Sì, non sono un camionista ma più i giorni passano più mi sto trasformando in Lincoln Hawk/Stallone. Che tiene tutto dentro, incassa a non finire, colpo su colpo, viene devastato dall’arroganza dei nonnetti, dalla boria degli adulti con troppe certezze bacate nel cervellino, poi all’improvviso si gira la visiera del berrettino, come Rambo il berretto verde, sterza potentemente e piega il braccio dei brutali cafoni con una forza sovrumana.
Over the Top, un film infantile, patetico, quasi penoso. Eppure, alla soglia di quarantenni suonati, giammai suonato, ancora mi emoziona e quel finale strappalacrime m’induce a incoraggiarmi.
Sì, io son stato il campione, dunque anche il vivente campionato, no, campionario della sfiga più atroce e terribile. Cattivissima, un tremendo scherzo del destino perché la mia mente, nell’indifferenza e ottusità generale, non poco vacillò, e a riccio mi chiusi, tanto che la gente pensò che fossi figlio di Berlusconi, insomma un gran ricco. Ah, se vive così, avrà un conto in banca enorme. Sì, certamente…
Già, taciturno ai limiti dell’autismo, vagai come un lupo mannaro nella brughiera d’un tempo magicamente sospeso, e non andavo neppure a far la spesa. E qui apriamo un sotto-capitolo a parte.
Ahimè, sabato, come ogni anno, ci sarà la festa del Ca’ Bianca, la via in cui abito. Che purtroppo, altra disgrazia capitatami in sorte, dunque in malasorte, annovera fra le sue costruzioni anche un grosso centro commerciale omonimo. Dunque, il mio rione, verso la fine di Settembre, puntualmente organizza una sorta di sagra, coi negozianti del quartiere che tengono aperte le botteghe sino a tarda sera, e un vecchietto in piazza che canta tutte le “hit” degli anni sessanta/settanta. Con le sue “cover” dei Nomadi, Dik Dik, Equipe 84, salvo qualche incursione nella musica d’oltreoceano nella riproposizione in salsa italica delle più brutte canzoni dei Beatles. Va be’, no, erano di Liverpool, Inghilterra, appena sopra lo stretto della Manica.
Roba da indurre al suicidio.
Sabato, dunque, non potrò nemmeno guardare un film su Netflix perché il chiasso sarà infernale e volteggerà nell’etere pessima musica a tutt’andare.
Sì, sbarrano tutte le vie con le transenne. E, anche volessi uscire di casa in macchina per andare a prendere un caffè fuori mano, devo presentare alle “guardie” la patente. No, non perché siano della stradale ma perché possa attestare che io abito nel mio palazzo. E in quale altro palazzo dovrei abitare, scusate? E dovrò inventare una scusa per allontanarmi dal baccano, da questa festicciola patetica “elevata in gloria” soltanto dai pensionati.
– Lei dove pensa di andare?
– Sa, è sabato sera. Non è che possa stare sempre nel guscio.
– Non vede che c’è la festa?
– Festa di che?
– La festa del Ca’ Bianca. Dovrebbe oramai saperlo. Si tiene annualmente.
– Sì, infatti rompe i coglioni manco fosse un negro inculante che ti fotte analmente.
– Be’, moderi il linguaggio. Non vede che è una festa dedicata ai bambini?
– Ai bambini? Qui ci sono soltanto ottuagenari.
– Comunque sia, dove pensa di andare?
– Ha il lasciapassere? No, mi perdoni, ho visto quella che è appena passata, wow. Un lapsus freudi-ano. Volevo dire, lasciapassare.
– No, ma abito in questo palazzo che vede se alzerà lo sguardo. Lasciapassere è stato stupendo, complimenti. Alla Lino Banfi.
– Questo? Questo marrone con sette piani?
– Sì.
– E chi me lo dice che lei abita in questo palazzo? Ha un documento?
– Ecco, tenga.
– Un attimo solo che controllo. Sì, c’è scritto che è residente in Via della Ca’ Bianca. Dunque, se ora vuole divertirsi davvero, può andare. Ma, attenzione…
– Sì, sì, lo so. Di qua è tutto chiuso. Devo circumnavigare dall’altra parte. Ok. Buona serata.
Sì, sabato sarà un bello sconquassamento di palle.
Detto questo, ieri è ripartito il programma Tagadà. Eh no, non ci siamo per niente. La signora Tiziana Panella ha indossato i pantaloni, e invece io erigo, no, esigo che indossi la gonna. Perché la sua voce fa schifo ma le sue cosce mi fanno interessare alla Politica. Sì, mentre osservo quelle sue gambe toniche, lisce, inguainate in calze deliziose, sorrette da tacchi vertiginosi, divento un “duro” e mi faccio un’ottima cultura.
A proposito, anche Milly Carlucci è invecchiata. Carlucci, donna che nella mia mente ha fatto sempre rima con l’espressione smancerosa pucci-pucci, ma era un’altra che, al di là della sua insopportabilità melensa e leccaculo, riusciva a eccitare il mio Stefanuccio. Secondo me, poi, con quel rossetto lì, sai come giocava pomposa con la tua “cannuccia?”. Eh sì, era proprio caruccia. Da succhiare come gli spaghetti al cartoccio. In maniera caldamente fumante…
Buono, stai a cuccia!
A parte le porcatelle, ho sempre preferito le tagliatelle.
Ragazzi, amici e non, si va. Fra una recensione di qualità, un altro libro di pregiata immensità, una di là e un’altra inchiappettata sempre a prenderlo lì. Ma anche a darlo qui.
Sì, in questo Stallone… la faccia “allucinata” del Falotico c’è tutta.
Che vi devo dire? Mi tiene in vita un’insopprimibile forza di volontà. Anche se vorrei avere la bravura di Gian Maria Volonté.
di Stefano Falotico
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