Archive for July, 2018

A chi diverrà davvero mio amico stringerò la mano perché sarà riuscito in un’impresa impossibile


07 Jul

Monica+Bellucci+Dolce+Gabbana+Runway+Milan+LHRGlOJOZ_pl

L’amicizia vera, così come l’amore vero, sono due cose pressoché irraggiungibili.

Io ho sempre sognato, adesso posso confidarvelo, di essere Sailor di Cuore selvaggio e, in barba a ogni regola e a ogni bon ton, prender la mia bella e spupazzarla per le lande statunitensi, sulla musica on the road di Chris Isaak e il romanticismo di Elvis Presley.

Ma mi son accorto che questo rimarrà soltanto un bellissimo sogno, per quanto ipnotico e ammaliante.

Perché le donne, ahimè, non me ne vogliate, possiedono un’indole ben diversa dalla mia, ché sono irruento, veritiero, sensibilmente poetico nella sua accezione realistica. Non un raccontatore di panzane mielose che sbaciucchia ruffiano i culi muliebri per contentarsi di miseri amplessi zuccherosi. La mia anima è ardimentosa, vive indemoniata di conflitti spaventosi e superbamente poderosi, e non può accodarsi al gentil sesso che, per di più in questa società sempre più edonista, falsa e materialistica, privilegia gli amori plastificati, a me così odiosi. Ché alle donne di oggi interessa avere qualcuno a fianco a sé coi soldi, che rida tronfiamente, beandosi di chiunque, e sappia imporre la sua orrenda valenza dietro la maschera dell’altolocato stronzissimo.

Sì, sono sfiduciato da voi donne. Devo esservi sincero e non ho intenzione di cambiare atteggiamento fino a quando non crederete davvero alla parola amore senza osannarla in frivole chiacchiere da donnette che vogliono solo la cioccolata, la morigeratezza bugiardamente confortevole e altre amenità di sorta.

Che orrore risvegliarsi al mattino e farsi le coccoline, aspettando un’altra giornata di menzogne per tirare a campare, fra una canzonetta alla radio, lo smalto alle unghie, la palestra tonificante e semmai uno psicologo rassicurante che vi consola dalle inutili preoccupazioni quotidiane, dicendovi di prenderla a ridere e non dolervi, incitandovi al più vanesio divertimento vacuo e borghesemente idiota, puttanesco.

I maschi sono ancora più deludenti e, al tonare di questa mia affermazione, per par condicio ripristinata, voi donne potete esultare.

Sì, tutti si spacciano per amici. Ma non sono amici, sono opportunisti, ti sfruttano finché, in qualche maniera, gli torni comodo per qualcosa. Che sia anche far loro da tassista.

E poi scopri che sei sempre stato amante ermetico delle tue emozioni pudiche e riservate, discrete e non vivandate con allegrezza laida, per prenderti la patente di Cochise de I guerrieri della notte.

Ho detto tutto…

Oppure, peggio, per beccarti la patente di Chris Walken de Il cacciatore. Eh sì, quel ragazzo è tanto in gamba, ma è molto asociale, e alla prima ondata di vento cadrà come una pera cotta e impazzirà.

Bella roba, bella opinione che questi “amici” hanno sul tuo conto.

Questi falsi amici ti vogliono sorridente ma non perché si augurano la tua pura felicità, perché così si sentono a loro agio nell’invero aridissima lor anaffettiva concezione dell’amicizia, intesa come “star bene assieme”. Ma che significa? L’amico vero si vede nel momento del bisogno, non è un fantoccio da finte compagnie che ti dà sempre ragione e ti lecca il culo.

Ci sono poi quelli che ti devi abbassare al loro livello affinché ti possano elargire la loro “amicizia”. Allora, visto che vanno di moda i tamarri tatuaggi a sigillo carnale della propria sessualità volgarmente esposta, se tu non te ne fai uno, non sei più amico di questi qua. Che topi di fogna, ma piacciono alle tope.

E infine ci sono quelli “elettivi”. Sì, se siamo tutti nella stessa barca, siamo amici, se tu domani puoi permetterti la barca migliore, ti lascio affogare nella solitudine.

Perché si è amici che ne so, vi faccio un esempio, se il tuo amico è nella merda e anche tu lo sei, se si condividono i confidati, reciproci solipsismi imbecilli, se uno invece comincia a pensare con la sua testa e si dissocia dalla scemenze del mal comune mezzo gaudio, ecco che partono le invidie, inizia la bassezza del pettegolezzo più sfrenato, il gioco al massacro.

Dunque, sulla base di queste mie esternazioni molto lucide e dirette più dell’inevitabile culo marmoreo, insindacabilmente attizzante di Monica Bellucci, sul quale anche il Dalai Lama, idiot savant imbattibile, finalmente la finirebbe di contemplare gli uccelli plananti sui monti tibetani ma passerebbe subito alla pompante azione dell’uccello nell’ano, posso affermare con orgoglio che, non essendomi ancora venduto, chi vorrà essere mio amico leale dovrà farsi il culo. Tanto il suo culo non lo voglio, mi piace quello della Bellucci.

 

– Guarda che la Bellucci non è più quella di una volta.

– Meglio. Prima era una zoccola.

– Ma no, è stata sempre una donna di classe. Solo che adesso ha pure le occhiaie.

– E che ce frega delle occhiaie? Scusi, a lei interessano le occhiaie?

– No, non m’interessano neanche le oche.

– Bene, allora le stringo la mano. L’oca è mia.

 

Ah ah.

 

 

 

di Stefano Falotico

Mi son commosso davanti a me stesso e ho riso tantissimo


07 Jul
CAPE FEAR, Robert De Niro, 1991, © Universal

CAPE FEAR, Robert De Niro, 1991, © Universal

Improvvisamente, nuovamente, scopro che piaccio moltissimo alle donne. Ora, non dovete dar retta a tutte le panzane che vi rifilo. Io ne ho avuta qualcuna, anche se ho sempre avuto il dubbio che non fossero donne. Non è che erano delle cangurine? Sì, ci sono, vivono in Australia e, pur d’incontrarmi, hanno attraversato l’oceano, zampettando fra le onde. A parte gli scherzi, fu dilettevole sperimentare la parte affettiva di me, spesso da me stesso rinnegata. Quando mi do, so di soffrire molto, perché l’amore vero richiede sacrificio totale e significa accettare il gioco, la sfida, con sfacciataggine estrema. Allora crollano i pudori, i residui dubbi si sfaldano, la maschera scivola e le incertezze devi lasciar da parte se vuoi “sfondare”. Ecco, qui ho calcato la mano, e so di aver peccato. Mi perdoni, padre, mi assolva con tre Ave Maria.

