Archive for March, 2019

Kevin Costner va su, Matthew McConaughey va sempre più down ma lo salverà Chan-wook Park


19 Mar

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Sì, l’altra sera su Netflix ho visto Criminal. Un film indegno della nomea di Kevin Costner. L’unico criminale non è Costner nel film, ché poi manco lo è del tutto, ma lo è stato il regista Ariel Vromen.

Una vera schifezza. Poi, Costner nella parte del criminale è credibile quanto la mia vicina di casa, Angela, nella parte di Moana Pozzi. Insomma, non ci crede nessuno.

Nella casa della mia vicina, svolazza un’aria angelica su canti gregoriani. E ho detto tutto.

Sì, colui che è stato Eliot Ness di The Untouchables, Robin Hood e la guardia del corpo di Whitney Houston, nella parte di tale Jerico, sociopatico simil-Jena Plissken con una tosatura che nemmeno quando rasavo a zero il mio cranio e mi dimenticavo qualche ciocca, è veramente un obbrobrio.

Insomma, Jim Garrison di JFK nella parte di un criminale. Ma dai, suvvia.

Invero, come saprete benissimo, in Un mondo perfetto, Costner era già stato criminale. Sì, però un criminale sfigatissimo.

Detto ciò, Costner è un grande. Checché se ne dica. E infatti Balla coi lupi e Terra di confine sono due suoi film capolavoro sia come attore che come regista. The Postman? Non so…

Il signor Costner si è giocato il cervello, però. Lui doveva darsi completamente alla regia, invece ha ballonzolato di qua e di là, senz’alcun centro di gravità, tra film abbastanza riusciti e idiozie immonde.

Fatto sta, malgrado questo, ultimamente è tornato in forma. Non tanto fisicamente perché in Highwaymen ha un panzone da birra che nemmeno Ciccillo Triunfo, bensì dal punto di vista prettamente attoriale, eh già. Sì.

Costner è sempre stato un bell’uomo. E l’ha sempre saputo, facendo spesso il piacione stempiato col fascino del liberal altolocato.

Stesso discorso dicasi per Matthew McConaughey. Uno che della “piacioneria”, della “belloneria”, permettetemi questo neologismo falotico, aveva fatto il suo cavallo di battaglia, fra carinerie di film sciocchi e scemenze per allocchi.

Eppure tutti noi stupì con la cosiddetta McConaissance. Inanellando una serie d’interpretazioni prodigiose, ma che dico, miracolose.

Ci aveva illuso. Perché, dopo il suo Oscar, il suo epocale Rust Cohle e il Cooper d’Interstellar, appunto, è caduto dalle stelle nuovamente alle stalle.

Almeno questo è ciò che dice la Critica. La foresta dei sogni è stato unanimemente considerato il film più brutto in assoluto di Gus Van Sant.

Matthew si è quindi impegnato come un dannato, ingrassando per Gold. Ma il film non se l’è fumato nessuno. E lui ha dovuto ridurre il colesterolo, mangiando per tre mesi solo minestroni.

Free State of Jones? Non l’ho visto. Mi manca. Dicono che sia discreto e che lui sia bravo. Fatto sta che anche questo qua, a livello commerciale, è stato un super-flop.

Dunque, La torre nera. Una cagata pazzesca.

Devo ancora vedere Cocaine ma non mi convince.

Serenity? Altro film sbudellato dalla Critica USA.

E The Beach Bum di quel tipo da internare, ah ah, si scherza, di Harmony Korine, è stato già descritto come un film volgare di una certa poetica.

Ma cos’è quest’ossimoro? Che poetica può avere un film volgare?

Sì, taluni critici l’hanno poi definito un pastrocchio edonista ove McConaughey, più che il grande Lebowski coi soldi, pare un pornoattore californiano.

Presto arriverà pure Bush di Guy Ritchie, il cazzaro per eccellenza.

Ma è arrivata comunque la notizia secondo cui il nostro bel Matthew sarà nel nuovo film di Chan-wook Park.

Quello di Oldboy? Sì, è lui.

Abbi fede, Matthew. Sì, tu hai la fede, sei sposato da anni con una modella.

Sono io che avevo fede nella gente invece mi sto mangiando le dita. Ah ah.

Insomma, questo bambagione del McConaughey è proprio un ottimo guaglione che se la tira.

Ah ah.

Di mio, gigioneggio senza dare nell’occhio.

E, al bar, mi bevo il caffè, adocchiando e ordinando anche un cornetto.the-highwaymen-150744

 

 

di Stefano Falotico

La situazione sociale-politica, lavorativa e artistica della scena italiana


17 Mar


Sì, veramente. Mi son scocciato. Qui passano sempre queste fiction con Sabrina Ferilli diretta dai Tognazzi. Ammorbanti, false produzioni per gente che oramai non ha molto da chiedere alla vita.

Patetiche come l’ultima lagna di Ligabue. Siamo passati dalla comunque apprezzabile Certe notti, canzone che aveva un senso perché apparteneva alla sua sincerità, alla sua onestà, oserei dire cafona ma poetica-campagnola, a quest’abominio, Certe donne brillano. Una scialba, ruffiana imitazione di Zucchero, donne… tùtùtù… ah ah.

Meglio quell’altra, appunto, canzone ove voleva sentirsi uomo. E, fra cosce e zanzare, come recita il celebre ritornello, tirava a campare nella provincia in modo Radiofreccia.

Un uomo del popolo, normalissimo, senza molti soldi. Che ci raccontava dei suoi bagordi, dei suoi amori selvaggi con un impeto e una vitalità straordinari. In quella canzone, sebbene altrove io abbia scritto altro in merito, ah ah, vi era tutto il suo cuore, sdrucito, combattivo, quello di un cantore-lottatore che pigliava batoste a tutt’andare. E con gli amici, al bar, almeno per un po’ si acchetava fra bevute e fugace calore.

Adesso è viziato il Liga. Si è appollaiato nel buonismo romantico più compiacente il femminismo da mimose. Sì, non ho mai capito perché si debba festeggiare l’8 Marzo. Per onorare la donna?

Abbiamo capito. Siete state per anni il sesso debole e avete subito angherie, prevaricazioni a raffica e avete dovuto sudare per ottenere il vostro spazio di luce e serenità.

Ok, adesso mi pare che la par condicio ci sia, no? Ah no? Ancora ce la menate?

Uomini, dico, ribellatevi contro questo movimento MeToo. Se la donna addà ess’ donna, l’uomo deve essere homo. Lo dice anche Catherine Deneuve, una che aveva eccome il suo perché. Se lo dice lei è perché l’uomo deve rimanere tale.

Vi ricordate nel secondo Rocky? Stallone dice a sua moglie, Talia Shire/Adriana, che se lui rispetta le sue scelte da donna, be’, lei deve permettere che lui rimanga un uomo.

E l’uomo deve essere anche un pugile, non tanto nella virilità squallida, bensì nel suo cuore…

E alla fine Sly non rinuncia al suo sogno.

Ora, vi spiego molto bene come stanno le cose perché mi sa che vi siete rammolliti come Rocky del terzo episodio. Vi siete infiacchiti. E adesso passate la vita a fare i moralizzatori e i pensatori liberi ma invero avete soltanto abdicato alla routine. Vi rivoglio nel ring e dovete ringhiare.

Sì, la dovremmo finire coi luoghi comuni, le stereotipie, la retorica di chi parla a vanvera ma ce l’ha sempre parato.

E quella lì di Destra? Ridacchia, sbeffeggia, fa anche le boccacce. E prende tutti a pesci in faccia… la bagascia riccona.

Eh sì, secondo lei non ci arriviamo. Per forza, lei è arrivata e sapete come. Oh oh.

Quelli di Sinistra, i più fottuti, sono pure peggio. Dei radicalchic ipocriti da far vergogna. Citano Marcel Proust e Philip Roth ma non credo che abbiano mai letto un solo loro libro. Al massimo, come tutta tal massa becera di finti intellettuali, riempiono le loro bacheche Facebook di citazioni un tanto a umore del giorno.

Il loro mondo non regge più. Questo mondo di programmini televisivi fatti d’inutili, controproducenti tribune elettorali.

E di recite parrocchiali.

I 5 Stelle è il partito degli ignoranti? Be’, certamente, Di Maio non è un grande letterato. A dirla tutta. Ma smettetela con la storia dei congiuntivo. Come dico io, non è da un congiuntivo e nemmeno dalla congiuntivite che si giudica un politico. Nemmeno un pollo. Neppure una donna e un uomo. Ci son cose più serie e importanti di un congiuntivo.

Al che, un mio amico mi chiede consiglio e io voglio essergli molto sincero.

– Sai, sono innamorato di quella di cui ti avevo parlato. Ma mi sa che finirà assai presto. Tu dici di no?

– No, dico di sì.

– Sei sempre così pessimista. Ah, grazie mille.

– No, sono realista. Ecco, raccontami. Ieri sera l’hai invitata a cena. Poi siete tornati a casa e avete fatto l’amore. Bene, anzi ottimo.

Toglimi una curiosità. Tu quanto guadagni al mese?

– Arrivo a stento sui 600 Euro.

– Ora, facciamo due conti. Devi calcolare l’oste.

– Quello del ristorante?

– No, quello della vita. Un oste assai severo. Sai? Bene, tu ami lei e lei, a quanto pare, ama te.

Perfetto, non fa una piega ma forse lo fate sulla trapunta.

Ora, lei, come tutte le donne e anche come tutti gli uomini, ha bisogno di divertimenti. Non solo quelli piacevoli del vostro far all’amore.

