Archive for July, 2018

Buon Sabato pacinesco


14 Jul

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American actor Al Pacino, renowned for his roles in such films as 'The Godfather' and 'Scarface'.    (Photo by Roy Jones/Getty Images)

American actor Al Pacino, renowned for his roles in such films as ‘The Godfather’ and ‘Scarface’. (Photo by Roy Jones/Getty Images)

Mickey Rourke cazzeggia di zoticheria, ed è un lord(o)


13 Jul

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Sì, la zoticheria è l’inurbanità, la cafona ignorantaggine, e Mickey Rourke n’è campione indiscusso.

Attore oramai in “disuso”, che nel camerino s’infila le dita da orco nelle mutande e gratta la peluria da vera scimmia non educata, mie educande. Sì, con Rourke non funziona nessuna reprimenda, egli è tremendo. Perché, in un buffet ai rinfreschi, lui è il classico tipo che prima si scaccola e poi con le mani lerce vi serve il prosciutto magrissimo, intonando una canzone di Lenny Kravitz a tutta gola. Prima che lo sbattano al fresco. Delle donne egli è golosissimo e le adora tutte, senz’eccezione alcuna, brutte, magre o grasse, lui è il lardo fatto porcello e, senza inibizioni pudiche, ficca tutto il bitorzoluto uccello. Con una predilezione per le stangone a cui offre sanamente il suo gran bastone da vero bestione. Egli si è fatto praticare mille liposuzioni ma adora la mammifera suzione, in quanto ottimo volpone, che succhia il capezzolo e quello, sì, si fa succhiare da vera schifezza qual è il nostro montone. Sì, era bellissimo e la testa si montò, ora è un cesso eppur ancor le monta e indossa la sua pelliccia con dignità senza pari. Chiamalo fesso! Egli ama l’olezzo e a molti di voi fa ribrezzo. Eppur il suo viso, modellato nella porcellana di mille plastiche facciali, con gran faccia di culo cammina a testa alta nella brezza. Egli, ebbro di vita, sempre in stati alterati di ubriachezza, non abbisogna delle vostre galanterie, perché non è un salame ma un bel pezzo di manzo che odora del suo essere nudo e crudo.

Mickey se ne fotte.

E, alle pendici del Vesuvio, mangia la capricciosa e ti dà una pizza. Fa puzza, eppur non è ancor fattosi muffa. Ma si fa.

Che ci volete fare? Rourke se le strafà. Ah, che Africa, che afa, che giraffa e fanculo Dario Fo.

 

di Stefano Falotico

Un altro rumor interessante sul Joker con Joaquin Phoenix: De Niro sarà il padre di Batman?


13 Jul

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Come sapete, nelle scorse ore è stato ufficialmente annunciato che lo standalone Joker con Joaquin Phoenix si farà eccome, e le riprese inizieranno fra meno di due mesi, cioè a Settembre. La regia sarà affidata, come precedentemente annunciato, da Todd Phillips (Una notte da leoni) e il film costerà relativamente poco, “soltanto” cinquantacinque milioni di dollari.

Nella giornata di oggi, invece, è apparso un rumor alquanto bizzarro ma decisamente intrigante.

A quanto pare, stando a Collider, nel film sarà fatto chiaro riferimento a Batman, nemico numero uno del Joker, e avrà primaria importanza nella pellicola il personaggio centrale del padre di Batman stesso, alias Bruce Wayne, ovvero Thomas Wayne.

A dire ciò Jeff Sneider nel podcast Movie Talk, che potete vedere in questo video:

Sneider ha inoltre citato Robert De Niro, che alcune voci di corridoio danno infatti come possibile co-protagonista di questo Joker, ma ha fatto una dichiarazione inedita sul suo possibile ruolo:

per il ruolo di De Niro, non credo interpreterà un presentatore televisivo o qualcosa di simile… Non ne sono certo. Ma so che c’è un personaggio che avrà un grande ruolo, Thomas Wayne.

Insomma, che il grande Bob De Niro interpreterà Thomas Wayne, ovvero il padre dell’Uomo Pipistrello?

Nulla di certo ancora, ne sapremo di più nei prossimi mesi e settimane e speriamo di avere qualche anticipazione in merito al prossimo panel dei Comic Con della Warner Bros che si terrà fra qualche giorno.