Sì, mi ricordo di tantissimi anni fa quando “scelleratamente” mi masturbai, al che in tutta fretta mi recai alla basilica di San Luca, perché talmente “grande” fu il mio peccato che andava obliato in un’abluzione quasi battesimale, per estirpar la colpa e far sì che m’intingessi nella purezza profonda del mio esser spoglio davanti a Cristo, in remissione sincera.

Ricordo i patimenti mistici di quelle giornate deliranti, sospese fra l’adulazione all’aldilà inattingibile e la carnalità adolescenziale unta e bisunta. So che all’epoca i brufoli s’addensarono sulla mia pelle efebica, e rammento ancora come la “rammendai”. Sì, ne faccio qui ammenda, e vi chiedo scusa se in quel periodo mi presentai con quella faccia simpaticamente escrementizia.

Da anni immemorabili, non credo a Dio. Perché soltanto un pazzo potrebbe credere a un’entità superiore che domina i destini di poveri disgraziati, qual siamo noi tutti, in questa condizione umana che spesso ci rattrista e penar ci fa tra dilemmi, il proceder lemme lemme e la flemma, appunto, davanti a una donna elegante per non apparire troppo surriscaldati. Sì, conservate la calma quando lei accavallerà in modo birbante, e annuite solleticanti eppur maliziosi dirimpetto alle sue pose così vogliose. Attendete l’attimo nel divenire e poi verrete di tutto venare, no, peccato veniale. Eh sì, i vasi dilatatori…

Lo conoscevate il verbo venare? Ah, ma andate sverginati, no, svernati!

Devo esservi onesto. Io non sono un campione nel corteggiamento, anzi, spesso mi faccio sopraffare dalla figa, no, foga, imbarazzato esito talmente tanto da indurre la mia preda a mollar subito la presa e a mollarmene una. No, non una sberla, proprio una scoreggia che sdegna la mia esagerata cautezza. Perché la donna media ama l’uomo arrogante che, già imbestialito dalla sua sensualità dirompente, procace, a dir poco avvenente, è zotico e gorgheggia infoiato l’amplesso subito desiderato, ponendosi già troppo accalorato. Le donne dicono che uomini così a loro fanno sesso, a me fanno schifo. L’amplesso va pacatamente desinato, gustato con l’antipasto sfizioso di una chiacchierata che può durare per ore. Sì, perché più durano le frottole, più fra una banalità filosofica e l’altra si mordon le frittelle, tese solo a farlo diventare terso, tesissimo e fritto, no, ritto, più lei non si accorgerà che avete “sbottato” precocemente. Ah ah. Che spiritoso che sono, sono un discolo.

Nessuna donna, ma anche nessun uomo, crede che io abbia 38 anni, anzi, a Settembre ne farò trentanove. Vorrei farmene quaranta, ma trentanove mi spettano di giusti ani, no, anni. Perché, quando mi sbarbo e non assumo robaccia antidepressiva che appesantisce il mio ventre, sembro un trentenne a dir molto.

Invero, la mia apparenza non mente sulla reale età anagrafica ma credo che chiunque, guardandomi nell’anima dei miei occhi, scorga che sono giovanissimo. Non son vergine ma il mio sguardo emana lucentezza viva, scevra di ogni corruzione adulta. Sì, esprimo romantica dolcezza anche quando me la tiro da stronzo. Perché non si addice alla mia natura genetica, estetica, esegetica del mio cuore, essere un figlio di puttana. Sì, alle volte sbraito, do di matto, molto meno rispetto a prima, anzi oramai mai, perdo facilmente la pazienza e sbrocco, ma non perché sono una schiappa e un brocco, perché sento troppo e mi è complicatissimo gestire il turbinio abissale delle mie emozioni voraci, veraci e anche, non so, trovate voi un aggettivo che faccia rima baciata con la mia sibillina autenticità smodatamente limpida e pugnace.

Sto riguardando tutti i Blu-ray che avevo comprato e mai avevo visto. Film che avevo già visto ma non ancora in Blu-ray.

Sto rivedendo Cape Fear e i suoi contenuti speciali.

Sto parlano del remake di Scorsese, sì, il promontorio della paura.

Ecco, a chi saltò in mente di affibbiargli questo sottotitolo? Promontorio è stupendo. Potevano tradurlo anche con cima, capo, sommità, sai che merda…

Vi devo essere obiettivo. So che vi stupirà questa mia affermazione, ma Cape Fear è un ottimo thriller con ambizioni metafisiche, ma non è un grande film, per niente.

È sorretto da una suadente colonna sonora, riciclata penso, sì è così, e lo sceneggiatore Wesley Strick ha cancellato troppi eccessi della prima versione, ma non ha tolto alcune scene che secondo me sono fastidiose. Come quando (in tv raramente passa integralmente) De Niro mangia la guancia di Illeana Douglas. Abbastanza vomitevole e di cattivo gusto. Max Cady è uno psicopatico ma non sino a questo punto così barbaramente mostrato.

No, non è un grande film. Ma comunque va guardato in lingua originale. Con tutta la stima per la buonanima di Ferruccio Amendola, la voce originale di De Niro, con le giuste intonazioni, i tintinnii lievi della testa e la pettinatura leonina così ben “acconciata” alle sue ottimamente cadenzate corde vocali, rende appieno giustizia alla grandezza della sua interpretazione.

Poi, perché citate quella frase… imparerai che vuol dire perdere?

Dice in effetti You’re gotta learn about loss. Che potremmo tradurre più appropriatamente con hai da imparare sulla perdita. Sul senso della perdita. Perché in galera Cady ha perso la sua anima. Non soltanto degli anni.

E lui non dice… roba tipo… ci voleva qualche vizio per ricordarmi che sono un uomo.

Uomo, virilità e il concetto di perdente appartengono alla nostra cultura italiota. Alla nostra folle visione fra bianchi vs neri, fra vincenti e vinti. Roba tutta fottutamente, laidamente italiana. Lui dice… per ricordarmi di essere umano. Perché sì, Cady ha stuprato e si è macchiato d’infamia, ha lordato la sua coscienza, ma ha perduto soprattutto la sua umanità. Ed è per questo che è un fan di Nietzsche e di altre teorie superomistiche che comunque lui distorce a piacimento.

Sono dettagli importantissimi, cazzo.

Ora, vi siete accorti che è forse l’unico film di Scorsese che indugia sui tramonti rosati e le stelle cadenti?

Perché la fotografia è del lynchiano Freddie Francis. E The Elephant Man e Una storia vera vi dovrebbero dire qualcosa in merito.

È in questi scorci che Cape Fear diventa metafisico.