Vuole andare al cinema, vedere la tv, comprarsi un nuovo vestito. A queste modiche, si fa per dire, spese devi aggiungerci la benzina della macchina, le bollette di luce e gas, l’abbonamento a Fibra. E che mi dici? Vuoi toglierle pure Netflix?

No, Netflix lo teniamo. Così risparmiamo. Le sale son sempre affollate di gente che capisce poco di cinema e fa un baccano della madonna.

Il film è meglio che ve lo spariate e gustiate in intima solitudine, semmai a luce di candela.

Quindi, Netflix lo teniamo. Hai l’abbonamento Basic Instinct? Ah no? Solo basico? 8 Euro al mese. Sì, 7 Euro e 99 a casa mia fanno 8.

Dunque, due più due, mettiamoci anche che ieri tu avevi fretta, sei passato col rosso e ti è arrivata a casa una multa di 300 Euro.  E in quattro e quattr’otto lo stipendio non sta nel 730. Mi dici che ci sta? Che fai? Evadi?

Quanti soldi rimangono?

– Nessuno. Anzi, sono andato in passivo.

– Sì e lei fra qualche giorno andrà con un stronzo ignorante pieno di baiocchi. Capisc’?

 

Eppure questo discorso non funziona del tutto. Dare i redditi di cittadinanza non serve a niente. Mettere le toppe…

Ma mettiamo che tu, puta caso, come Chris Walken de La zona morta, sei un bravo insegnante, innamorato della tua donna. E tu e lei abbiate già stabilito il giorno delle nozze.

Ma fai un incidente pazzesco. E vai in coma.

Al tuo risveglio, come la vedi?

– Ah, la vedo solo qualche volta. Sta con un altro.

– Non parlavo di lei. Moralmente sei distrutto, economicamente pure peggio. Sì, nel film La zona morta, Chris ha il villino e campa con le ripetizioni private.

Ma è un film. Stephen King, fra l’altro, ha il villone. E ho detto tutto. Se Stephen scrive un libro horror, compra una macchina nuova al figlio. Se lo scrivi tu, ti fanno un TSO.

La realtà è ben diversa, bello mio. Tu il villino non ce l’hai e, con le ripetizioni, non solo non ti puoi comprare la casa bensì mi sa che presto ti sfratteranno. Eh sì.

Ci penseranno quelli di Destra a darti manforte? Ah, se sei nella merda è colpa tua?! Questo è il loro motto! Prova a dire una sola parola e ti sbattono in cura a far terapia di gruppo.

E poi vai di grappa! Alcolizzato perso. Altro che al galoppo!

Oppure quelli di Sinistra con la loro demagogia retorica? Hanno rovinato tutto con le loro utopie alla Bertolucci. Sì, Bernardo inneggiava all’amore, al godimento puro, alla libertà. Non col potere bensì col podere. Sì, la casa di Bertolucci, bellissima casa. Come in Beautiful.

– Perciò devo votare i 5 Stelle?

– No, vota per te.

– Che vorresti dire?

– Quello che ho detto. E smetti di compiacere il prossimo. Tanto, se vorranno fregarti, puoi essere pure premio Nobel.

– Sei un duro.

– Mi spiace contraddirti per l’ennesima volta.

Sono stanco. Delle chiacchiere, delle urla, delle belle parole. Delle fregature.

Fidati, amico. La fregatura non è una cosa da duri. È solo una rottura. Se non volete credermi e pensate che dica solo stronzate, mi sa che questa sarà la vostra faccia…

Pacino Dog Day Afternoon

 

di Stefano Falotico

 

Dario Argento è tornato alla regia e io son tornato a essere quello per cui sono nato


17 Mar

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Ora, sento dire da voi di questa generazione che definire Maestro il signor Dario Argento significa peccare di generosità. Di troppa magnanimità. Perché Argento, al massimo, secondo voi, è un discreto artigiano e uno che da più di trent’anni non ha più girato un grande film.

In questo posso darvi ragione. In effetti, Dario, essendo figlio di un’altra epoca, così tanto è stato innovatore e rivoluzionario della stessa in ambito cinematografico, quanto, non sapendosi rinnovare nei suoi, diciamo, canovacci a loro volta passatisti e anacronistici, ha poltrito in un modo di fare Cinema forse sorpassato, senonché macellato da giovani resisti certamente più svegli. Come se fosse stato colto spaventosamente da un sortilegio stregonesco alla pari della sua eroina di Suspiria. E si fosse incantato, in senso lato.

Ma arrivare a dire che l’appellativo maestro bisogna adoperarlo soltanto per gente come Hitchcock, lui sì, oh, maestro vero della paura, delle ossessioni umane più profonde, perverse e recondite, mi pare alquanto irrispettoso.

Come disse, infervorato e adirato a morte, il giornalista calcistico Franco Ordine, quando a Controcampo, la platea a furor di popolo urlò che Figo era una scamorza, Ordine, con urla disordinate e molto arrabbiato, richiamò appunto all’ordine. E declamò, dico declamò, oserei dire sbraitò, gridò un…ma  sapete di chi state parlando? Di un pallone d’oro. PORTATE RISPETTO!

Quindi, si rivolse a Piccinini e gli disse: – Piccinini, ma perché io devo parlare con dei piccini?

 

Ah ah. Invero, questo non lo disse ma lo dico io. Ah ah.

Un momento comunque, oserei dire, epico.

Dunque, a chi, con ignoranza abissale dice che Dario Argento è un semi-cazzaro, io dovrei suonargliele.

Ma lo perdono perché è incosciente. Sì, non ha coscienza di chi Argento è stato negli anni settanta. E di cosa ha rappresentato, non soltanto a livello cinematografico.

L’unico, insuperabile “folle” che ha avuto il coraggio spropositato, dunque ammirevole allo spasmo, di scardinare totalmente i canoni vetusti del Cinema italiano. Fregandosene di quel Cinema amarcordiano, dunque bolso e felliniano, ripiegato su patetici ricordi di gioventù, sul farlocco concepir la Settima Arte come un diario di memorie personali a magnificazione del proprio piccolo mondo sempliciotto e provinciale sin all’osso. Sì, Fellini aveva rotto.

Non fraintendetemi. A Federico riconosco meriti immani, oserei dire disumani. Ma il Cinema italiano, parimenti alla statunitense New Hollywood, appunto, dei seventies, doveva fare il salto di qualità.

Ovvero emanciparsi da storie, sì, belle, lodevolissime del neorealismo, dalle tragedie del dopoguerra ed esplodere, oserei dire, fiammeggiare turbolento in maniera artisticamente invereconda e potente.

E allora ecco che Dario fa una cosa che nessuno, perlomeno quasi nessuno, aveva fatto sin a quel momento.

“Parlare” di storie dell’orrore, aprirci gli occhi sull’incubo chiamato vita.

Se negli States, il grande John Carpenter inventava e tirava fuori dal cilindro il suo archetipico psicopatico per eccellenza, cioè Michael Myers, con Halloween, datato 1978, il signor cazzaro Argento, come dite voi, aveva già girato “filmetti” come L’uccello dalle piume di cristallo4 mosche di velluto grigioProfondo rosso e, appunto, Suspiria, datato 1977.

Vero? Ora io che dovrei farvi? Spaccarvi la capa e accoltellarvi alla mannaia, no, maniera di Myers?

No, sono clemente e vi scagiono da ogni colpa, figlia della vostra smemoratezza, della vostra avventatezza, della vostra impavida, diciamocelo, scemenza. Ah ah.

Sì, Dario Argento, peraltro, sta preparando, a essere precisi, una serie. Ancora le riprese non sono iniziate.

E in streaming, forse su Netflix, la vedremo.

Se dite che Netflix non è il futuro, pigliatevi il drivein. E smettetela.

Sì, dovreste veramente finirla. Andare al cinema è bello, è bello gustarsi i grandi film sul grande schermo.

Ma lo ribadisco, senza vergogna. Le sale d’essai son sempre meno, soppiantate oramai da un ventennio abbondante dalle multisale. Che hanno un parcheggio spazioso e poltroncine confortevoli. Ma devi sorbirti mezz’ora di pubblicità, la folla che, mangiando patatine e popcorn, non capisce niente del film e ti distrae con la sua sguaiatezza.

Poi, la sala, diciamocelo, ha perso oggigiorno valore. Sì, non sto bestemmiando. Un tempo le coppiette andavano al cinema per potersi baciare, lontane dagli sguardi malevoli dei genitori e del film se ne fregavano. I ragazzi marinavano e, quando ancora c’erano gli spettacoli mattutini, s’infilavano in una sala per passare due ore in compagnia dei loro eroi.

Il Cinema, non scordiamolo mai, è nato come intrattenimento popolare. Le sale erano un luogo di ritrovo, di aggregazione. Questo valore le sale l’hanno perso per tante ragioni.

Quindi, è inutile che vi ostiniate, duri come delle capre a combattere Netflix e Amazon.

E ripeto: portate rispetto per il signor Argento.

di Stefano Falotico

I più grandi registi viventi sono anche dei filosofi, Cronenberg docet, post alla Tarantino


17 Mar

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C’è un film che, come un fulmine a ciel sereno, per l’ennesima volta mi ha stupefatto, rivedendolo.

Scanners. Era da un’infinità di tempo che non lo vedevo. E mi ha scioccato nuovamente.

