Mi pare ovvio che andassi a parare su di lui, freschissimo di statuetta dell’Oscar per la sua superba interpretazione di Winston Churchill ne L’ora più buia di Joe Wright.
Be’, ça va sans dire, è palese che Gary Oldman sia un attore rinato, anzi, adesso di nuovo molto rinomato.
Gary Leonard Oldman è nato a New Cross, Londra, il 21 Marzo del 1958.
Figlio di un saldatore e marinaio, col bruttissimo vizio dell’alcol, Oldman, per via dei gravi problemi di alcolismo del padre, che soventemente lo malmenava, andò a vivere con la madre e le due sorelle maggiori alla sola età di sette anni. Un orfano di padre, come si suol dire.
Inizialmente, è appassionato di musica e studia pianoforte ma poi conosce lo sceneggiatore Roger Williams e comincia a darsi alla recitazione.
Dopo aver frequentato le scuole di Teatro più prestigiose d’Inghilterra, e dopo aver recitato sul palcoscenico in una miriade di allestimenti e pièce, Oldman esordisce col botto al Cinema, incarnando con estremo vigore e vivacità, adesione viscerale e spasmodica al ruolo, Sid Viciuos, celeberrimo ex bassista dei Six Pistols, nel film di Alex Cox intitolato Sid e Nancy.
Seguono quindi altri due registi importanti, Stephen Frears per Prick Up – L’importanza di essere Joe e il “folle” Nicola Roeg di Mille pezzi per un delirio.
Ma è il 1990 l’anno che lo impone definitivamente. Oldman non è più soltanto un giovane attore britannico talentuoso e di belle speranze, è oramai una certezza.
Perché è protagonista, assieme a Tim Roth, del film sorprendentemente vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia, ovvero Rosencrantz e Guildenstern sono morti, riuscitissima trasposizione cinematografica dell’omonima commedia teatrale, per l’occasione diretta da Tom Stoppard.
E il nostro Gary Oldman diventa uno degli attori più richiesti a Hollywood degli anni novanta, interpretando di tutto e di più. Da Stato di grazia di Phil Joanou con Sean Penn a Henry & June di Philip Kaufman, sino alla parte infame del “disgraziato” Lee Harvey Oswald nel JFK di Oliver Stone. Ma è con lo sfolgorante, iper-romantico, barocco e visionario Dracula di Bram Stoker per la regia del grande Francis Ford Coppola, che Oldman trova uno dei suoi primi ruoli che valgono già tutta una carriera.
Ed è tutto un succedersi di film più o meno belli, a seconda dei gusti, in cui puntualmente però Oldman dimostra sempre più la sua polivalenza attoriale, la sua poliedricità espressiva, spaziando da Triplo gioco di Peter Medak al Ludwin van Beethoven del pasticciaccio Amata immortale, con la sua ex compagna Isabella Rossellini, dall’Isola dell’ingiustizia – Alcatraz con Kevin Bacon al film più brutto di Roland Joffé, La lettera scarlatta, annacquata versione per il grande schermo del famosissimo libro di Nathaniel Hawthorne.
C’è anche Una vita al massimo di Tony Scott, con un cast da brividi, ma soprattutto il suo psicopatico assassino, Norman Stansfield, del cult Léon di Luc Besson, con uno strepitoso Jean Reno e una Natalie Portman bambina. Besson, col quale Oldman tornerà a lavorare nel costosissimo ma forse pacchiano Il quinto elemento con Bruce Willis e Milla Jovovich.
Insomma, in quegli anni gira come un ossesso un sacco di film, e starli ad elencare tutti… non ci basterebbe una monografia intera.
È ad esempio il terrorista fuori di testa di Air Force One con Harrison Ford nei panni del Presidente degli Stati Uniti, per la regia teutonica di Wolfgang Petersen, e Mason Verger nell’inutile e fastidiosamente roboante Hannibal, seguito deludente de Il silenzio degli innocenti, di Ridley Scott.
E sono anni in cui Oldman vaga di qua e di là senza molta identità, partecipando a boiate immense ma poi trovando, grazie a Christopher Nolan, il bellissimo ruolo del sergente James Gordon nella sua trilogia di Batman con Christian Bale. E indovina magicamente anche un altro ruolo iconico, quello di Sirius Black in molte pellicole di una saga altrettanto clamorosamente di successo straordinario, quella di Harry Potter.
Ma, a mio avviso, il suo ruolo più bello, intenso e umano, dopo tante parti da villain impietoso e bastardo, è quello commovente e “triplo” di Bob Cratchit, Marley, Tiny Tim nel meraviglioso A Christmas Carol di Robert Zemeckis con un Jim Carrey mai visto.
Ma, pensate, è soltanto nel 2011 che Gary Oldman ottiene la sua primissima nomination all’Oscar per il magnifico La talpa di Tomas Alfredson!
Incredibile, davvero. Prima di allora, l’Academy Award l’aveva sempre scandalosamente ignorato.
E tutto ciò, a maggior ragione col senno di poi, ha dell’inquietante. Mi sembra, come detto e scritto, che di grandi film e interpretazioni magistrali, Oldman ne avesse già sfoderate a bizzeffe. A iosa!
E finalmente, dopo una lunghissima, estenuante attesa, quest’anno Gary Oldman ha potuto, distruggendo ogni possibile e agguerrita concorrenza, alzare l’Oscar, entrando di diritto e dalla porta principale, nella Storia del Cinema. A prescindere o meno, infatti, che la sua adesione, talmente impeccabile da esser perfino quasi caricaturale, di Winston Churchill vi sia piaciuta o meno, è gigantescamente incontestabile che non si poteva non premiarlo col massimo riconoscimento assoluto.
Adesso, Oldman è di nuovo uno degli attori più richiesti al mondo.
E assai presto lo vedremo nel nuovo lavoro di Steven Soderbergh e ancora diretto da Joe Wright per The Woman in the Window con Amy Adams e Julianne Moore.
di Stefano Falotico
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