Perché il significato intrinseco della vita è nel profumo delle stelle.

Perché ci svegliamo ogni mattina, nonostante tutte le sfortune del mondo, e continuiamo a emozionarci? Perché, come sostengono Freud e Jung, fin dalla nascita possediamo una sorta di coscienza sociale figlia della nostra genetica emozionale? No, una grande balla.

Perché Dio non esiste, ma credo fermamente che esista qualcosa che ci rende unici. Qualcosa di profondamente inquietante, a ben vedere, che non ci permetterà mai di essere delle scimmie, neanche se lo volessimo.

E io non posso essere pazzo neppure se m’impegno dannatamente talvolta per sembrare tale.

Da tempo poi, devo confidarvi, che sono terrificato dall’idea della morte.

Forse, siete troppo occupati nelle vostre competizioni balorde e nelle vostre stronzate ignobili quotidiane per capire ciò che sto cercando di dirvi da una vita.

Oggi muore un tuo amico, domani la donna che ami o ti eri illuso di amare, domani i miei genitori, ieri i miei nonni. E noi perdiamo, giorno dopo giorno, qualcosa.

Quel qualcosa che ci rendeva simili a Dio. Nella nascitura onnipotenza della nostra innocenza.

 

T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.

(Pier Paolo Pasolini).

 

In verità, noi tutti siamo già uomini quando abbiamo tredici anni ma siamo obbligati, giocoforza, a nanizzarci perché non abbiamo indipendenza economica, i genitori ci attanagliano perché pensano che una vita programmaticamente corretta sia quella sana, nessuna quarantenne farebbe sesso con noi, non sarebbe moralmente lecito, veniamo imbrigliati da retorici retaggi e ricatti scolastici per essere indirizzati…

Un’immane, orrenda ipocrisia. Come quella di Nick Nolte.

Voi non smettete di guardare alla vita con la vostra poesia.

E non avrete più paura di niente e di nessuno… anche di uno che guadagna centomila Euro al mese e v’impone sadico e smargiasso la legge del più forte…

Adesso vi mando a cagare e mando a fanculo anche me stesso. Ah ah ah.

 

Buonanotte.

Buona visione.

 

 

di Stefano Falotico

The ITALIAN WARRIOR, abbiamo visto il docu-film sul Fighter professionista Luca Bergers


06 Jul

Italian Warrior Facebook

Recensione apparsa su Daruma View.

Capisco che non è facile capire quello che faccio, la mia scelta di combattere senza guanti, di fare uno sport così violento, così duro. Specialmente per le persone a me vicine, alla mia famiglia… mia moglie.

Anche quando racconto quello che faccio alla gente, le prime parole che mi dicono è sei un matto, sei un incosciente.  Però se dovessi vivere la vita per piacere agli altri, sarebbero tutti contenti. A parte me.

Queste le parole languidamente secche e lapidarie che possiamo ascoltare nel trailer.

Tutto vero, nessuna finzione. Nessun copione. Nessuna sceneggiatura.

E questa è la schietta sinossi:

The ITALIAN WARRIOR è la fotografia reale, senza filtri, della vita del Fighter professionista Luca Bergers, primo e unico italiano ad aver avuto accesso al circuito più ambito e pericoloso, al mondo di Boxe a mani nude: il BKB. Attraverso l’occhio indiscreto della telecamera, entreremo in punta di piedi nel suo mondo, toccheremo con mano quante e quali fatiche deve sopportare per portare avanti il suo sogno. Sarà un viaggio intimo e toccante attraverso i luoghi e le persone più importanti della sua vita: la palestra, la famiglia, i suoi amici. Luca non è ragazzo speciale. È solo un ragazzo che ha deciso di credere nel suo sogno. Esistono almeno un milione di ragioni per rinunciare. Una sola per andare avanti. Qualunque sia il vostro sogno: siate quell’unica ragione.

Dirige il riminese Joseph Nenci e qui non ci sono attori, è Luca Bergers il protagonista, quello reale, quello di ogni giorno e ogni notte, delle ore passate negli strazianti sensi di colpa, la “colpa” di fare qualcosa di moralmente poco accettato, ma il suo sogno è quello e, da combattente della sua avventura esistenziale, pur scontrandosi coi pregiudizi lancinanti, con la sofferenza stessa della sua difficile e controversa scelta, seppur osteggiato e malvisto da tutti, vuole andare avanti.

Perché lottare, in ogni senso, è ciò che gli riesce meglio. Lottare nel ring della vita che ti dà pugni in faccia e ti butta al tappeto. Da cui devi rialzarti con la grinta del leone mai domo per non soccombere, oppure spegnere l’apparentemente folle ambizione di non avere una vita apaticamente normale. E neppure volerla.

Perché Luca sa che forse sta sbagliando strada, ma è l’unica strada connaturata al suo animo, e non può mentire al suo cuore. A costo di venir emarginato e picchiato da chi non può capire.

In mezzo al sudore e al sangue, anche della sua invincibile rabbia. Con la sua barbetta rossa come è rosso non solo il sangue stesso ma la perenne paura dell’incertezza. Allarmante. Pronta a esplodere. La paura di esistere e quindi resistere dinanzi ad altri urti potentissimi di questa vita marcia. Lui è un puro, un angelo dalla faccia sporca in mezzo a tante chiacchiere perbeniste e ipocrite. E sa guadagnarsi da vivere soltanto facendo ciò che a quasi nessuno piace.

Riprese poetiche tra dialoghi naturalissimi da uomini comuni, “poveri” mortali che si spaccan le ossa per stare a galla. Il mare, l’orizzonte, forse il grande sogno è svanito ancor prima di prendere il volo, forse non è mai esistito, un’illusione-fantasma fra gli scogli e il tintinnio, il mormorio di una vita bruciata. O solo combattuta, fottutamente agognata cicatrice dopo cicatrice, fra mille ferite che non rimargineranno mai più.

Ma Luca ama ferirsi, stare male. Perché solo stando male trova la pace. Gli altri non capiscono, sono scioccati, e lo disdegnano pian piano dal primo all’ultimo. A partire dalla moglie, che lo considera oramai pazzo e irrecuperabile. Ma non può smettere di amarlo e stargli accanto.

Ma il guerriero italiano non si arrende. Profeticamente sincero nei confronti di sé stesso.

Spirito di predazione. E una settimana prima di combattere… Luca si “spegne”, entra nel suo mondo, non vuole che nessuno rompa.

Gli serve un match epocale per non avere per un po’, almeno, la preoccupazione di dover pagare tante bollette, in questa società di merda, come dice lui.

