lì parte il morso del vampiro. Con Jim che le urla:
– Ehi tu, biondina, che stai facendo?
– Oh, sei Jim. Big Jim.
– Sì, ma tu non sei la mia Barbie. No, non sei Pamela Anderson e neppure la mia ex, Pamela qualcos’altro. Stai diventando uguale a quella smorfiosa di Meg Ryan. A forza di rincoglionirti con questa robaccia.
Sì, il film di Stone è stato sbagliato fin dalla scelta degli attori. Partiamo da Meg. L’attrice più stupida e stronza del mondo. Insopportabile, tutta moine e smorfie. Roba che quando voi, adulti maliziosi, andate da una bimba-minchia a dirle che deve crescere, costei vi dovrebbe rinfacciare la vostra ipocrisia, gridandovi:
– Ehi tu, lurido, C’è posta per te. Non sei simpatico come Billy Crystal di Harry ti presento Sally, e non sei un uomo buono come Tom Hanks. Sei un figlio di p… a da Bugie, baci, bambole e bastardi.
Dunque, se vuoi dare regole di vita a me, diverrò molto femminista come In the Cut, non ti donerò nessun French Kiss e cresci semmai tu. A San Valentino, anziché accontentare tua moglie, nel guardare assieme a lei City of Angels, ché aspetti solo che finisca per esserle Insonnia d’amore, invero di poco cuore ma di frustrato calore, sparati Wim Wenders. Su, mascalzone, abbi Il coraggio della verità!
Detto ciò, Meg Ryan secondo me aveva poco a che vedere con la compagna del Morrison. Ma soprattutto Val Kilmer è stato vomitevole nei panni di Jim.
Ma che è?
Aspe’, ci torneremo con calma. Ora passiamo a Oliver Stone. Regista indiscutibile dal talento magistrale. Ma anche quanti film orribili nel suo carnet. Platoon è una stronzata, JFK, diciamocela, un documentario bellissimo, girato da Dio e montato da un extraterrestre, ma col Cinema vero ha da spartire ben poco.
E naturalmente il suo film peggiore in assoluto è appunto questo biopic a c… o di cane su Jim.
Io conosco benissimo Jim. Ho tutti i suoi album.
Jim era un pazzo conclamato ma anche un’anima pura, talmente pura da essere trasgressiva. Angelica e demoniaca allo stesso tempo.
Stone invece lo trasforma in un puttaniere debosciato con tanto di scena raccapricciante con la giornalista interpretata da Kathleen Quinlan che fa gridare allo scandalo. Ma non perché sia sessualmente abbastanza spinta. Semplicemente perché Jim Morrison, appunto, viene trattato come un ingordo assatanato maniaco.
Jim faceva sesso, sì, come tutti. Ma qui Oliver Stone lo dipinge come un ubriacone delirante, un guitto d’avanspettacolo. Da Alexander.
Val Kilmer… Cosa? Mi dite che somiglia a Morrison? Ma de che?
Innanzitutto Jim Morrison aveva i capelli castani, non biondi tinti sul corvino finto. Jim non era un parruccone, Val qui lo interpreta, appunto, come se non fosse stato dal parrucchiere, Jim aveva il viso affilato, smunto, quasi malato. Val Kilmer invece, oh, guarda che parrucchino e che belle gote. Sembra Marlon Brando de Il padrino.
Ma non ha classe questo qui! Val, ma vai! Mai avuta. Ripensiamo a Heat. È manesco, irruento e manda a farsi fottere Ashley Judd. Ci rendiamo conto? Ma questo è un burino da bettole, dai. E alla fine Ashley Judd lo perdona pure. Adesso capisco perché Ashley sia andata con Harvey Weinsten. Sì, devono esserle sempre piaciuti gli uomini che non hanno rispetto per niente e nessuna!
Poi, Val era già abbastanza cicciottello all’epoca.
Val Kilmer, attore mediocre, ma in The Doors è stato davvero pessimo.
Oliver Stone non ci ha capito nulla. Il messaggio di Jim era chiarissimo. Voleva liberare le coscienze dalla schiavitù borghese della cosiddetta vita tranquilla, invero soltanto triste e noiosa.