Non tanto per la celeberrima scena dell’esplosione del cranio. Che, a esservi sinceri, quando la vidi a 15 anni o giù di lì, oh, non mi fece dormire la notte. Alla sua prima visione, dapprima rimasi agghiacciato, tumefatto appunto nel cervello. Spappolato e pietrificato. Mi lasciò di sasso.

È una delle scene più violente di sempre. D’una cattiveria inaudita.

Michael Ironside, nel suddetto film è Darryl Revok. Uno psicopatico a piede libero. Più volte internato ma che è sempre riuscito a farla franca per via dei suoi telepatici poteri paranormali.

Insomma, un fuori di testa assai pericoloso.

E alla fine del film capiamo che lui e il personaggio interpretato dal dolente, “poveretto” Stephen Lack sono fratelli.

Figli di un padre degenerato che, sino a quell’istante, ci era stato presentato come uno psichiatra filantropo. Che voleva alleviare le sofferenze e i disagi clamorosi di Lack.

Invero, costui scopriamo ch’è una sorta di Dottor Frankenstein e i suoi due figli, tanto anomali e anormali quanto potentissimi, sono stati originati da un involontario esperimento scientifico di natura scellerata.

Come per tutti i grandi film e le opere magne, nell’analizzare il valore capitale di questo film mastodontico, possiamo adottare varie chiavi interpretative. E tutte impeccabilmente funzionano.

Potremmo prenderlo per un thriller pieno di suspense perfino con scene rocambolesche d’inseguimenti in macchina. E avrebbe il suo grande perché.

Oppure, elevando un po’ la nostra esegetica, possiamo scandagliarlo scena per scena e addivenire che si tratta, così come succede spesso per i capolavori, categoria alla quale Scanners appartiene di diritto, inconfutabilmente, di un film profondamente metaforico.

Sul potere della mente, sul condizionamento, sulla forza persuasiva della supremazia ideologica. Eh sì.

Chi vince, in questa società, non è tanto quello più forte fisicamente, questo film è un chiaro, incontrovertibile schiaffo in faccia all’edonismo. Una monumentale ode all’Inland Empire.

Il fisico si può rompere, può venire danneggiato ma, con un po’ di robusto, energico allenamento, con sana abnegazione e un doveroso trattamento, con un pizzico di riabilitazione eseguita a regola d’arte, ecco che dei patimenti corporei, amico, non più ne risenti. E non più ti lamenti.

Se invece sei un demente, la vedo molto dura, sai? Non saprai ove ti colpiscono, oscurato dalle tue distorsioni e, se per un attimo di chiarezza illuminante, ti ribellerai, scalciando, ti sederanno.

Sì, senza la mente, hai voglia tu ad aver il fisicone ardente. E per mente non intendo essere laureati in Fisica. Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi. Anche se poi non ho mai capito perché quella civiltà, tanto tosta a parole e a filosofia apparentemente imbattibile, sia stata soppiantata dalla nostra, oramai improntata al culto di qualcosa che è l’antitesi di Qualcuno volò sul nido del cuculo, detta sinceramente.

Una società ove ogni valore è stato distrutto, destrutturato, fatto saltare in aria.

E, chi resiste nella nostra società… be’, dice lui che sta resistendo. Invero, la sua esistenza è già fritta. E questo ve lo dico io. Dai, donna, dammi quella frittella. Eh eh.

Senti quello. Continua a dire a tutti che lui se ne fotte. Infatti, è in manicomio.

Sì, stiamo tutti male. Siamo malconci nell’animo nonostante le belle acconciature, è inutile, e questa è una mia frase cult, andare da un ottimo parrucchiere se poi si rimane dei parrucconi.

Cosa? Cosa? Hai letto bene. Ripetiamo, è inutile andare da un ottimo parrucchiere se poi si rimane dei parrucconi. E aggiungo, peraltro, è insulso portare il parrucchino se si gioca nella vita alla evviva il parroco.

In maniera cioè approssimativa, della serie… ma sì, pigliamola a calci. Dove va… va. Basta che vada al tiro a segno. Sì, è lì che finirà se continuerete a fare i cecchini delle vite altrui.

Come sosteneva Martin Scorsese in The Departed, ah, non ci sono molte strade. Puoi diventare criminale e usi la pistola, oppure entrare in polizia e far pulizia dei criminali col silenziatore.

Oppure, fare una vita anonima e spararti nel cuore. Perché diverrai grigio, perbenista. E, invecchiando, non potendo contrastare le giovinezze che ti appariranno troppo strane e non allineate, diventerai un noiosissimo omone polemico, retorico e barboso. E ce l’avrai con tutti. Scandagliandoti contro le donne, accusandole di essere delle poco di buono, desiderando soprattutto che le menti geniali si adattino a una visione oscenamente moderata, quindi frenandole nei loro vivi ardori più fantasticamente creativi.

Insomma, comincerai a ragionare come un cretino, un puntiglioso uomo schizzinoso.

Ah, che bella vita si prospetta. La vita è sempre un colpo in pancia. Oppure, se incontri un poliziotto “caritatevole”, un pugno in faccia e basta.

Come diceva Totò… in galera ti mando. Ed è lì che avrei sbattuto Ironside. Ma pure Iron Man. Ma sì, questo Iron Man, non ho capito, è ricchissimo, fortissimo, indistruttibile, figo da morire e dobbiamo eleggerlo pire supereroe? Ma è una discriminazione classista mai vista. È una vergogna che urla vendetta, Cristo!

E che c… o. Sì, Iron Man non è un pacifista, nemmeno un edonista. Non lo può sconfiggere il più devastante comunismo. Manco i nazisti. Eh no. Come fai a bruciarlo? Ha la corazza d’alluminio, acciaio Inox. Come le pentole di mia nonna. Sì, lei è morta, le pentole no. Anzi, puoi alzare ancora la temperatura e diventano abbronzate.

Sì, fra Oliver e Sharon Stone, scusate, io piglio Sharon. È un’attrice che, a parte Casinò, fa vomitare. Per il resto è tuttora molto buona. Sì, sì, sì. E, se proprio devo sputtanare tre ore della mia vita, almeno è meglio passarle con Sharon, piuttosto che ammosciarsi con Alexander. Come no?

Se ti dico che è così, abbi fede… sì, dopo essere stato con Sharon, ti viene un vocione che manco Jim Morrison e si apriranno The Doors del paradiso.

Almeno la Sharon di venti anni fa. Gran donna.

E qui sono Pacino di Scent of a Woman. Ah ah.

Ma abbiamo perso troppo tempo con gente che non merita. Passiamo a gente che può davvero darci qualcosa. Sì, Sharon può dare molto, eppure anche questi non scherzano.

Cronenberg è un genio. La sua filmografia è impressionante. Lynch anche.

Tu? Insomma, non tanto.E questo è quanto.

Io chi e che sono? Uno come tanti. Non sono Tarantino ma non sono nemmeno quel cesso lì, Costantino.

 

 

di Stefano Falotico

 

Fermi con le mani, il Santo deve rimanere sano e saldo, non ci saranno sal(d)i che tengano…, evviva Mickey Rourke!


16 Mar

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Fermi con le mani, il Santo deve rimanere sano e saldo, non ci saranno sal(d)i che tengano…, evviva Mickey Rourke!

No, nessun santo che tenga.

Da quando, anni fa, oserei dire ani fa, mi rigettai nel casino pazzesco di massa, fu veramente un macello, un bordello.

Soffrii pene… dell’inferno, contorcendomi nello strazio delle mie budella e inconsolabilmente mangiando tonnellate di budini. Per sopperire alle delusioni disarmanti, figlie della vostra traviata ars amandi.

Sì, il vostro concetto d’amore è assai limitato e vi fagocitate, affannate, cannibalizzate in un pasto nudo che ha poco a che vedere con William Burroughs.

Come il sottoscritto, il vegliardo William si dissociò mentalmente, dunque anche fisicamente, da un mondo malsano ove a dominarla è sempre stato l’aspetto più pecoreccio del sesso più smodato e maleducato, zozzo, pervertito e inchiappettato.

William divenne precocemente incartapecorito perché non era un maniaco delle pecorine. E, fra una sua mania igienica e l’altra, tra svariati disturbi compulsivi mai visti, tagliava una buona fetta di pecorino e sublimava la decadenza dello squallore occidentale, posando il formaggio in un piatto che mai piangeva le vostre sofferenze patetiche da donne che, pur di piacere al burino Pinco Pallino, vanno a far palestra, prodigandosi in cure dimagranti senza la Sachertorte di morettiana memoria.

Sì, facciamoci del male. Pur di avere un orgasmo con un becero uomo ignobile che, dopo aver bevuto il whisky, fa scoregge e gargarismi a tutte le orge, no, ore, la donna mediocre è disposta a tutto per istanti risibili di calore. Optando per una dieta da far schifo al cazzo anche al questore. Uomo ligio all’ordine e sempre abbottonato. Mah, secondo me è meglio l’oratorio.

Sì, io sono immemorabilmente, sì, smemoratamente, stato un fautore e un fanatico delle donne giunoniche, formose, dalle forme armoniosamente voluttuose, queste donne ampollose, ma non nel senso di donne ridondanti, tronfie e retoriche, bensì un po’ sanamente gonfie, ah, più gonfie sono e più mi si gonfia, queste donne calorose davvero, autentiche, sì, dalle forme rotonde e dal cervello un po’ da tonte ma dalle curve circolari, sinuose, pericolose, simmetricamente gioconde come un’ampolla. Queste donne sferiche che non usano raffinatamente penne a sfera ma parlano come dio comanda. Che sanno subito arrivare al sodo e non necessitano di panegirici e di rassodarsi i glutei ma mangiano uova sode e il glutine.