Si allena come un dannato con Ivan “Iron” Polverini. Iron perché aveva le mani pesanti nel combattimento. E non è uno che va per il sottile. Ivan era ed è come Luca. Praticava quello sport perché era la cosa che sapeva fare meglio. E lo emozionava. Secondo lui, infatti, il tempo senza emozioni è solo un orologio che fa tic tac. E gli grida… duro, ti vuoi incattivire o no?

La moglie di Luca si chiama Titta, come il personaggio centrale di Amarcord. È lei la donna che Luca ama. È disperata, lo vorrebbe a casa.

I suoi amici indossano il bomber e sembra siano fermi a trent’anni fa. Luca si è tatuato sulle nocche di una mano la scritta LOVE, perché ama essere sé stesso e sul ring esprime i suoi sentimenti.

Assieme a Ivan e all’altro suo fido maestro e mentore, ex campione di Muay thai, Cristian RED Valli, Luca ora si è allenato come un toro.

È pronto Luca?

Chi vincerà a Londra?

Colonna sonora psichedelica del rapper D-Art.

Questa è la vita di Luca.

 

Da vedere. Un docu-film superiore alla media. Un boccone, un trancio di vita…

 

 

di Stefano Falotico

 

Il sacrificio del cuore sacro, anche del culo sano


05 Jul

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È uscito questo film del Lanthimos, sì, uno che non deve essere stato amante dei latini ma delle tragedie greche, euripidee. Non ne avevamo abbastanza di Eschilo, Sofocle, anche Euripide. Ma chi era Euripide? Lei lo conosce? Io non gli ho mai stretto la mano ma secondo me aveva un profilo etrusco, forse babilonese. E mangiava la macedonia, fra un’angoscia e l’altra. Lo studiano negli atenei, era atenese?

Ecco, oggi ero di buon umore. Così, talvolta succede, non ve ne stupite. Poi sono andato a prendere il caffè. E nel “cortile” del bar ho avvistato un troione, uno con la gamba accavallata e la camicia bianca aperta, con quattro cellulari, che parlava con un suo amico dall’altra parte.

– Uè, puttaniere. Allora manca poco. Ancora una settimana di lavoro di merda, poi la mer. E ficcheremo a tutto ander. Alla faccia di tutte queste merde. L’abbiamo ficcato in culo a tutti e ora ci aspettano tre zoccole a notte a testa. Vai, grande! Dio bono!

 

Ander in bolognese significa andare. Indossava le infradito e già questo è servito a darmi il voltastomaco, prima ancora che altro aroma amaro potessi sorseggiare nonostante tre bustine di zucchero.

 

Quindi, ho acceso la radio e parlavano di limonate estive. Intervistando vari “utenti” in merito alle loro esperienze da baciatori “provetti”. Prende su la parola un siciliano.

– Quella notte ero indemoniato, ma lei portava l’apparecchio e aveva mangiato cime di rapa. Minchia fetente! Comunque fu lo stesso una gran scopata. L’indomani, dopo quell’imbarcata e quell’imbranata, m’imbarcai per nuove avventure a mare aperto. E la sera stessa incontrai una fiamminga tutta accalorata a cui subito “glielo” resi fiammeggiante, la invitai sul mio yacht e me la montai assieme a un’altra mignott’. Un’olandesotta! Ah, e il tramonto rosso si allineava a prua di quelle prugne che arrossii nel cielo color rosé come quella notte dal sapore osé. Sì. Ah, che amplessi divini, da uomo scafato nello scafo, una sbattei anche nello scantinato, scardinandola, e versai il mio “vin” tutto dentro fra mille bacin’. Ma solo una sapeva muovere il bacino mentre l’altra era chiaramente esperta di pompin’. Dissi loro di stare attente e di avvertirmi prima del “frizzante” perché non voglio bambin’ e loro mi asservirono e tutto deglutirono. Sì, l’estate mi rende uomo!

 

Ecco, certa gente, prima di andare a letto… pensa mai che esiste un’umanità che se ne sbatte… il cazzo delle loro troiate?

È un’umanità inquietante, che fa paura, che va sacrificata per il piacere “tranquillo” di questa gente “normale”.

Andrò a vedere questo film? Alla sola idea di andare in una multisala, mi vien voglia di suicidarmi.

Alla faccia di chi dice che è bello andare al cinema. Non me ne vogliano questi “romantici”, lo streaming è l’invenzione più eccelsa della storia.

Sì, che palle e che disgusto andare al cinema e vedere questa gente che limona, si scruta, urla, rutta, cazzeggia, borbotta, parla ad alta voce, che in poche parole puttaneggia.

 

di Stefano Falotico

Mezzanotte a Bologna – UNA CITTÀ PIÙ CHE ALTRO SPENTA


05 Jul

Da Caffè Scorretto, uno dei cinquemila siti a cui collaboro. Che non linko apposta.

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Midnight in Paris, film di Woody Allen, narra la storia di uno scrittore e sceneggiatore non molto di successo che vive avventure fantasmagoriche nelle notti più fantasiose e fuori dal tempo di una Parigi da incorniciare, precipitando in una dimensione irreale, anzi surreale come Salvador Dalí, in un intrepido viaggio mesmerico in cui la sua identità confusa, come in un quadro cubista, verrà in contatto persino con Pablo Picasso.

Sì, bel film, non c’è che dire. Forse troppo leggero e scanzonato per i miei gusti, ma dolce come un pasticcino dalla sfoglia delicata.

Ecco, sono qui, in quest’avvicinarsi impertinente di Luglio. O forse è già Luglio e ho perso memoria dei giorni. Il caldo si attacca alle ossa come una sanguisuga e mi spella. Il condizionatore non basta ma, appunto, è comunque più rinfrescante di tanti sbagliati, fuorvianti condizionamenti soffocanti.

Devo uscire di casa. Ma l’ora è tarda. Ho cenato alle nove e mezza, poi ho rivisto questo film di Woody Allen, ho fumato cinque sigarette e, fra una cosa e l’altra, ecco che si son fatte le undici di sera. Il cielo è buio, le nuvole si sono addensate come i miei grigi pensieri nebulosi.

Esco di casa, sì, son ben vestito, sbarbato e ho digerito con gusto quell’ottima cenetta sfiziosa a base di peperoni.

Mi si è rotta la macchina. Eh già. L’altro pomeriggio ha cioccato. Per fortuna a soltanto duecento metri dal parcheggio della mia proprietà privata. Ma è venuto il carro attrezzi e adesso la stanno riparando. Quella macchina non è la prima volta che s’inceppa. È l’incarnazione metallica della mia vita. Pare che riparta e si rimetta in moto, dura qualche mese, poi come i miei ballerini, altalenanti umori claudicanti e barcollanti… fa crack.