 

 

di Stefano Falotico

Scorsese produrrà questo Joker, sì o no?


11 Jul

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È la notizia del giorno, anche se io già lo sapevo e l’avevo detto. Il Joker con Joaquin Phoenix inizierà le riprese a Settembre. Ma Deadline scrive Martin Scorsese is no longer producing this version of the Joker as his dance card is full.

Più chiaro di così. E allora perché Best Movie e io, nei miei articoli, scriviamo che molto probabilmente Scorsese non sarà più fra i produttori ma soltanto la sua collaboratrice Emma Tillinger Koskoff?

Mentre dappertutto leggo robe come… tra i produttori figurerà Martin Scorsese?

Informatevi! Aggiornatevi!

 

E, se non sapete manco dare le notizie come si deve, sparatevi!

 

A proposito, sì, The Shape of Water è un film di BENICIO Del Toro.

Sappiamo che è un film della DC. Eh sì, ah ah, la Democrazia Cristiana, dopo essere stata soppiantata dal PD, che ha perso le elezioni, si sta riproponendo in maniera comic. Ah ah.

Ma, a parte gli scherzi, questo Phoenix non è il Joker giusto.

Questo lo è. Perché i libri sopra il forno a microonde rendono l’idea del grande personaggio.

Un Joker che mangia tagliatelle al ragù fra una virgola e l’altra, e ama le lasagne di ottima pasta sfoglia, sfogliando pagine linde come la sua faccia imbattibile.

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Ah ah.

 

 

di Stefano Falotico

Il buio oltre la senape


10 Jul

Duvall buio oltre la siepe

L’avete visto questo memorabile film con Gregory Peck? Il buio oltre la siepe? Ah, non domandatelo a me. Io guardo tutto ma spesso non rammento quando lo vidi, e se lo vidi. Può darsi che in qualche scantinato della memoria, eh sì, da scardinare, giaccia nei suoi recessi la visione di questo film per cui Peck vinse il suo unico Oscar. Sì, Peck in questo film non sbagliò neppure un mezzo tono recitativo, fu impeccabile, insomma Peck non steccò e non peccò. Eh eh.

Ora, cos’è il buio oltre la siepe? Il “buio oltre la siepe” rappresenta l’ignoto e la paura che genera il pregiudizio. Secondo Wikipedia.

E voglio, a tal proposito, raccontarvi una breve storia che spero possa farvi riflettere sulla scellerata imbecillità che nasce dai più ignoranti e oscurantistici sospetti.

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto sui diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Uno che, per motivi però assolutamente leciti e personali, aveva deciso d’estraniarsi dai suoi coetanei, molto riservato, taciturno ai limiti quasi del mutismo. Tanto da scatenare in chi lo guardasse di sfuggita dei sentimenti derisori o sdegnosi.

No, proprio questo qui non voleva saperne di stare assieme a quelli della sua età. Ed era altresì convinto che una scuola superiore non potesse fornirgli strumenti utili alla comprensione della realtà più di quanto già la sua anima e la sua mente stavano privatamente, da auto-didatta, apprendendo. Anzi, riteneva con estremo orgoglio e perfino insopportabile superbia, che le lezioni scolastiche in qualche rigida scuola classicista e classista, come lui definiva i ginnasi e i licei, avrebbero solo coartato la sua libertà di pensiero, e avrebbero intorpidito la sua anima scioltamente romantica, sognante e profondamente viva. Perché in quelle scuole, istitutrici a suo avviso di un sapere retorico, falso e malinconico, avrebbe incendiato il suo cuore nell’ottundimento nozionistico più triste e pedante. Avrebbe lacerato la sua indole scoppiettante e fulgidamente creativa, quasi futuristica, nell’imbrigliarla in un apprendimento manicheo e improntato solamente a precetti distorsivi. E si sarebbe allineato al carnascialesco porcile adolescenziale di ragazzetti futilmente ambiziosi e vanagloriosi, tacendo le sue vere, fluide e più sentite emozioni, avrebbe omologato la sua unicità per contentare un fallace parametro di finta allegria culturale, debosciata e già istruita al cinismo competitivo.