Stone invece lo eleva a santino del puttanesimo, del pervertimento, infilandolo in una storia da figli dei fiori più finta di un orto botanico da Blade Runner 2049.
E quindi, se amate questo The Doors, non dovete poi lamentarvi se, dopo una giornata di lavoro spossante che, oltre ai soldi, non vi ha dato niente nell’anima, vi sfogate su Facebook coi vostri patetici mal di pancia.
Volevate “normalizzare” il mondo e livellare tutto.
Jim Morrison non era livellabile, era di un altro livello. Non era il tipo che si accontenta di fare il bidello, di tornare a casa, stare con la moglie e riscaldare i fornelli, non era uno che voleva mangiare un buon tortello, lasagne con la besciamella e poi a letto far il “torello”.
Non sapeva che voleva dalla vita. Come dovreste non saperlo voi. Finché vi è curiosità e alterità vi è bellezza e infinità, quando la ricerca finisce, tutto diventa una squallida routine di cazzate e idiozie in quantità.
Ora, vi racconto questa.
È verissima, com’è vero iddio che io sono ancora vivo.
Una quindicina di anni fa, andai a giocare a calcetto con degli amici. Una tizia, che allora mi aveva conosciuto, si autoinvitò per vedermi giocare…
– Siamo sicuri che tu sappia giocare a Calcio?
– Perché?
– Mah, mi dai l’idea di essere un pachiderma.
– Ah sì? Stasera ti passo a prendere…
Al terzo mio palleggio, mentre sudavo in campo, di sfuggita incrociai il suo sguardo sudatissimo. Stava già, in cuor suo, pensando a come palleggiare con me…
La riaccompagnai a casa. Era notte fonda.
– Be’, non scendi?
– Sai, è ancora presto. È una bella serata, c’è una luna meravigliosa. Oh, guarda le stelle. Facciamo due chiacchiere, su. Hai fretta?
– No.
– Sai che assomigli a Tim Robbins di Mystic River?
– Non è quello che si dica propriamente un complimento.
– No, non lo è. Ma assomigli anche a Sean Penn dello stesso film. Guarda che pettorali, che sguardo da lupo solitario…
Ecco, sai che significa per una ragazza trovarsi sola in macchina con uno così? Timido, spaurito come Tim e col fisico di Sean?
– No, che significa?
– Bello mio. Ho visto che giochi a Calcio davvero bene. Sono rimasta estasiata. Ma non devi conoscere altri giochi…
– Che vorresti dire?
– Credo che tu sia poco consapevole di quello che sei.
– Ah, cosa sono? Un pazzo come Jim Morrison?
– Eh no, credo proprio di no. Sai, ti sento molto giovane, in realtà ti sento e basta.
Dopo tre secondi, nel buio più totale, sentii la sua mano impudica e tremolante carezzarmi le gambe, ancora in mutandoni da calciatore malandato.
La sua mano, delicatamente, scivolò sul ginocchio e poi su. Sempre più su.
Fu in quel preciso istante topico che capii di essere un uomo.
E impazzii del tutto.
Comunque, nonostante la crescita… continuo a conservare questa faccia da pirla.
Insomma, ce la vogliamo dire?
Sono veramente un Genius.
Sono uno che, A prima vista, lo ammetto, ne sono cosciente, sì, sembro proprio un bel deficiente, ma ho il mio perché.
Quale sarebbe il perché? No, non sono John Holmes, ci mancherebbe, ma non sono nemmeno un Saint.
Questa vita non è Wonderland e non sono Alice nel paese delle meraviglie.
A volte sono un bianconiglio, a volte mi piacciono le conigliette alla Jessica Rabbit, a volte le conchigliette come in Demolition Man, uh, Sandra Bullock, a volte mi fate ancora brutti scherzetti ma non sono una facile ochetta né un maghetto, nemmanco un orchetto o un cretinetti, quando inizio a parlare io, tutti si ammutoliscono.
E forse è giusto così.
di Stefano Falotico