Anche la mia mente, in questo tragitto tortuoso ch’è la vita piena di curve pericolose, e non mi riferisco soltanto a quelle delle donne più formose che ti fanno sbandare e che tanto spompano, si spezza, crolla, e il mio corpo perde energia e non più carbura.

Va be’, prenderò l’autobus. Credo che sino a mezzanotte passi ancora da queste parti. Oh, non si vede anima viva, e dire che è venerdì sera e la settimana lavorativa è per molti terminata, dunque dovrebbero stare tutti in giro, euforici, a divertirsi.

Ah, vero, qua è periferia, probabilmente si son già tutti spostati in centro.

Il centro di questa mia città, tetra e piena di portici inquietanti, d’estate a essere sinceri non è che si animi molto. Molti, di questi tempi, son già andati in riviera o forse proprio nella capitale francese a brindare nelle proprie ferie dopo un anno in cui, siamo onesti, non è che poi abbiano lavorato così tanto. Conosco tanti comunali immeritatamente pagati che fanno viaggi extra-statali ed extracomunitari costretti a emigrare.

Eccomi arrivato. Via Rizzoli. Non so ancora perché mi sia recato qui in centro. Ma la notte porterà consiglio. Quel pub è aperto. Mi pare, almeno a giudicare dall’esterno e guardando attraverso le vetrate, che un po’ di mossa lì ci sia. Sì, mi berrò una birretta. E forse di stuzzichini m’ingozzerò.

– In quanti siete?
– Solo io.
– Ah, solo come un cane.
– Senta, barista cagna, mi dia una birra.
– Ma che modi sono? Impari le buone maniere.
– Me la dà o no, questa birra?
– Ceres o Heineken?
– No, Peroni.
– Non abbiamo le Peroni. Le Peroni sono per camionisti.
– Io potrei essere un camionista, sa? E voglio la mia Peroni.
– Si prenda questa, e vada a sedersi. In fondo a quel cantuccio, troverà un tavolo con una sola sedia. È riservato ai falliti.
– Quindi lei è un’habitué di quel tavolo.
– No, io la compagnia ce l’ho sempre e non sono una fallita come lei.
– Come si fa a fallire con quelle tette?
– Come, prego?
– Ah, lei prega anche? Non pensavo fosse molto religiosa. Grazie per la birra, gliela pago subito ma da me non verrà mai pagata.
– Come, prego?
– Se lo dice lei che prega, non posso contraddirla. Preghi pure. Fra un bovaro e l’altro.
– Guardi, è un maleducato e anche uno stronzo. Questo è un locale serio. Lei è un tipo da bettole!
– No, sono un tipo e basta. Lei è una bella topa, non vi sono dubbi, ma non so quali topi, no, tipi frequenta.
– La denuncio!
– Non si può.
– Perché mai?
– Perché questa birra è scaduta. Legga qua. Cosa dice la confezione? Sa che non si possono vendere ai clienti le birre avariate? Qualcuno potrebbe dar di stomaco, ci potrebbe scappare il morto e poi saranno solo gatte da pelare. Forza, me ne dia un’altra.
– Scusi…

 

Che pittoresco posticino. Me ne sto qua seduto come un pascià. Questa birra va giù che è una bellezza.

Accanto a me quattro tipi si scalmanano e discutono animatamente ad alta voce.

– Bologna è peggiorata. Non è più rossa come un tempo, un tempo sì che si legiferava come Dio voleva. Che poi, appunto, io son comunista e non credo a Dio e agli angeli. Si è parecchio imborghesita – dice uno dall’aspetto tarchiatello con grande boria, declamando ogni singola parola come fosse il sindaco in piazza.
– Sì, è una città più che altro spenta. Un tempo questa città, fior fiore di artisti e luminari, irradiava gioia di vivere, era una città illuminata. I giovani son stati soffocati da un edonismo tetro, dappertutto impazza il consumismo e vengono bombardati dalla tv con messaggi subliminali che distorcono le coscienze più lucide – aggiunge un altro, magro, emaciato in viso, dai lineamenti spigolosi e cristologici.
– Hai ragione. Bisognerebbe ridipingere questa città. Affrescarla a mo’ di tela e intingervi un po’ di maggiore naturalezza. Siamo schiavi di questi condizionamenti dell’omologazione globale di massa. E abbiamo perduto i colori vivi della nostra autenticità. Sì, noi dobbiamo essere più incisori, no, volevo dire incisivi e infondere freschezza, vitalità e donare migliori prospettive a queste nature morte. A questi zombi ambulanti che non sanno più apprezzare un vaso di fiori e pitturare la realtà con sincera genuinità. Sono tutti, oggigiorno, tristemente in cerca di emozioni artificiali. E vedono il mondo con gli occhi della pubblicità.
– Ah, i vostri discorsi sono campati per aria. Dissennati e confusi. Siate più telegrafici e diretti.
– Scusate, posso sedermi al vostro tavolo? – intervengo io.
– Certo, caro. È il benvenuto. Ha sentito quello che dicevamo? Ho notato che stava origliando. Mi permetta di presentarle la compagnia: Giorgio Morandi, Guglielmo Marconi, Pier Paolo Pasolini. E io sono Gino Cervi. Piacere di conoscerla.
– Ah, ma io vi conosco bene! Ma non eravate morti?
– Morti è una parola grossa. Non si è mai morti, si è sempre vivi anche laddove pare che non ci siamo più. Questa è la versione dei giornali, ma dall’informazione moderna bisogna diffidare. È capziosa e falsa. Noi siamo morti, è vero, ma le nostre anime riecheggeranno nell’eternità, per sempre. È questo il significato della vita stessa. Dare valore alla nostra mortalità col coraggio delle nostre idee, inseguendo i nostri sogni con determinazione e sacrificio – afferma con orgoglio Pasolini.
– Sapete, io vorrei realizzarmi come scrittore ma ho tutti contro. Nessuno mi appoggia.
– Fascisti! Ecco cosa sono! Fascisti e ipocriti moralisti! – urla Gino Cervi. – Io sono Peppone! Basta con questi caffè delle peppine. Questi circoli letterari per snob. Ho ragione, Pier Paolo?
– Vero, non bisogna mai castigare la propria perfino scomoda creatività per far piacere agli altri. Posso leggere qualcosa di suo? – mi domanda Pier Paolo.
– Certo! Magari! Però al momento non ho niente da poterle far leggere. Ah no, scusi, forse in tasca… ho qualcosa… Ecco qua! È l’abbozzo di una sceneggiatura, per ora ho scritto solo il soggetto. Tenga, legga pure.
– Troppo cervellotico. Troppo barocco e complicato. E pessimista.
– Ma lei non era un pessimista?
– No, mai stato tale. Io ero un grande ottimista. La società è spaventosamente difettosa, ma il cancro sociale si deve estirpare per poter rifiorire tutti assieme a nuova luce.
– Lei deve essere più preciso, telegrafico. Le sue idee sono notevoli ma, esposte con tale prosa eccessiva, la rendono di difficile lettura e comprensione. Sia conciso. Senza fili, no, senza filtri. E tutti capiranno chiaramente. E accetteranno ben volentieri la sua visione del mondo – asserisce Marconi.
– Sì, dipinga la sua visione del mondo. In maniera anche rustica e pura.
– Grazie Morandi, grazie a tutti voi, davvero. Buonanotte.
– Che fa? Ci lascia così? Non ci dirà mica che ha già sonno?
– In effetti no. Ma devo sbrigarmi, se no sarà troppo tardi. Devo rimettermi al lavoro. A presto, amici.