Eran gli altri quelli ottusi che non capivano il suo stile di vita appartato e ritirato, e dunque lo scambiavano per mattoide. E, da dietro, gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo quei ragazzi abitava una specie di stregone nero, un essere diverso dagli altri. Che a loro suscitava tenerezza, misera compassione e addirittura paura.

Perché quel ragazzo non voleva saperne di stare in compagnia dei suoi coetanei e passava le giornate a guardare film dalla mattina alla sera, spericolatamente inventando e allestendo teorie sulla settima arte?

Ah, inaccettabile. Certamente c’era qualcosa che non andava. Forse quel ragazzo, per ritrosia e pudore, non voleva ammettere a sé stesso e agli altri che con tutta probabilità era affetto da qualche malattia oscura.

No, non era possibile che volesse vivere così. E, ammesso che non soffrisse di niente, il suo atteggiamento era figlio soltanto della vigliaccheria, della tristezza assoluta spacciata per chissà cosa. Povero scemo illuso!

Ah, gli stavan scappando dalle mani gli anni migliori, e troppa cerebrale spensieratezza, se non la si palettava subito con prontezza, l’avrebbe fatto scivolare nella più sciocca timidezza e nella pericolosa demenza. Ma che scemenza, ma sì, il suo volersi isolare e rintanare in quel castello di sogni e bramosie fugacemente stolte.

No, quel ragazzo non ci stava con la testa!

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Sì, quei ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Sì, se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti.

Quel nero fece amicizia col ragazzo che viveva nella “siepe”. E, col trascorrere dei mesi, il nero e il ragazzo della siepe divennero grandissimi amici. Incitandosi a vicenda nel portare avanti con passione sfrenata i loro sogni. Il nero voleva diventare un attore, il ragazzo uno sceneggiatore. Seppure, a eccezione di loro stessi, non avessero altri amici, perché uno era sotto “indagine” dalla comunità, l’altro era da una vita che nessuno voleva vedere e stare ad ascoltare.

Una sera, il nero e quello della siepe si misero a fumare e a parlare dei loro progetti, a tarda notte, in una panchina del parco. Al che udirono delle grida di donna. Si precipitarono di tutta fretta verso la direzione da cui le urla arrivavano e, dietro un cespuglio, videro con grande stupore e sgomento una ragazza coperta di sangue che adesso sussurrava loro di acciuffare colui che l’aveva aggredita. E disse loro che quell’aggressore era fuggito e ora era tornato nel suo appartamento. La ragazza rivelò loro come si chiamava.

Era quel perfetto ragazzo inappuntabile e così all’apparenza integerrimo, il leader di quelli del Mc.

Ora, il nero e quello della siepe avevano ora capito chi si celava dietro quella maschera di ragazzo fighetto e rispettato da tutti.

Un pazzo che ostentava grande gioia di vivere e che parlava in maniera forbita e coltissima. Colui che aveva messo in giro quelle voci false a cui tutti però avevano prestato fede, pendendo in adorazione dalle sue labbra dispensatrici di verità assoluta e incontrovertibile. Non poteva essere stato lui ad aver aggredito quella ragazza, e forse pure quell’altra ragazza.

Ma che scherziamo, su? Ah, non crederò mai che sia stato lui. Dai, son robe da matti…

Lui? Proprio lui? Così ricco dentro e fuori, lui estroverso bon vivant sempre felicissimo?

Lui, sì, l’incarnazione del buio oltre la senape…

 

Seconda versione

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Uno che, per motivi però assolutamente leciti e personali, aveva deciso d’estraniarsi dai suoi coetanei, molto riservato, taciturno ai limiti quasi del mutismo. Tanto da scatenare in chi lo guardasse di sfuggita dei sentimenti derisori o sdegnosi.

Da dietro, costoro gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo quei ragazzi abitava una specie di stregone nero.

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Alcuni ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti. O ancor peggio evitandolo.

Be’, le malignità non vengono esplicitate attraverso gesti eclatanti, lo sapete meglio di me, ma vengono perpetrate con la più sfrontata ipocrisia.

Era estate, e quel nero, dopo aver passato tutto il pomeriggio a studiare, decise di concedersi una bella boccata d’aria e farsi una passeggiata.

