Nella tundra vi è sempre un corvo gracchiante, racchiante, cioè contro le racchie e i rachitici in quanto cantante melodico delle sue ansie.
Sì, cazzo quest’episodio cinque è bellissimo. Sempre più cupa questa serie, disperata, con l’indiano che dà di matto e compie una carneficina, un pedofilo inseguito da gente forse più matta di lui.
Arrivano sul posto gli investigatori Ali e Dorff. Ecco che assistiamo a una sparatoria pazzesca, appunto, fra teste esplose, esplosivi, uomini trivellati, crani maciullati, carni maciullate, petti bucherellati. Selciati spappolati, budella quasi defenestrate, pavimenti insanguinati, corpi mozzati e poliziotti inculati.
Ali è costretto ad ammazzare il folle. Ma sta male questo qui. È un vecchio che patisce la demenza senile, sua moglie Carmen Ejogo glielo rende di ebano, di frassino, duro come il legno massiccio. E loro, fra una scopata e l’altra, litigano. Mahershala, in canottiera, esibisce i bicipiti e con lei canta la canzone degli 883…
In questo regno dove tutto è permesso
Lasciati andare e vedrai
Che anche se non cambia niente è lo stesso
Tu ti divertirai
Nella notte
Un ritmo che ti prende
Nella notte
Ti sembra di volare
Sì, un vero “libro della giungla” ove Mahershala, da gorilla King Kong un po’ Mowgli regredisce fra un’indagine e l’altra a scimmia scopante, scoppiettante, inculante. Con la sua banana sventolante, (f)rizzante, nella stanza da letto strusciante, allisciante, ammorbidente nel duro pompante con tanto di fendente molto ficcante. E, dopo la ficcata selvaggia con la scrittrice dei casi umani, diventa più malinconico di prima, forse ascoltando le lagne di Sanremo.
A parte gli scherzi. Veramente stupendo questo True Detective 3. Il finale poi è da commozione… cerebrale, anzi da cerebrolesi protagonisti che si sputano addosso le loro vecchiaie acidissime come Noodles e Max di C’era una volta in America.
Ecco che tornano i fantasmi del passato, Ali soffre di amnesia ma ricorda molto bene la testa di minchia di Dorff/West.
Oh, e devo ricredermi. Stephen Dorff, qui, non è male, cazzo.
E mi sa che questo sarà davvero il futuro che attenderà Dorff.
Dopo la sua giovinezza di fighe e, come dico io, figotte, dopo tante (ri)cotte, avrà la panza burrosa, berrà birra dopo aver fatto bere alle sue amanti la sua s… a e darà da mangiare all’unico amico rimastogli, uno a quattro zampe. Solo come un cane e con un cagnolino, appunto. Ad ammirare il tramonto… d’una vita che non più le arrostisce e le fa arrossire ma dolcemente è rosata come un vinello rosso di sera e l’ubriacatura si spera. Una vita senza più frecce al suo arco che però confida in un ultimo impeto da indagatore dei misteri irrisolti.
Sì, sì, mi attizza.
Quasi meglio della prima stagione. E peraltro mi hanno che nel prossimo episodio verranno citati anche Rust e Marty.
E intanto io faccio il Brandon Lee di turno con tanto di look da Johnny Depp e una voce più roca e possente di Mahershala.
Perché io so…
Piaccio ma me ne fotto!
Sì, molta gente di me non ha capito un cazzo.
Ma nemmeno io.
E in questo casino sono il re!
Donna, lo faremo in tua casina, nella cascina e, perché no, anche in cantina!
Amico, vai a fotterti!
Nemico, vai a morire ammazzato.
Ritornando su questa serie, sì, dimenticate la stagione 2 che per simpatia non volete stroncare e continuate ostinatamente a dire che è inferiore alla prima ma bella.
Ma bella di che. L’unica cosa bella è Rachel McAdams che comunque non ce l’ha fatta vedere come dio comanda.
Lasciamo stare le passerine e riflettiamo invece ancora su questo finale stupendo.
Due amici che non si rivedevano più da circa venticinque anni che si vomitano addosso tutti i loro rancori.
Ali è affranto, non ricorda quasi nulla, a stento riconosce il suo amico ed ex collega. E piange, sconsolato.
Ma vuole fare chiarezza su quest’orribile caso che lo sta tormentando da tempo immemorabile e a cui non riesce a venire a capo. Un puzzle indistricabile, i ricordi sono scollati.
E Dorff, dopo lo scatto furioso d’ira, osserva il suo amico e si commuove. Noi con lui.
Uno scambio di battute memorabile:
– Non ricordo più la mia vita. Non ricordo più mia moglie. Non lo so. Se mi dici che ho fatto qualcosa di sbagliato, ci credo. Ti chiedo scusa.
– D’accordo.
– Scusami. C’è questo fascicolo su cui sto lavorando. E lo rileggo ogni mattina. Il fatto è che mi mancano tanti pezzi-
– Ma alcune cose le ricordi? Cioè, sai chi sono, no?
– Sì, ma mancano altre cose.
– Ehi, ascolta. Se ti serve qualcuno con cui ammazzare il tempo, conta su di me.
Scena magnifica. The Crow è il miglior film di Alex Proyas assieme a Dark City, film quest’ultimo collegabile alle amnesie di Mahershala.
E mi sto maggiormente convincendo che questa sia una delle canzoni più belle della storia.
di Stefano Falotico
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