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Stefano Falotico

 

Festa del 4 Luglio, che molte persone non sanno neppure cosa sia


04 Jul
JASON KELLY, TIM ROBBINS & KEVIN BACON in Mystic River Filmstill - Editorial Use Only Ref: FB www.capitalpictures.com sales@capitalpictures.com Supplied by Capital Pictures

JASON KELLY, TIM ROBBINS & KEVIN BACON
in Mystic River
Filmstill – Editorial Use Only
Ref: FB
www.capitalpictures.com
sales@capitalpictures.com
Supplied by Capital Pictures

Non era la parata del 4 Luglio quella che si vede in Cape Fear e Mystic River? E non è una canzone molto famosa di Springsteen, Independence Day, da non confondere con quella micidiale stronzata sesquipedale del film di Roland Emmerich, uno che è riuscito a partorire ben di peggio, Stargate, monumento al patriottismo militaresco?

Vivo in Italia, Paese d’imbroglioni ove abbiamo ancora il canone RAI, televisione di regime che diffonde notizie banalissime con una serietà da lasciar basiti.

E in radio, stamattina, la solita matrona-oca che recita a pappardella i testi retorici che le scrivono, ha voluto “stigmatizzare” questa giornata della libertà.

Libertà per gli americani, dominati dalla casta trumpiana, poco casta ma molto castigante, fascista e dunque ripugnante.

Poi, l’oca dell’etere di R 101, radio filo-destrorsa che propina solo canzoni orecchiabilmente incitanti al divertimento più vacuo e sfrenato, con voce da pasciuta borghesona, ha “amplificato” un’altra sciocchezza apoteotica, lontana anni luce dalla visione del Falotico.

Vi ricordate quando, semmai adolescenti, vi struggevate negli stabilimenti balneari, limonando col vostro amore estivo? Certo, ora da adulti, assillati da preoccupazioni, dal lavoro, dalla famiglia, da altri oneri fiscali-finanziari, guardiamo a quel periodo con un po’ di “sana” nostalgia, ma ricordiamoci che è ancora estate, e dunque sfoghiamo i nostri pudori repressi dopo un inverno stressante e anchilosante, e continuiamo a credere all’amore. Perché l’amore è tutto, è ciò che ci rende uomini, ci fa svegliare col sorriso sulle labbra e, con questi ardenti raggi solari, che c’è di meglio di una colazione a letto, ancora impiastricciati dai sudori della notte appena trascorsa, umidiccia, e noi afosi siamo splendidi, gioiosi, focosi e col vento in poppa?

 

No, la prima parte è ciò che ha veramente detto quasi testualmente, il resto l’ho aggiunto io. Tanto il succo, il “succhiotto” diciamo, era quello. Cioè il messaggio inviato si può sintetizzare nella magnificazione lurida di questa visione falsa e putrida, un’insulsaggine romanticheggiante che puzza d’ipocrisia stagnante.

Sì, siamo stati educati per anni a inseguire i nostri sogni, a combattere per le nostre libertà, per poi capire che, giunti a una certa età, bisogna rassegnarsi e prenderla come “viene”. Arrivando a cinquant’anni totalmente disfatti nel morale, resi immorali dopo tante delusioni castranti, e dunque dobbiamo spaparanzarci sul divano ad aspettare che Cristiano Ronaldo firmi per la Juventus, e che Salvini firmi la “liberatoria” per far morire tanti bambini.

Così poi ci colleghiamo su Instagram, ove la scema più scema è seguita da milioni di followers, perché il suo cervello l’ha lasciato in vacanza dalla nascita, ma sprona di culo abnorme ogni “libero” uccello.

Ora, quel demente di Tom Cruise, esemplificazione vivente dell’edonismo più schiacciante, sta girando il seguito di una delle più grandi boiate cinematografiche di tutti i tempi, Top Gun: Maverick.

La storia di un troione, inespressivo come il culo di quella di Instagram, che inneggerà al maschilismo più tronfio, pomposo e pompato. Assieme a una combriccola di machi “incazzati”. Una storia di droni, di ormoni e omoni. Tosti, adrenalinici, uomini appunto al “top”. Ma Tom Cruise più passano gli anni e più assume la faccia da topo.

Cosa voglio dire con questo?

 

 

di Stefano Falotico

Caro diario, quanto sono tristi i listini estivi delle case di distribuzione, ma non ravviso The Irishman, del quale attendo il trailer, e faccio il bravo ragazzo…


03 Jul

Evan+Rachel+Wood+Premiere+HBO+Westworld+Season+bSRdYlsz7Vfl

Ma me ne dispiaccio.

Sì, una delle ragioni basilari per cui sono ancora vivo è il fatto che non posso morire prima di aver visto The Irishman.

A volte, in piena notte, mi sveglio in cerca di cioccolata calda ma poi, in assenza di essa, mi consolo con un cornetto della COOP, fumo una sigaretta in piena nott’, mentre qualchedun altro starà in giro a quell’ora con qualche grassa mignott’, e col mio fegato faccio a bott’. Poi, silenziosamente, fra me e me borbotto. E continuo a non avere sonno. Che botta.

