Sì, se Sylvester Stallone a settant’anni suonati, continua a girare seguiti di Rocky e Creed, di Rambo e compagnia bella, sfoderando una grinta da chi dopo mezzo secolo e vent’anni non ha compreso di essere solo un mugnaio della Puglia, se Sly ha vissuto nell’incoscienza totale della sua scarsa versatilità attoriale, non vedo perché io dovrei dolermi di essere me stesso e (non) continuare a farmi male.
Son un uomo che, al tonar canoro del gallo, va in bagno e piscia, si lava il viso, fa colazione e probabilmente nel corso della giornata non fa altro.
Mentre truffaldini avvocati dimidiano cause per la spartizione di beni, pene e infestate case, mentre una chiede il divorzio perché vuole gli alimenti, io le mie giornate alimento forse nel dolce far niente, in quanto già soddisfatto della mia mente.
I medici operano alle arterie ma non sanno medicare le artriti della moglie rachitica, gli psichiatri sono più pazzi dei pazienti e un altro gonzo guercio approccia una, definendola troia ancor prima di capire che troia lo è davvero.
Invero, mi getto in progettualità forse vane o soltanto vanitose, fra libri redatti con cura amanuense, post in cui disamino la società oramai disanimata, impoverita e non solo nel portafogli, e una donna sfoglio, non riempiendola di soldi e nemmeno di qualcosa che possa darle soddisfazione e voglia. Ma che vuole? Carnalmente parlando sono inesistente, esisto solo nell’attimo in cui, schizzato, i miei orgasmi non sono solamente mentali masturbazioni ma onanismi che distillo con metodica, programmatica voglia capricciosa di qualcosa di duramente prammatico. Tangibile, non fuori dalla realtà ma malleabile sebbene io non sia da nessuno plagiabile, consistente nel sfregar smanioso e fantasiosamente accalorato il mio membro asociale ma probabilmente copulante nel virtuale più amabile. Non ho alcuna bile in quanto io vivo senz’invidie e lascio i rancori agli uomini di poco core. Di me sol m’accoro e dunque m’accorpo, sciogliendomi nel sesso immaginario talvolta ficcante e straordinario, dato e donato, ridondante anche, forse permeato dopo essermi tolto l’impermeabile e averlo inoculato, inculante, a una donna a me non permalosa tutta odorosa, appaiata per una consuetudinaria scopata che mi distragga dalla mia bella (s)figa da uomo fuori dai binari, lontano dalle esistenze ordinarie eppur molto ordinato.
Io sono, sì, disciplinato e ogni oggetto, nella mia casa, è al giusto posto. Sei tu invece che, in quanto soggettivista, non sai ammobiliare con raffinatezza e gusto la tua vita miserabile in cui ti spacci per attivista. Basta, son stufo della tua mestizia e m’hai rotto il cazzo ché ancor mi dici che faccio tristezza.
Tu fai ribrezzo. Ah, senti che lieve brezza, senza più coglioni fra le palle ce l’ho sempre rizzo.
Io m’attivo soltanto nel fascino giammai retrivo d’una visione realistica e obiettiva di questa vita mia oramai lasciva.
Lascia fare, non ti penar di me, io penerò e anche le mie donne peneranno, in quanto amano pene mio tutto l’an(n)o.
Sì, una grande stronzata ma una stronzata che rende la vita più sfiziosa, meno acrimoniosa, senza false, formali cerimonie poiché io sono angelo e demonio, tutti mi dominano eppur io neppur li nomino.
Andassero sol a fanculo.
E questo è quanto. Pigliatevi le vostre batoste e lasciate stare me, la più grande capa tosta.
Non sono sempliciotto come Balboa Rocky né russo e stronzo come Drago Ivan, se voglio ancor me la russerò, sognando le cosce di quella figona che fu Isabel Russinova.
In quanto uomo memore delle mai avute alcove perché ho sempre amato il detto gatta ci cova.
di Stefano Falotico