Queste donne lavoratrici che sanno cos’è il sudore della fronte e anche di qualcos’altro. Queste donne per nulla dannate che si dannano come delle matte, che faticano e poi se la godono. Queste donne d’annate, queste donne d’antan. Oramai non ci sono più, sono tutte andate.

E anche voi, maschi, a puttane.

A parte gli scherzi, io sono mister pudicizia, mister freddezza. Roba che un ghiacciolo al limone al Polo Nord, confrontato al mio calore, è più sciolto di un melone a ferragosto.

Io non mi sghiaccio mai. In tante mi cercano, mi bramano ma in fondo non le amo. Perché già patii, per colpa della mia scellerata ingenuità, della mia avventata inesperienza senza che prima esperissi la mia sincera durezza, i piaceri della carne in ogni sua peccaminosa sconcezza. E fu una grigliata. La mia carne, affusolatasi, rosolata in lei avviluppata al mio membro ingrossato, sgrassata e troppo gasata, oh sì, perse la bussola e fu solo una sola. Più amara dell’aceto balsamico dell’insalata.

Tanto sole, tanta luce dei miei occhi e tanto squittente fervore del mio coso inalberato, a lei inoculato, introiettato e spalmato, oh, e smarrii ogni purezza. Estintasi in un fatale amplesso che mi fu letale.

Era meglio quando, depresso, rannicchiato nel mio letto in posizione fetale, non avevo ancora sperimentato quella posizione là. Sì, anale. Prima che il colore lilla di Rossella non mi fosse bruciante ogni innocenza romantica. Lei, troppo ardimentosa, focosa e lussuriosa, scarnificò ogni santità e mandò a troie ogni mia, mentale e non, sanità.

Che sbaglio orrendo. Che botta devastante.

Ecco cos’è successo. Questo maledetto sesso. Lei invero non si chiamava Rossella ma era tanto bella, al che il mio uccello dapprincipio ne godette di fottuto giovamento, quindi la mia anima fu inculata e spogliata d’ogni residua, sin a quel momento addomesticata giovinezza immacolata, priva di ogni sessuale giustezza stuprata.

Fu uno schifo, diciamocelo.

Da allora, presi più coscienza e più cosce. Eppure, parimenti a questo venir più… dentro la vita apertasi e spalancatasi al mio inveirle sofferto ma soprattutto erto, subii un contraccolpo psicologico di natura antologica e forse ciclopica. Forse solamente ecologica. Più a contatto con la natura, ah ah.

Da nano onanista ecco che diventai un comune uomo fancazzista nel senso letterale del termine. E tutte volevano farsi l’affare mio.

Sì, oltre a volersi fare quello, attentarono persino alla verginità del mio cuore con inusitata, scriteriata mancanza di pudore. Con lordezza, malizia e scostumatezza. Senza neppure mestizia! Deflorandolo, mangiandoselo vivo, al sangue insomma, ficcandolo con cattive insinuazioni, obbligandomi ad ascoltare oscene canzonette d’amore e trattandomi da pupazzo con una chiarissima faccia da cazzo come Mickey Rourke ai minimi storici. Cioè quello di 9 settimane e ½.

Indubbiamente uno che fa la sua porca fig(ur)a, come si suol dire ma che, pur di accontentare la passerona, si riduce ad amare Pretty Woman.

A te, donna, piace che mi piaccia questo film? Sì, ti piaccio di più se mi piace? Allora me lo faccio… piacere.

Che vergogna indicibile. Inenarrabile.

Ma io, senza peli sulla lingua, voglio narrarvi tutto per filo e per segno. Senza più seghe di mezzo. Su, non facciamoci i pompini a vicenda, come sosteneva Mr. Wolf. Un vero lupo di mare…

Non ci sono più cazzi che reggano. Questa vita è una gatta da pelare.

Sempre incasinata.

Era meglio quando stavo giorno e notte in casa. Incassato, anche incazzato ma almeno felice. Sconclusionato ma non ustionato.

Ora, ecco che spunta uno che scopo, no, che scopro… mi segue da tempo. È un mio fan.

Sì, è Glenn Close di Attrazione Fatale versione bisex. Certo che Adrian Lyne è sempre stato un bel porcello. Vedi che Richard Gere torna? Sì, gira e rigira, è tutto un giro di prostituzione anche attoriale.

Unfaithful – L’amore infedele. E non fatemi andar a parare su Diane Lane. Oh, mio dio. Qui parliamo di un pezzo da novanta, anzi, da mettere anche a 360 gradi. Gradisca!

Io non mi ricordo niente di quello che scrivo e faccio. Quando scordo, ad esempio, le chiavi della macchina, telefono a questo mio estremo ammiratore e gli chiedo dove le avevo dimenticate. Le chiavi!?

Lui di me non sa solo vita, morte e miracoli ma mi ha proposto addirittura di girare assieme a lui un porno.

Mi ama alla follia. Vuole denudarmi e sputtanarmi completamente. E io invece voglio solo denunciarlo. Ah ah.

E dire, cazzo, che ero stato così meticoloso, mi ero apposta ammalato di fobie sociali, di schizofrenie allucinanti, di depressioni galoppanti e impotenze di ogni tipo e topa. Per rifuggire dal porcile e dalla toppa, patta, persino da Patty. Cazzo, Patty non è male. Ah, quando pattina, lascio stare questa vita in pantofole, con le pattine, e mangio la sua patatina.

Ma avete fatto di tutto per fottermi.

Siete proprio dei figli di puttana.

Ah ah.

Andate a farvelo dare in quel che so io e sapete voi. Ma che sapete? Una beneamata minchia.

Che Genius che sono!

L’unico genio che riesce a fottere tutti e tutte ma soprattutto come incula sé stesso nemmeno questo.

 

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di Stefano Falotico

When They See Us, una serie che aspetto con ansia


16 Mar

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Mi spiace che si fa gran parlare di serie decisamente brutte, iper-sponsorizzate e invece si sia trascurato il notevole teaser trailer, innanzitutto, di When They See Us di AvaDuVernay.

Regista che, personalmente, non è che mi stia simpaticissima. E, sebbene io non l’abbia visto, da quel che sento, deve discolparsi per quella ciofeca kitsch de Nelle pieghe del tempo. Film costosissimo che doveva far sfracelli e invece è stato subissato dalla Critica. Da tempo amica intima di Jane Rosenthal della TriBeca di Robert De Niro, assieme al signor Bob, alla stessa Rosenthal e a Barry Welsh, si è lasciata produrre quest’affascinante serie Netflix, della quale abbiamo avuto qualche giorno fa un primo assaggio visivo.

Il trailer, stringatissimo e ridotto all’osso, è sinceramente bellissimo.

When They See Us sarà una serie di soli quattro episodi di cui, statene certi, sentiremo parlare. E infatti, ripeto, mi stupisco che questo primo filmato di lancio sia passato abbastanza inosservato.

Tant’è che Netflix Italia non ha ancora rilasciato quello della versione, appunto, italiana, nemmeno sottotitolato. Il cast è notevole fra giovanissime promesse e nomi affermati come la bellissima Vera Farmiga e John Leguizamo, fra la stangona Famke Janssen e quel bravissimo Michael Kenneth Williams che avevamo avuto modo di apprezzare in una serie, però firmata HBO, secondo me fra le più potenti degli ultimi anni, The Night Of. Parimenti a The Night Of, peraltro, anche in questo da me molto atteso When They See Us abbiamo a che fare con un caso eclatante d’ingiustizia atroce. Se però in The Night Of la storia era figlia della pura fantasia di Richard Price, straordinariamente sorretta dalla regia puntuale e cattiva di Steven Zaillian, qui parliamo invece di un caso giudiziario fra i più sconvolgenti e scandalosi della storia. Eh sì. I cinque di Central Park. Una delle più oscene mostruosità mai avvenute sulla pelle di cinque ragazzi che hanno passato i migliori anni della loro vita fra le sbarre e, soltanto dopo un quarto di secolo, sono stati scagionati dalle pesantissime accuse e dichiarati innocenti. Storie che, ahinoi, succedono ancora. Fra equivoci di portata mastodontica e tristissima, tragicomica e perenni, impuniti torturatori ove l’indagato a vita può essere, che ne so, anche di un futuro premio Nobel e la persona moralmente più sana del mondo, ma qualcuno non ci sta. Perché è una sadica capa tosta. E sulla base di pregiudizi, di allarmanti visioni distorte, non desidera mai fargliela passare liscia. Provocando una un “tanto a chilo” per indurre a sbagliare ancora. Storie allucinanti, miserevoli e agghiaccianti. Storie da denuncia e da risarcimenti pesantissimi. Che, purtroppo, non hanno niente di miracolistico ma, onestamente, hanno tanto di angoscioso, repellente e devastante. Sì, purtroppo o per fortuna rimango fra quelle poche persone convinte che prima d’incarcerare qualcuno, sulla base di pochissimi elementi partoriti da deduzioni approssimative, psicologicamente circostanziate e circospette, bisognerebbe, con estrema cautela, indagare a fondo.  Per appurare la verità. Solo allora, dinanzi a prove evidenti e schiaccianti, si può procedere. Altrimenti è un orrore, una terrificante limitazione della libertà delle più aberranti e schiavistiche, una stigmatizzazione non solo fisica, un pasticcio mai visto. Prima di parlare e sputare sentenze, appunto, a casaccio, bisognerebbe ben conoscere tutto. Vederci chiarissimo. Anziché seppellire il vero sotto un cumulo di scemenze, di tremendo occultamento, di plateale insabbiamento politicamente corretto, di idiota buonismo utopistico.