Stamattina mi ero svegliato pimpante, e subito ho abbisognato di qualcosa di “dolce” che allietasse i mal di pancia della notte insonne. Così, ho rivisto una scena abbastanza spinta e qualcosa, non solo il mio umore, s’è alzato. Ma sapete bene, cari uomini, che dopo l’onanismo si è più tristi di prima. Non vi può essere consolazione in una squallida, monotona masturbazione. Perché altri cattivi umori si son addensati nella mia mente, e si son scagliati al mio cuore con gravi precipitazioni. Ho evitato la cosiddetta crisi ma non riesco a sanarmi da questa cupa, angosciante disperazione. E sempre più su di me aleggia lo spirito della più infausta depressione. Rimugino, mi arrovello ma son stanco, qualche volta mi arrangio, oramai pochissime molte mi arrapo. Questo taglio di capelli non mi dona, opterò nuovamente per la pelata crapa. Oh sì, la mia anima oramai è spellata. E ingurgito la tristezza come fosse un piatto fumante di maccheroni al ragù, con tanto di “risucchio” nel mio essere rimasto all’asciutto. Sì, un altro piatto di pasta asciuttissima, e la pancia crescerà come una pera che sbuccio nell’essere graffiante a me stesso, da potato vivo. Sì, la gente sul naso mi schiaccia il pomodoro e le donne non permettono che sgranocchi le loro rosolate, da altri, patate. Sì, devo mangiare una zucchina per salvarmi da queste vuote zucche e una di queste sera riguarderò Halloween, perché sono lo psichiatra Donald Pleasence in tal seme della follia di massa, ove il Michael Myers di turno se ne sbatte… senz’alcun affetto, poiché il Male si è propagato ed è diventato un modello da imitare con “gusto”.

Sì, Henry – Pioggia di sangue, poi c’è stato Breaking Bad, adesso Westworld, un telefilmone ove non si capisce un cazzo ma lo guardi perché speri che Evan Rachel Wood finalmente la mostri come Dio comanda.

Ecco, prendiamo quest’immagine. Stilizzata, elegantemente raffinata, una stronzata di poster peggio di un quadro di Fontana.

Sì, come De Niro in un Boss sotto stress, vado dal mio psichiatra Billy Crystal e lui mi mostra questa foto.

– Cosa vede?

– Vedo un labirinto e la via di figa.

– Di fuga, vorrà dire.

– No, proprio di figa. Scusi, psichiatra, ma perché la Wood è così pudica e non indossa mai le minigonne?

– Perché ha classe. Non ha bisogno di darla a vedere.

– Secondo me è lesbica e basta.

 

Sì, quindi rincaso e guardo il video della Notorious Pictures con Beniamino Placido che presenta i film della stagione “Autunno-Inverno”. Sì, dopo l’abito prêt-à-porter della Wood, mi sorbisco la lista della spesa recitata da questo Beniamino che pare essere spuntato da una favola di gnomi.

Calca la mano su City of Lies, e finalmente dalla sua bocca apprendo come si pronuncia Whitaker. Uno dei cognomi più impronunciabili di sempre. Ho sempre sentito pronunciarlo VUAITEKER, da alcuni VUAITACHER, da altri VUITACHER. Ma secondo me ha sbagliato anche Beniamino. Chiedo consulto ad How To Pronounce su YouTube. Viene pronunciato da un bambino, sì, che pare si vergogni di chiamarlo ad alta voce, e sembra che dica Forest WATER, prima di andar a far la popò nera nera come la faccia da carbon’ di Forest.

Non mi ha convinto, allora cerco altre pronunce. Del suo cognome vengono dati tre accenti diversi, particolarmente “efficace” quella di un caucasico che pare lo stia prendendo in culo mentre lo pronuncia e dice vuitAAAHker!

Mentre sul suo canale il Frusciante continua a credere che Christoph Waltz si chiami Christopher come Walken e la mia vicina di casa, Angela, pensa che Cristoforo Colombo aveva il volto di Marlon Brando. E mi dice:

– In quel film per la tv, Brando è stato bravissimo. È spiccicato al vero Cristoforo.

 

Al che, una su Instagram mi manda la foto di lei su un dondolo-cavalluccio e la scritta “ermetica”: dai, bel ciuccio, mio Stefanuzzo, voglio fare cowgirl con tanto di super spruzzo.

 

Disgustato da quest’umanità, aspetto ancora The Irishman.

E se anche questo fosse un’immane delusione?

Sì, aspetterò allora l’uscita del film Non ci resta che il crimine…

Poi me la tirerò… di più.

 

– Stefano, come ti sembra in questo film il vecchio Johnny Depp?

– Diciamo che un cadavere della Certosa di Bologna è più allegro. Non mi sembra un’interpretazione molto sanguigna.

 

 

di Stefano Falotico

E filosofeggio pure meglio di voi


03 Jul

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Oh, è da una vita che mi sgolo. Molti per cultura intendono l’essere sempre aggiornati sull’ultimo film in programmazione, sull’ultimo disco del cantante tal dei tali, e sul più bieco, commerciale libro appena in vendita. Questa non è cultura, è nozionismo superficiale, becero, qualunquista, informativo e pedissequo. La cultura è ben altro. Saper interagire col prossimo in cerca di dinamiche cognitivo-emozionali, partorire delle nostre coscienze e conoscenze un processo simbiotico-empatico di reciproco scambio interattivo, rendere fruttuose cioè le nostre anime per la suprema esplorazione di noi stessi, fra migliorie, passi indietro, ritrosie e cambi di prospettiva. Questa è la cultura, parola di cui vi riempite tanto la bocca ma siete soltanto dispensatori di fake news della vostra putrescenza e della filosofia dell’ove tira meglio il vento. A che vi serve sapere tutto a livello formale di un film se non avete appreso nulla a livello viscerale? E nella realtà di tutti i giorni non sapete neanche girare un controcampo caratteriale?

Siete metodici, abitudinari, e guai a chi non la pensa come voi. Fortunatamente, io la penso così.

 

di Stefano Falotico

Avete permesso che vincessero gli ignoranti, i caciaroni, le pornoattrici, le modelle analfabete, sì, lo avete permesso


02 Jul

Fuga da New York

Sì, lo avete permesso perché a voi il mondo piace così. Perché, dopo una giornata stressante, in cui siete stati sgridati dal capufficio, in cui avete represso voi stessi, singhiozzando lacrime in fegati disfatti, dopo ore in cui vi siete scervellati, vi siete sbudellati, adesso volete rilassarvi davanti al PC a vedere il culo di quella lì. E non starò a dire chi perché il suo nome vi ossessiona da quando l’avete adocchiata, e non si scolla dalla vostra mente. È la vostra fantasia proibita inconfessabile che giace nei reparti meandrici delle vostre frustrazioni e voglie insoddisfatte. Ma ce l’avete a portata di mano, vi siete comprati tutti i suoi dvd, in una propagazione extra-corporale di ogni sogno impudico che a nessuno confidate. Quella vi fa star male ma non potete smettere, appena avete un attimo di tempo, di ammirarla, bramarla, sudarvi sopra, “eiacularla”, strabuzzarvene, intontendovi scannerizzarla.

Come si chiama? Lo sapete meglio di me, ché la conosco meglio di voi o, perlomeno, non nascondo che attizza anche me.

