Innanzitutto, chiariamoci. Chi è il bardo? Il bardo altri non è che un cantore-poeta celtico. Un romantico sfrenato. E tale stupendo epiteto è stato attribuito, in particolar modo, all’immenso William Shakespeare per glorificarne il genio.
Quindi, sfatiamo subito un luogo comune. Il bardo non è Shakespeare. O perlomeno lo è, perché è stato insignito di questa gloriosa definizione, ma è solo un bellissimo appellativo in onore del tragico romanticismo espresso da William nelle sue immortali opere. Bardo, ripetiamo, è semplicemente un eccellente, passionale poeta, simile agli aedi greci che, appunto, a loro volta erano dei sublimi cantori di professione.
Dunque, smettetela di pensare che bardo sia sinonimo di Shakespeare. Sol in virtù del fatto che a William è stato appioppato questo nobilissimo nomignolo, diciamo così.
E sono stanco di leggere e sentire, soprattutto, proprio in riferimento a quanto poc’anzi scritto, che Kenneth Branagh è il Bardo con la B maiuscola. Kenneth Branagh è, tutt’al più, uno dei contemporanei, maggiori interpreti teatrali e cinematografici di William Shakespeare.
Delucidato ciò, parliamo proprio di lui, Kenneth Branagh.
Ora, ammetto che anch’io, sino a qualche tempo fa, ero sicurissimo che Branagh, così come William, fosse britannico, per l’esattezza un inglese puro sangue. E che, considerando la sua eleganza e la sua altezza recitativa, provenisse da una famiglia nobile, ricchissima e aristocratica d’Inghilterra.
No, Kenneth Branagh è figlio di una famiglia operaia dell’Irlanda del Nord. Infatti, è nato a Belfast il 10 Dicembre del 1960.
Già appena diciottenne, incomincia a recitare nelle migliori compagnie teatrali.
Quindi, nel 1989, compie il grande salto nel Cinema. A soli ventinove anni si cimenta con l’adattamento cinematografico di Enrico V, sceneggiandolo, dirigendolo e interpretandone il ruolo di protagonista assoluto. La Critica si esalta e Branagh viene candidato agli Oscar sia come Miglior Regista che come Migliore Attore Protagonista.
Da allora, Shakespeare diverrà il suo cavallo di battaglia, come tutti noi sappiamo.
Ma, al di là delle sue comunque notevoli e interessanti prove scespiriane, sia davanti che dietro la macchina da presa (Molto rumore per nulla, Nel bel mezzo di un gelido inverno, Hamlet, Pene d’amor perdute), o soltanto come interprete (Othello, il magnifico “documentario” Riccardo III – Un uomo, un re di Al Pacino), secondo il mio modesto parere, Kenneth Branagh il meglio di sé l’ha dato quando ha diretto film che hanno poco a che vedere con Shakespeare. Scusate, mi spiego… Film dalla struttura drammaturgica quasi sempre tragica, come nelle opere del Bardo ma che, almeno all’apparenza, esulano da Shakespeare stesso, almeno a livello letterario.
E, a proposito di ciò, rivedete con molta più attenzione il suo capolavoro imperfetto, Frankenstein di Mary Shelley con Robert De Niro.
Un film, alla sua uscita, stroncato sonoramente da tutti. Perché quel dottor Frankenstein a torso nudo e palestrato, da lui incarnato con esuberante vigoria, parse tronfio, pagliaccesco ed esibizionista.
E forse la Critica di allora non era pronta a una rilettura tanto fantasmagorica e bizzarra. E reputò il film di Branagh un disastroso pasticcio.
Ecco, va detto certamente che Branagh è molto vanitoso, un egocentrico e che forse i suoi film peccano in tal senso. Accentrano troppo l’attenzione sulle sue performance e sul talvolta irritante suo ridondante compiacimento attoriale.
Ma Thor (infatti non c’è lui come attore) è il miglior cinecomic sinora realizzato.
Kenneth Branagh, uno che, a ben vedere con maggior oculatezza, negli ultimi dieci anni, come actor ha girato pochissimi film.
Ma che col suo Hercule Poirot da/di Agatha Christie ha trovato un ruolo stupendo. Assassinio sull’Orient Express, a mio avviso, rimane uno dei film più intriganti e sinceramente belli dello scorso anno. Chi ha criticato questa pellicola, e di conseguenza Branagh, accusandola di aver ecceduto nell’uso massiccio della computer graphics, di essere pacchiana e superficiale, non l’ha affatto capita.
Branagh ha compreso invece con perfetta lungimiranza (e il successo anche di pubblico gli ha dato ampia ragione) che, se avesse adattato il classico della Christie in maniera puristica, avrebbe realizzato un film fiacco, bruttamente démodé.
Assassinio sull’Orient Express è semmai genialmente naïf.
E dunque, dopo l’imminente Artemis Fowl con Judi Dench, non vedo l’ora che inizi il casting di Assassinio sul Nilo.
Il suo Poirot, ribadisco, è strepitoso.
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