Buona giornata.

Parola di un duro, di un amante del Conte di Montecristo. Libro che scommetto molti di voi non sanno neppure che esista. Ah, misere, inutili parole al vento… che triste(zza) come direbbe chi vuol mentire perché gli fa comodo tacere o non volerne sapere… tanto la vita va avanti. Forza, coraggio!

Sei un grande… sì, e altre frasi fatte di circostanza.

 

di Stefano Falotico

JOKER-Landia: nel mio mondo si fa tutto un altro gioco ed è un gioco molto doloroso per me e per voi, soprattutto


15 Mar

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Oramai, credo che vi siate accorti tutti che il mondo odierno, se ancora si può parlare di mondo, è finito pazzo da un pezzo. Perde i pezzi. Tutt’al più ruota attorno alle solite cantilene, un caravanserraglio di moine, sguaiatezze, d’immoralità di bassa lega spacciate per trasgressione. Un mondo di pazzi. E pupazzi. Appunto. Ma questo non mi turberebbe. Il mondo è sempre stato dominato dalla pazzia. La pazzia dei potenti, dei regimi totalitaristici, ipocriti e fascisti è stata, sin dalla notte dei tempi, alla base di ogni ingiustizia, quindi di quella reputata una società giusta. Invero cafona e irruenta se non assai scelleratamente violenta. Perché, sulla pelle di chi combatteva per ideali di eguaglianza e illimitata libertà, son stati commessi imperterriti, impuniti abomini. Al fine che prevalesse perennemente l’egemonia del pensiero più conformista, aderente ai parametri, appunto basali e basici, di una società falsa, superficiale. Ridanciana e reazionaria. All’apparenza puritana invece consacrata all’animalesco puttanesimo.

Ove chi ha i soldi, volenti o nolenti, decreta legge e perfino accomoda la legge a suo piacimento, a ragione arbitraria dei suoi interessi se si è concesso il lusso, ah ah, di trasgredire le stesse regole ingannevoli che lui al prossimo ha prescritto. Traviando non solo la robustezza o la comunque labile debolezza della sua discutibile morale mai avuta, bensì mentendo dinanzi allo specchio e a dio stesso, spesso creatolo a immagine e somiglianza del suo solipsistico simulacro profano.

Allora, in questo mondo di verità ribaltate, il gigante, nell’anima, nella mente e nel cuore, schiacciato dall’alterigia intransigente di chi gli sta istituzionalmente, gerarchicamente sopra, è soffocato dalla mendacia di chi, che ve lo dico a fare, comanda e vien trattato puntualmente a pesci in faccia.

Disconosciuto non solo del suo intimo e prezioso valore, cioè appunto la sua anima, ma trucidato nella viva essenza della sua fiera, adamantina spontaneità. E vien reso inane a favore dei ragionamenti banali e unanimi.

Continuamente vilipeso, condannato senza fine a una pena detentiva, che ve lo dico a fare, straziante e disumana.

In questo mondo di finte equidistanze, di lotte di classe oramai svanite poiché tutto s’è imborghesito e appiattito, pesantemente alleggerito, vane e flebili son state né han valso, son valse le urla di rabbia già svanite. Contrite… Sempre più rare e peraltro presto taciute, inaridite, avvizzite, coattamente imbrigliate con l’unzione ricattatoria della presunzione che fa della squallida, deprimente, falsissima punizione la virtù bislacca e portante di questo mondo a cui dell’altro, in fondo, nessun importa.

Importa che tu abbia un ottimo portamento e che sia disposto a socializzare amabilmente in un patto filisteo di massa, ammazzato nel tuo simbiotico invece esser nato per pochi capaci di accogliere il tuo spirito falotico.

Castrato nel tuo slancio per colpa dell’omologazione più mortifera, reputata invece allegra da chi questi disvalori deleteri e pestiferi, sventolando orgogliosamente la sua prosopopeica bandiera che in grembo porta, issa vanitosamente in gloria.

No, è stato un fallimento. Totale, persino imbarazzante, oserei dire umiliante se non fossi stato io, con estremo, virtuoso, intrepido coraggio inaudito, a gridare, ad adirarmi che hanno sbagliato il trattamento e frainteso ogni cosa con ottusità e uno squallido, brutale volermi fregare dietro il menzognero ottundimento illusorio. Ah, che storia.

Oh, Il nome della rosa. È un libro che verte sull’universale verità intrinseca del mondo che, dietro capziose tonache, si professa san(t)o, e invero pecca nel buio nauseabondo della notte efferatamente immonda.

È un libro sulla purissima, bellissima conoscenza sopraffina e angelicata dell’amore nella sua forma meno corrotta, libera e selvaggia.

E soprattutto accentra ogni filosofico, sofista discorso esistenzialista su un’altra verità parimenti antropocentrica e non so se idealistica.

La liceità del riso. Un tempo, o meglio a quei tempi, oscurantistici e stregoneschi, superstiziosi e macabramente ottenebranti ogni forte (co)scienza pensante, ridere era considerato quasi un delitto. Un reato diabolico perpetrato da spregevoli lestofanti tanto sgargianti.

Perché la risata spesso fa il paio con la più volgare derisione maleducata. Con l’impudicizia dell’anima stronza nella sua bestiale, appunto fascista, sguaiata idiozia qualunquista.

Non si deve mai ridere delle persone malate, delle disgrazie altrui, non si deve ridere delle sfortune di chi ci accompagna in questo balzano viaggio ch’è la vita nostra, di noi tutti tanto strana.

Non si deve mai eccedere di riso, non si deve mai trasgredire, appunto, il patto solidale di reciproco rispetto e di buona creanza, non si deve mai offendere il buon senso con la scostumatezza e i vigliacchi colpi in pancia.

In questi casi, sì, il riso è malevolo, brutto, becero, buzzurro, orribile.

E perciò punibile. Da mettere al rogo e alla gogna. Poiché rappresenta la degenerazione dell’armoniosa, umana concordia. Una vergogna! Simboleggia l’atrocità del male più (s)porco ed è come se il maligno, ordendo e obnubilandoci con la sua malizia, annerendo ogni limpidezza in un’oscena allegrezza che invero è solamente agghiacciante tristezza, avesse assurdamente vinto con la sua immondizia.

È come se avesse trionfato l’idiozia.

No, la mia non è pazzia e non è nemmeno saggezza. È la visione di chi, dopo mille delusioni inflittemi, dopo tanta cattiveria gratuitamente figlia della stupidità più imbrattante, con le sue porcherie, fatte di risate partorite soltanto dalla più pusillanime sudiceria matta e mattante, non teme più nessuno e dunque imbratta e macchia il suo volto come fosse quello di un clown che a chicchessia non deve dar più conto. Tantomeno alla Chiesa.

Perché mi coglieste in un attimo di fragilità immenso e profondo. E, anziché sostentarmi nei miei sogni, nei miei ingenui, sì, ma stupendi romanticismi, affinché con la mia lucentezza potessi non arrecar disturbo al vostro mondo di malsano lerciume e di sozzo porcile tanto lordo, stupraste il mio cuore con violenti, imperdonabili affronti.

Invogliandomi a snaturarmi per farvi felici a sanità del vostro intoccabile orgoglio. A rinnegare ogni mia, vivaddio, straordinaria, sacrosanta melanconia per obbligarmi a crescere secondo le vostre ambigue, inique istruzioni bastarde e sconce, senza scorciatoie né sconti.

E anche io dovevo andare con la prima che mi fosse capitata a tiro… per sverginarmi. Voi direste svezzarmi. Che termine mostruoso e medioevale. Che scontro

Così, rendendomi un uomo normale, ah ah, carnale, meno mi sarei lamentato e non avrei più pianto l’umana, miserabile condizione di questo mondo ruffiano.

E pensate che indecenza! Abdicai e vi accontentai. Ributtandomi nella mischia della più sciocca miseria inetta e ripugnantemente netta.

Fatta di balli e risa, d’invereconde arroganze e di meschine trivialità malvage.

Sì, anche io volevate che fossi uno qualsiasi. Oh, se fossi stato una donna ancora peggio. Semmai una bella donna sexy.

Con la fissa del sesso un tre per due… a postare su Facebook foto provocanti e aspettar che qualche coglione mi corteggiasse per poi insultarlo dall’alto, ah ah, della mia presunta superiorità di classe. Ah ah.

Tante oggigiorno fan così. I maschi più cretini a queste van dietro e tutti salgono a bordo del carrozzone troione. Lanciando sassi e poi scomparendo nel traffico, tra burla immonde che nell’omertà vilmente si dileguano e celano, rompendo i vetri e quindi nascondendo la mano, porgendoti semmai pure un sorriso tanto, tanto simpatico. E insincero.

Ma sì, è stato uno scherzo. E io l’ho presa troppo, troppo male, tanto da ammalarmi. Davvero.

Sì, io sono malato.

Come Travis Bickle, come un Joker che fa di tutto per ridere alla merce e mercé di tutti gli altri, compiacendo la frivolezza andante di questo mondo a puttane andato. Ma dentro di sé sta sempre più male. E più… di stare male più stai male. Perché, in fondo, puoi provarci a essere uno come tanti, ma starai solo che malissimo. Tanto.