Sì, ha quarant’anni e non vedete l’ora che, anziché andare con voi, filmi una nuova scena con uno che ha vent’anni ma ne dimostra quindici, per un pervertimento che ha dello sbigottente. Sì, più cesso è il suo amante, più ha la faccia da stronzo, e più vi eccitate perché è clamoroso che una merda del genere, un lucky bastard, si fotta una del genere.

Poi, finito l’ambaradan, il trambusto scimunito, terminata la vostra scimmiesca masturbazione esagitata, rude e iraconda, burrascosa e perturbante, tanto che avevate spento anche il cellulare e staccato il citofono affinché nessuno vi disturbasse nell’atto segretissimo, siete di nuovo precipitati nella melanconia e allora vi rivedete l’ultimo film di Sorrentino, con le sue pause, le sue dogmatiche frasi interlocutorie, i suoi silenzi che fanno poesia, le palme romane, le cascate e una melodia svenevole che allieta la vostra sopraggiunta pacatezza. Il vostro disincanto, la vostra delusione a tutto.

Perché il vostro miglior amico non crede più in voi, vi disdegna, vi odia e voi parimenti lo odiate, scaricando sulla tastiera “pillole di saggezza” ciniche per altre teste di cazzo come voi, che plaudono in memoria delle amarezze condivise con tanto di sorrisino “benevolente”, cuoricini e faccette.

Sì, un gioco a freccette al malcapitato di turno, in un accanimento bestiale smodato, perché il nazismo non è mai stato sconfitto. La psichiatria, quando mal applicata, grossolanamente eseguita sui pazienti innocui e deboli, genera mostruosità e aberrazioni indicibili. Ecco che allora si sede il ragazzo troppo vivo perché la sua vividezza non è ben accetta da un mondo “adulto” impigrito, ingrigito, che ama le spaghettate e una partita dei Mondiali stravaccato sul divano.

La poesia e l’immaginazione hanno perso, son state eliminate… perché che val la pena passare le giornate a leggere di filosofia se poi si esce di casa e il primo “guappo” ti piglia per coglione e platealmente si fa delle “sane”, “santissime” risate, sbertucciando il vostro pudore, la vostra timidezza, la vostra sacrosanta diversità.

Tutto è improntato all’estetica pornografica. Nessuno crede al Cinema perché non dà da mangiare, la pagnotta bisogna guadagnarsela mica con la fronte, col sudore dello svendersi al miglior offerente, per una vita da fetenti e ipocriti, e poi quando scende la sera… un bel paio di mignotte e vedi tu come la vita va al “galoppo”. Una scopata, una trombatona, una scoreggina e poi ancor la routine in cui ci si toglie il cappello davanti al commendatore, gran troione ma quello ha i baiocchi e se ben gli leccherai il culo ti offrirà gratis un’altra zoccolotta. Zoccolotta!

Sì, avete permesso questo mondo schifoso, perché a voi piace che sia così, perché non amate essere sfiorati dal dubbio, perché chi pensa troppo è “pericoloso”.

E quindi è sbagliato, quindi è da emarginare, da riempire di offese, da rimproverare e reprimende falsissime strozzare.

Perché a voi quella puttana piace tantissimo.

Ma, guarda caso, se qualcuno facilmente… non si adatta al porcile, è lui l’animale da soma. Somaro! Sodomizzato!

Lavoro, lavoro, comprare, non pensare, ficcare, sbattere, cantare, ridere, godere, godere, godere!

Cazzo! Godere, idioti!

Sì, lo avete permesso.

E io, se la sala è affollata, entro senza chiedere permesso.

Perché sì. Sì.

 

– Ma toglimi una curiosità. Quella puttana tu te la faresti?

– Sì, ma almeno io lo dico senza “peli sulla lingua”, come si suol dire. E se ti credi una persona migliore di me perché tu non lo dici, è perché sei un maiale, un bugiardo, una schifezza.

E meriti di far finta di credere al tuo Dio del cazzo. E poi ammazzare chi è sincero.

 

Ne ho visti tanti, sapete? Gente che idolatra Terrence Malick e poi ha la casa tappezzata di colei che sapete benissimo. Forse è Satana, forse è un angelo, forse è solo tutto finito.

 

di Stefano Falotico

Molte persone s’incazzano quando si sentono prese in giro, io non m’incazzo mai, nemmeno quando mi girano


02 Jul

Questa è una delle perle del Falotico. Tenetela a mente quando capirete che avevate creduto di diventare presidenti degli Stati Uniti e scoprirete che vi hanno “bocciato” anche per fare gli scrutinatori al seggio della frazioncina con quattro gatti.

Ora, facciamo il punto della situazione…

1) Molte persone s’incazzano se si sentono prese per il culo. Non è una presa in giro dire loro che non sono dei premi Nobel.

2) Molte donne s’incazzano se si sentono prese per il culo. Non è una presa in giro dire loro che non sono Monica Bellucci.

3) Molte persone s’incazzano se si sentono prese per il culo. Non è una presa in giro dire loro che non sono Brad Pitt.

 

Al che interviene la solita “rompicazzi”…

– Nemmeno tu sei Brad Pitt.

 

Risposta bruciante del Falotico con faccia da culo imbattibile.

– Infatti, sono meglio.

 

Ah ah.

 

Ora, molte persone che mi conoscono pensano che io le prenda in giro quando dico loro che sono il più grande attore della Storia.

Suvvia, non si devono incazzare. È palese, come si suol dire.

Ecco la posa da intellettuale maudit un po’ sognatore e un po’ coglione.

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Ecco la posa da Mickey Rourke che ha bevuto 500 gocce di Valium.

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Ecco la posa da miglior imitatore di Robert De Niro. Anzi, ve ne offro due al prezzo di una.

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Ecco la posa da pirla. Un pirla che sa…

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Ecco la posa da piacione simil-Matthew McConaughey.

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Ecco la posa da clown di Pennywise, incrocio fra Tim Curry e Bill Skarsgård.

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Ecco invece la posa, appunto, da presa per il culo sia beffarda che plateale.

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Ecco la posa da uomo assonnato, probabilmente rintronato.

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Ecco la posa da uomo che possiede il fascino del cazzone, il sex appeal del lupo di mare, la testa di uno che sembra poco sveglio ma ha un uccello micidiale.

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Ecco la posa da occhialuto.

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Ecco la posa da scaricatore di porto un po’ alla Claudio Amendola.

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Ecco una posa intelligente, nonostante il “profilo basso” della testa all’ingiù.

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Ecco la posa di uno che pare dica fra sé e sé: sì, ma che cazzo vuoi?

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Ecco la posa da genio.

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di Stefano Falotico

Genius-Pop

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