Non è filosofismo, non è orgasmizzarsi, è avere le palle per dire che tanta imbecillità non ha prodotto una curata umanità, ma solo un fallace entusiasmo di finta ilarità.

Ben sta a me per esserci cascato, ben vi sta.

Come un vestito rosa.

Auguri, in bocca al lupo e sogni d’oro.

Idioti.

Siamo tutti fregati, chi più chi meno.

Tu ti barcameni?

Sì, con effetto boomerang attraente, demente nel senso de L’idiota di Dostoevskij, certamente non da comune deficiente.

Oh, Cristo.

 

Parola di Robert De Niro & Joaquin Phoenix.

di Stefano Falotico

E se James Dean non fosse morto?


14 Mar
James Dean on the set of "Rebel Without a Cause" 1955 © 1978 Sid Avery

James Dean on the set of “Rebel Without a Cause”
1955
© 1978 Sid Avery

 

Mi son sempre fatto domande di questo tipo. Se James Dean, anziché schiantarsi col suo bolide, trafitto da una morte pressoché istantanea, fosse sopravvissuto? Se fosse semmai entrato in coma e, illeso, si fosse svegliato di colpo? Dapprima traumatizzato ma sostanzialmente intatto? E, dopo un’opportuna, duratura cura riabilitativa, avesse ripristinato le sue normali funzioni vitali?

Sgambettando in altri film? L’avremmo visto, che ne so, in un giallo di Hitchcock nella parte, che ne so, di un amante di fuoco.

E, stagionato, invecchiato, un po’ stempiato e brizzolato, nel Cinema della New Hollywood degli anni settanta. Nella parte, magari, di Marlowe in un hardboiled raffinato diretto da un maestro dei thriller torbidi ed esistenzialisti.

Poi, davvero, sarebbe morto. A settantacinque anni, solo, abbandonato in una villa isolata a Mulholland Drive.

Forse, avrebbe sbagliato tanti film e interpretazioni, si sarebbe notevolmente appesantito e sarebbe diventato più grasso e obeso di Marlon Brando. Passando gli ultimi giorni della sua vita servito e riverito da una badante, accarezzando il suo gatto preferito e ammirando il tramonto prima della sera da una finestra sul cortile…

E Brandon Lee, invece? Se non fosse schiattato per colpa di quel colpo di pallottola maledetto sul set de Il corvo?

Il prossimo 31 Marzo avrebbe compiuto la bellezza di 54 anni.

Probabilmente, dopo il successo del cult movie di Alex Proyas, anche lui si sarebbe fatto incantare dai soldi facili e avrebbe girato schifezze. Figlie dei rocamboleschi, spesso stupidi e superficiali anni novanta.

Forse, al posto di Nicolas Cage, in Con Air, avremmo avuto lui. Che poi, a dircela tutta, manco è brutto questo filmetto di Simon West. Un action adrenalinico rozzo e stronzo. Tipico, appunto, dei nineties.

Con un cast da paura.

Chissà. Avrebbe recitato nella parte del fratello di Johnny Depp in una pellicola di Tim Burton. Sì, una certa somiglianza fra i due c’era. E, a meno che il signor Brandon, parimenti appunto a Brando, non fosse ingrassato a dismisura, oggi sarebbe la fotocopia di Depp e viceversa.

E gli agenti di casting avrebbero avuto solo l’’imbarazzo della scelta. Chi scegliamo? Ah, ma sono identici. Be’ prendi Brandon. Johnny ha già firmato per un altro film e dunque è occupato.

Parlando invece d’icone e miti musicali. Ecco, se Jim Morrison non fosse crepato di overdose? Alcuni dicono soltanto per colpa di un attacco di cuore. Altri hanno formulato altre strambe, non del tutto attendibili ipotesi.

Sì, Jim Morrison, se non avesse più cantato, non avrebbe avuto molte scelte.

La prima, quella più conveniente quanto lasciva, sarebbe stata quella di godersi a vita, appunto, i soldi delle vendite, facendo bagordi da mattina a sera a Parigi, ove si era trasferito. Per una vita maudit bohémien a Montmartre. Semmai comprando i dischi, tanto per simpatia, dei Queen.

E oggi, ancora vivo, un po’ rincoglionito avrebbe applaudito l’Oscar a Rami Malek per Bohemian Rhapsody. E, appollaiato sul divano, col panzone, avrebbe urlato… vai, sei forte, ragazzo!

Oppure Jim, insoddisfatto da un’esistenza ricca ma pigra, troppo piena di agi, si sarebbe dato al volontariato.

Andando nelle stanze dei nosocomi dei malati terminali, alleviando le loro sofferenza con la sua musicoterapia miracolosa.

– Ehi Jim. Sto morendo. Mi ricanti qui, senza che nessuno ci veda, Light My Fire?

– Va bene. Certamente. Aspe’. Dammi un attimo soltanto. Voglio controllare e appurare che non ci siano infermieri nel corridoio. Semmai, poi qualcuno di loro entra di soppiatto e rovina tutta la magia.

Oh, ecco. No, non c’è nessuno.

– Jim, me la canteresti anche ballando da Re Lucertola? Dai, fammi tutte le mosse. Ah ah.

– Ok. Sì, certo.

– Idolo!

 

E poi il malato sarebbe morto dolcemente cullato, nei suoi ultimi, fatali sospiri, con l’onda melodiosa di un sogno d’amore irraggiungibile e stupendo.

Quindi, detto ciò, io mi chiedo. E se il sottoscritto, invece, quando vari malesseri irrefrenabili mi colsero e davanti a me si aprì nuovamente la vita in tutta la sua bella ma anche crudele, ingorda magnificenza, in quegli attimi così scriteriati e folli, si fosse scelleratamente suicidato? Buttandosi dal quarto piano del mio palazzo? Cazzo, no, e se invece che morire… fossi finito offeso? Sulla sedia a rotelle? Pure peggio.

No, nessuno mi avrebbe fermato… E sarei ora altrove.

Invece, sono solo un intellettuale un po’ scassato, a volte insopportabile, lagnoso e al contempo burlone, anche troppo. Un antipatico giocherellone, insomma, che pedantemente, ripetitivamente vorrebbe far capire a ognuno di noi che fra 5 secondi potremmo tutti morire.

E perciò non val la pena farsi la guerra a vicenda. E dovremmo, dovreste una volta per tutte lasciar da parte le invidie, i giochetti, gli scherzetti cretini.

Basta un attimo e si scatena una tragedia.

Basta un attimo ed è la solita cantilena.

Basta un attimo e tanto niente cambia.

Come diceva Gesù Cristo, chi ha orecchie per intendere, intenda.

Chi ha orecchie e non vuol sentir ragioni, continuasse a ragionare da ottuso.

Ma poi, un giorno, se dovesse sentire e vedere con chiarezza la vita, non dica che è solo invecchiato e, come tutti i vecchi, è stanco di stare a sentire cazzate. E sciocchezze! Lui le chiamerebbe così. Scemenze! Bambinate!

Tanto era stanco pure a vent’anni. Lui faceva le cazzate, gli altri abboccavano e ora lui rinnega tutto, fingendo che lui sapeva come vivere e ha vissuto sempre da uomo retto e saggio. No, era solamente un ignorantone sputa-sentenze. Un grande stronzo. E, una volta vecchio, è diventato uno stronzo patentato, sì, con tanto di contributi pensionistici… Borioso adesso che ha 70 anni, idiota quando ne aveva cinquanta di meno.

Oh, io dispenso perle ai porci, stronzetti.

E, se davvero pensate che scrivere e guardare film sia qualcosa per falliti e senza palle, ritorniamo al discorso di prima.

Non vi possono essere in questo mondo altre vie e altre vite. A meno che non siate così meschini e stupidi da credere che la vita sia avere un lavoro da quattro soldi, aspettare il sabato sera e continuare a vomitare, giorno e notte, i vostri patetici lamenti retorici e, questi sì, vigliacchi e ipocriti.

Parola di un uomo che non ha niente da chiedere al mondo. Se non un altro bel film.

 

di Stefano Falotico

Ho terminato il mio libro in inglese su John Carpenter per la distribuzione globale, che dio me la mandi buona, che fa(lo)ticata!


13 Mar

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Ah, son morto di fatica. Stavo collassando. È stato un lavoro improbo, immane, oserei dire universale anche se la distribuzione sarà soltanto globale. Soltanto? Be’, sì, su Marte credo che non ci siano degli uomini. O invece sì? Atto di forza docet!

Ecco, come sapete, amici carissimi, da qualche mese è disponibile alla vendita sulle maggiori catene librarie online il mio libro monografico in italiano, John Carpenter – Prince of Darkness.

Un libro che ognuno di voi dovrebbe avere vicino al comodino. Per una lettura profonda in notti insonni. Ove, divorati dai vostri demoni interiori, contorcendovi in spasmi d’amore per una ragazza che vi piace a morte ma che continuamente vi manda a quel paese, facendo infuriare le vostre budella, ah ah, potrete immergervi in questa lettura illuminante. Consolandovi nel navigar fra le stelle della fantasia pura, perdendovi nella notte interminabile del grande Jena Plissken e nella prode virtù ribelle del mitico Roddy Piper di Essi vivono. Un personaggio leggendario. Uno che non sapeva recitare, peraltro nel mio libro lo dico senza peli sulla lingua, ma aveva il suo perché.

CAPOLAVORO!

Sì, lo è, posso vantarmi almeno di questo? È stata un’opera frutto di una personale ricerca infinita, più e più volte riveduta, corretta, passata al setaccio dal mio correttore di bozze. E alla fine ne è venuto fuori un gioiellino sopraffino. Bando alle ciance e alle invidie. È un libro straordinario che non sbaglia una virgola. Concepito, realizzato in maniera indiscutibilmente portentosa, figlia del mio lirismo, del mio enorme romanticismo e anche di quel pizzico di follia che non guasta affatto, anzi, dà pepe alle nostre giornate stanche.

Vero masterpiece intagliato nei capolavori di John.

Un libro altamente poetico elevato a divinazione di Carpenter. Sì! Ma che non si perde in agiografie insulse o santificanti e si permette lo schietto coraggio di affermare che Christine e The Ward non sono grandi film. Sì, non lo sono. Ciò non toglie valore al Maestro par excellence della Settima Arte. E non potete immaginare quanto mi dispiaccia sapere che oramai non voglia più girare film, preferendo guardare le partite di basket dell’NBA. Su, John, non mi faccia la fine di Homer Simpson. Dai dai.

Il Cinema e l’Arte tutta ne risentono gravissimamente. Perché avremmo invece assolutamente bisogno che il il signor John, anche a settant’anni suonati, ci sfoderasse un altro capolavoro. Secco, ruvido, tosto.

Fatto di streghe, di babau, di semi della follia…

E dunque, dopo la parentesi di Il diavolo è un giocattolaio, del quale sto scrivendo il seguito, mi son buttato a capofitto nella traduzione fai da te, appunto, del mio libro sul grandioso John.

Ecco, il mio inglese è buono, sì, sì, affinato da anni e anni di studi autodidatti da topo della mia biblioteca. Fra libri di grammatica, Blu-ray in originale e canzoni rock degli States migliori.

Ma io sono un uomo che non se la tira. E altresì dunque asserisce che il suo inglese non è propriamente oxfordiano. È stata veramente dura.

Sì, mi ero informato. Intendevo inizialmente farmelo tradurre da un professionista, da un madrelingua.

Ma tutti coloro a cui mi sono rivolto mi hanno chiesto delle cifre astronomiche, come si suol dire.
Addirittura uno mi ha proposto, per la traduzione, cinquemila Euro!

Ma che è? Mi ci compro la macchina con quei soldi. Ma manco quella. Mi sta bene quella che ho.

Allora, mi son detto… ah, qui tocca farmelo da solo. Sì, un’altra sfida.

Anche perché i miei libri, pieni di anacoluti, di periodi lunghissimi, di voli pindarici, non sono facilmente traducibili. Neanche David Foster Wallace usava frasi così.

E poi i modi di dire inglesi sono diversi dai nostri.

Quando ad esempio, a proposito de Il signore del male, dico testualmente che il cameo di Alice Cooper ci sta da Dio. Ecco, voi come ve lo tradurreste? Is to die for…? Può andare.

E invece questo è un film che ha fatto scuola? Non mi venite a dire che tradurreste con… has made school.

Quindi, aggiusti una frase e si perde il senso. Oltre al senno.

Ma alla fine gliel’ho fatta. Ho appena dato il VISTO SI STAMPI alla versione international.

Chissà che non me lo compri proprio John!

Non vi fidate delle mie doti?

Questa è la sinossi. Cuccatevela!

His name is John Carpenter, prince of my invincible, stupendous, virulent darkness…

John Carpenter who now, proud and haughty, walks as a giant in the bare today’s cinematographic landscape, still sowing the titanic daintiness of his elegant, poetic beauty. In front of the undisputed master of a possibly lost Seventh Art, I prostrate myself, adoring him, genuflected as a sign of boundless, sacred admiration, drawing on every single frame to carve and inlay my monographic work that is not hagiographic or sanctifying his monumental, renowned greatness, eternally thundering, but it is a portrait objectively analyzing each his immortal and infinitely shining film. Film after film, I dwell in front of every work with surgical precision, at first maliciously to challenge so much magniloquence delicately adamantine, and be able to find possible flaws but then, although I dare to want to find in his works incongruities, director inaccuracies and stylistic rudeness, despite I am tempted by the desire to make corrections to his radical, very high vision, I remain enchanted by his lucid, prophetic, graceful and balanced solemnity untouchable, powerful and irresistible. Because he is John Carpenter and I can only rightly venerate him. I can only give my vivid homage to the prince of darkness, living the ecstatic light of his revealing and magnificent Cinema.

Stefano Falotico was born on September 13th, 1979. Author of fiction and non-fiction, he has published many books…

 

Insomma, come dicono a Roma, ce può sta’? O no? Forse sono davvero Sean Penn de Il professore e il pazzo. O forse il più sano di tutti.

Sì, c’è solo un uomo nel mondo che può fare una cosa del genere.

Anni fa, un mio amico mi disse:

– Che ti sei messo in testa? Di ributtarti nel mondo di tutti i giorni? A te è successa una cosa molto, molto pesante. La gente non capirà. Ti distruggeranno. E morirai suicida.

Hai una sola possibilità. Non rinnegare la tua “follia”. Allevala, amala e portala in gloria.

Questo mio amico forse era Christian Bale di The Fighter.

Credo che avesse ragione. Il mondo è popolato perlopiù da animali, da gente cattivissima, da mostri piccolo borghesi a cui interessa solo che tu lavori, incassi e stia zitto. E io non sono fatto per questo mondo lercio. Può essere bello ed euforizzante all’inizio, ti diverti, ti ubriachi, conosci una ma poi, se non sei stronzo nell’anima, vai giù.

E alla fine prendi troppi pugni, barcolli, svieni e crepi. Massacrato.

Se invece, oltre a essere un fighter, cambi marcia come Stallone in Over the Top, a quel punto, il braccio glielo “spezzi” tu.

C’è poi una differenza sostanziale fra un cinefilo e un Falotico. Io sono pure cinofilo. Sì, i cani mi piacciono.

Il cinefilo medio, altezzoso, borioso, snob, vi dirà che Over the Top è un film di merda.

Abbastanza, lo è.

Ma io dico che è un grandissimo film.

Perché io sono io. E mi emoziona sempre.

Cioè, è un po’ come la scena di 1997: Fuga da New York.

Quando Jena/Snake è nell’arena e ha tutti contro… lo prendono tutti per il culo.

E Jena parte con la mazzata che non ti aspetti.

Sono solo un sognatore?

Sì, certamente. È vietato dalla legge?

Vi è sempre tempo per essere un uomo qualunque. Sai che noia.

Meglio essere Starman.

 

di Stefano Falotico

Previsioni Oscar 2020 Best Actor, sì, avete letto bene, vincerà l’interprete di Re per una notte


12 Mar

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Se non volete divertirvi coi miei calembour e giochi lessicali, passate al capitolo 2.

Quando il sottoscritto comprese le ipocrisie del mondo e partì come una furia, una lince

Chiariamoci molto bene. Se qualcuno mi ha scambiato per Leo DiCaprio di The Aviator, è meglio che si ammutolisca subito. L’unico disturbato ossessivo-compulsivo è lui che ripete sempre le stesse cose, un profluvio stancante di frasi fatte, di stereotipie, di una visione limitatissima, angusta e angustiante, della vita. E non sa volare se non nella fantasia più illusa.

Perché io assomiglio molto di più a Colin Farrell di Miami Vice. Futurista, talmente veloce da essere iper-nevrotico. Mi son talmente velocizzato che l’ascensore del mio appartamento, quando compie il tragitto da piano terra al quarto, cioè quello in cui abito, mi pare che impieghi mezz’ora e invece impiega 30 secondi. È lentissimo. E io non ho più da tempo da perdere con quelli che stanno nello scantinato.

Una corsa contro il tempo, una dinamitarda velocità recettiva mai vista. Un’elevazione pazzesca. Che se ne frega totalmente degli schemi, delle sovrastrutture e delle etichette.

La dignità non è un lavoro da quattro soldi da avere affinché l’altro, ingannato dalla nostra finta rispettabilità, possa stimarci.

Come Superman, tu sei a pagina due e io ho già finito altri due libri. E non m’importa se tu guadagni diecimila Euro, facendo semmai lo psichiatra che non ha mai visto un film di Carpenter.

Sì, che stanchezza questi uomini di Sinistra. Da Festa dell’Unità con la porchetta in bocca, i loro spettacolini teatrali da asilo nido, anzi, da ospizio. Per farsi compiacere da veltroniani già andati.

Via, il mondo va svecchiato. La loro filosofia ha reso soltanto i giovani tristi e depressi.

E quelli di Destra? Cattivi, sembrano Michael Ironside di Scanners. Vogliono sempre fare il lavaggio del cervello a chi non la pensa come loro. E vogliono comandare in maniera dittatoriale. Per essere i dominatori.

Io non sono plagiabile.

Ieri sera, ad esempio, ho finito di vedere Il nome della rosa con John Turturro. Oh, già l’avevo detto nella mia recensione. Parafrasando Nanni Moretti, ma sai che non è male affatto?

Sarà mica un caso che Turturro ha lavorato con Nanni? Oh, John è un grande. No, non ha il carisma di Sean Connery, è un mezzo cesso d’uomo. Ma è bravo, cazzo è bravo. Guardatelo anche in The Night Of e ne riparliamo poi.

Alla fin fine, Giacomo Battiato non ha fatto un brutto lavoro. Consideriamo che è una fiction e, tutto sommato, deve aderire ai canoni RAI. Oh, perlomeno, se proprio dobbiamo pagare questo canone, almeno che ci abbiano messo lo streaming su Ray Play. Ché di guardare varietà con scosciate di sceme e programmi sui cuochi, no, cocchi, mi son rotto da un pezzo.

Siamo chiari. Antonella Clerici? Ma ha un seno pazzesco questa qua, è debordante. Ma non sono il tipo da Antonella Clerici. Quando, dopo averlo fatto, sono a casa con lei, di cosa le dovrei parlare? Se il barattolo di pomodoro costa 3 Euro e invece i fagioli ieri venivano a 2?

A proposito, i vostri fagioli vengono? Mah. Ah sì? Meglio così.

Ecco, chi pensa che io viva nel mondo delle nuvole, mi sa che farà la fine di questi falsi monaci dell’abbazia. Una congrega di malati di mente, di untori, di loschi figuri abbastanza putridi come Bentivoglio. Di spioni, di pettegoli.

Sì, davanti ti dicono… quanto bene ti voglio e poi sperano che tu, demoralizzato, perda ogni voglia.

Siamo pieni di moralisti invidiosi. Fa bene Adso. S’innamora della “selvaggia” del villaggio e se ne frega dell’abito che fa il monaco.

Ecco, vorrei indurvi al sorriso. Voi, sì, incellofanati in vite che si professano allegre ma, invero, so che sono tristemente soltanto accasciate a una finta ironia di facciata ove, sfacciati e appariscenti, esibite le vostre sensualità, comunque discutibili, affinché il prossimo di voi possa ammirare la vostra più sciocca, frivola apparenza.

Oggi, ad esempio, di punto in bianco, mentre stavo mettendo a posto la mia recensione di Scanners, un mio conoscente è “saltato” in chat, con far da esaltato. Parlandomi delle sue serate salate e del suo salame.

– Ehi, amico. Ora ti dico questa. Venerdì scorso… ah, che roba. Ho conosciuto una di San Marino ed è stata una nottata da favola.

 

Al che, con aplomb mio proverbiale, continuando a fumarmi una sigaretta scacciapensieri, a mo’ di Clint Eastwood di Per qualche dollaro in più, gli ho risposto in maniera freddamente simpatica e al contempo un po’ sanamente menefreghista:

– Bravo… E a me sinceramente cosa potrebbe fregarmene?

– Be’, posso vantarmi di questa sc… a sesquipedale, no?

– Certo. Vai allo specchio, adesso, guardati attentamente e vedrai il tuo sorriso a trentadue denti, no, scusa, a 29, te ne hanno cavati tre cariati marci, che si compiace del suo piacersi. Ah, che bellezza, eh?

Ma per piacere! Son contento per te ma qui ho da fare cose serie, oggi. Delle tue avventure erotiche, non so se intrepide o tiepide, sono c… i che riguardano te e le tue amanti del c… o.

Dunque, se permetti, ora mi congelo, mi congedo. Me lo concedi?

– Certo. Ci sentiamo un’altra volta. A risentirci. Poi ti aggiornerò.

– Non ci aggiorneremo proprio su niente. Ti ho detto che dei tuoi memoriali erotici, non so se eroici, non può sbattermene assolutamente. Chiara l’antifona o devo chiamare l’Amplifon?

 

Sì, la vita sociale, anche quando solo virtualmente complice di esperienze toste, non è che abbia mai attirato molto il mio interesse.

La gente parla, favella, ci racconta delle sue fiabe, delle fate, delle fatalone, dei loro complessi fetidi e fetali ma, onestamente, possiamo dircela? A me che ne viene?

Non viene proprio nulla. Tutti alla ricerca di soldi e sesso. Sono venali, veniali. Questi si sventrano, si svenano, si svendono e poi donano pure il sangue a quelli che hanno appena avuto un’emorragia cerebrale.

A voi pare normale tutto questo? Questi sono davvero, più che scopati e accoppiati, dalle loro turbolenze gastrointestinali, turbati, accoppati e nella testa scoppiati.

Sì, col tempo ho capito che ogni inc… a passata non era attribuibile a una mia inferiorità o infermità, bensì a una marcata superiorità. Come Stephen Lack. Vi ho già spiegato questo.

Il gigante, in mezzo ai nani, diventa lui il nano e viceversa. E in questo bordello totale nessuno ci capisce un c… o. Nemmeno io. Ah ah.

Insomma, è un mondo di falsità, di verità capovolte, di gente che andava premiata e invece è finita cassa-integrata.

Così come agli Oscar.

Vince Rami Malek e avrebbe dovuto vincere Christian Bale. Ha vinto Olivia Colman e Glenn Close, dopo sette candidature, è rimasta ancora a mani vuote. È il colmo!

Ne abbiamo colme… avete capito.

Io non sono uno scanner e non sono veggente. Mi piacerebbe esserlo.

Gli Oscar sono un giochetto, un magheggio, un marchingegno di calcoli statistici, d’an(n)ate fortunate, di colpi di culo bestiali.

Avreste mai pensato, sino a dieci anni fa, che McConaughey avrebbe vinto la statuetta?

E avreste mai pensato, allo stesso modo, che ora avrebbe interpretato un film di Harmony Korine? Be’, regista carino? Insomma. Provocatorio? Ma de che? I suoi film non sono né carne né pesce e McConaughey non è Big Lebowski. Quindi, cestinate subito quest’immondizia e chiamate il netturbino.

Allora. O la provocazione si fa con eleganza alla Luis Buñuel oppure il signor Korine è meglio che la finisca con le sue trasgressioni d’accatto e si sposi Antonella Clerici. Che gli preparerà qualcosa della Bonduelle. E, il mattino dopo, gli darà un Buondì Motta.


Gli Oscar sono fasulli ma se tu, ipocrita, dici che, se vincessi la statuetta, te ne fregheresti, ti mettiamo in compagnia di Pinocchio

Ora, facciamo i seri. Quali sono gli attori che, almeno sulla carta, potranno essere con tutta probabilità candidati come Migliori Attori ai prossimi Oscar, appunto?

Dunque, prendete carta, penna, calamai, miei Calimeri, non leggete Camilleri e non mangiate, quest’estate, troppi cocomeri. Non fate con le ragazze i merli e non date a me del nero, sennò vi faccio ascoltare all’infinito Mahmood, vincitore di Sanremo. Il mio non è razzismo, ci mancherebbe, ma questa canzone fa veramente schifo. L’hanno premiata tanto per dire… sì, così diranno che non siamo razzisti ma che cattivi intenditori di musica. Non è un grosso problema, pensate che gli U2 ancora guadagnano miliardi. E ho detto tutto.

Partiamo dai soliti noti.

Ancora lui, Christian Bale per Ford v. Ferrari.

Brad Pitt per Ad Astra e Once Upon a Time in Hollywood.

Leonardo DiCaprio per Once Upon a Time in Hollywood.

Gary Oldman per The Laundromat e The Woman in the Window (fra parentesi, appunto, dopo l’Oscar è partito in quinta e quest’anno esce con 6, ho detto 6, film!).

Tom Hanks per A Beautiful Day in the Neighborhood.

Willem Dafoe per The Last Thing He Wanted.

Edward Norton per Motherless Brooklyn.

Ce ne sarebbero altri da citare ma mi fermo qui.

Ovviamente, voi sapete per chi io tifi? Nevvero? Non l’ho messo nell’elenco. Ma, conoscendomi, non ci vuole Einstein per fare due più due e arrivare a Frank Sheeran. O no? Basta, date questo terzo Oscar al Bob e vergognatevi ché manco lo candidaste per C’era una volta in America. Dico, son porcate che si fanno? Ma guarda un Bob, no, un po’.

Ve lo dice il Genius-Pop. Ohibò! Ora, vediamo gli annunci di lavori sul giornale Il Bò. Boh, nulla di attizzante. Vedo solo annunci di massaggiatrici e stiratrici. No, questo puttanaio non fa a casa mia, no, al caso mio.

E io tiferò per Bob.

E sapete perché?

Christian Bale? Trasformista strepitoso, Leo DiCaprio? Sì, ottimo. Pitt? Troppo bello. Ah ah. Gary Oldman. Ha vinto un anno e mezzo fa. Stia calmo, ora. Edward Norton. Mah, sì, potrebbe starci. Ma non vincerà.

Willem Dafoe. Ma sì, nessuno lo ha mai cagato. Ci potrebbe stare questa sua ultima tentazione da povero cristo.

Eppure quante stronzate mi hai girato, Bob.

Però, se vogliamo essere proprio sinceri, mi guardo attorno e Travis Bickle non ne vedo. Tu sei il solo. The Greatest Actor of All Time.

Aveva ragione il suo amico Harvey Keitel quando alla domanda: – Perché secondo lei Robert De Niro è il più grande?

– Ah, c’è pure da spiegarlo? Vede, Bob non è più bravo degli altri. Ma quando appare lui, chissà perché, i film acquistano qualcosa di magico. Qualcosa d’irripetibile, immenso. Gli altri non sono capaci di questa magia.

È per questo che lui è il più grande. Quando parliamo di Bob, non parliamo più di un attore, parliamo di qualcosa di favoloso che gli adulti raccontano ai bambini, come nelle più fantastiche storie leggendarie.

Bob è l’incarnazione di un poema di Omero. Qualcosa che non sai se è mito, realtà o aldilà.

Quest’ultima frase non l’ha detta Harvey.

L’ho coniata io.

E ci sta da Dio.

Se non credete che sia così, andate su Instagram e lasciate stare il Cinema.

Secondo me, dovreste lasciare un po’ tutto.

Tanto non ci arrivate.

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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