Passeggiava sul marciapiede…

– Buonasera, signora Petri.

 

Non ottenne nessuna risposta e la signora Petri continuò a tirar dritto.

“Mah, è quella della cartoleria, ah, povera donna, sarà così tanto presa dalle sue preoccupazioni che non mi ha visto neanche passare”.

Dunque, il nero entrò in una gelateria.

 

– Un gelato stracciatella e pistacchio.

– Ci dispiace, stiamo chiudendo.

– Be’, sì, lo so. Sono l’ultimo cliente. Ma per trenta secondi in più non muore nessuno, no?

– Come lo vuoi questo gelato?

– Gliel’ho detto. Stracciatella e pistacchio. Nel cono da 2 Euro.

– Ecco, tieni qua.

– Scusi. Questo è il cono da 4 Euro e mi ha messo fragola e limone.

– Be’, scusami. Stiamo chiudendo. Sono stanco. Che vorresti? Che buttassi questo gelato e te ne facessi un altro? Oramai è andata, tanto fragola e limone sono buoni.

– Ah, certo. Ma io ho solo 2 Euro in tasca.

– Ah sì? Tu, bello mio, mi hai chiesto un cono da 4 Euro.

– No, veramente no.

– Che fai? Mi prendi per il culo? Dammi i 4 Euro, subito, o chiamo la polizia.

– Non ho 4 Euro.

– Non hai 4 Euro? E tu giri per strada senza avere un soldo in tasca?

– Ho fatto solo una passeggiata. Non è vero che non ho i soldi per pagarle il gelato. Ho i due Euro per il cono che le avevo chiesto.

– Io chiamo la polizia.

– Guardi, i due euro mancanti glieli do domani. Tanto mi conosce, sono un cliente abituale. Sa pure dove abito. E poi per 2 Euro non farei una tragedia.

– Non m’interessa un cazzo! Io voglio i 4 Euro. O me li dai adesso o chiamo la polizia.

– Ma la polizia riderebbe. Non può denunciare uno per 4 Euro.

– Infatti, non ti denuncio per quello. Io ti ho visto l’altra sera con quella tipa, sai? Ho visto e non ho detto nulla ma adesso potrei dire tutta la verità.

– Guardi, io non ho fatto nulla a quella ragazza.

– Ah sì? E quei lividi che aveva per tutto il corpo?

– Non sono stato io.

– Invece io dico e dirò che sei stato tu se non mi dai i 4 Euro.

– Sta scherzando, vero?

– No, sono serissimo.

 

Nel frattempo, da quelle parti passò una volante della polizia. E, attratta dalla caciara che proveniva dalla gelateria, sostò la macchina e scesero due pezzi d’uomini grandi e grossi. Facendo irruzione nel locale.

 

– Be’? Si può sapere che sta succedendo, qui?

– Questo è un manigoldo. Ha ordinato un gelato e ora non vuol pagare. E poi è il tipo che ha violentato la ragazza.

– Che cosa? È lui il tipo che stiamo cercando da una settimana?

– Sì, è lui. L’ho visto in quel parco coi miei occhi! È lui il farabutto pervertito!

– E perché ha aspettato a denunciarlo?

– Sa, io sono un modesto gelataio, ho una casa da portare avanti e una famiglia con mio figlio piccolo. Sono stato preso dal lavoro. Sarei venuto in centrale appena possibile.

– Quindi lei è pronto adesso a testimoniare contro questo qui?

– Sì, assolutamente. Ho finito ora di lavorare, ora sono libero. Vengo in centrale immediatamente e sporgo denuncia.

– Ottimo, ci segua. Ci segua anche lei, bastardo. Anzi, ecco qua.

– Che fate? Mi ammanettate?

– Sì, sei in stato di arresto e in un mare di guai, criminale!

 

Tutto a un tratto, nella gelateria entrò il ragazzo della “siepe”.

– E tu che vuoi? Non t’impicciare – gli disse il poliziotto.

– Lui è mio amico e non potete arrestarlo. Lui non ha fatto niente. Era con me quella sera.

– Hai delle prove per dimostrare ciò che ti dici, ragazzo?

– Sì, guardate questa. È una foto che abbiamo scattato assieme quella sera. Siamo in casa mia a guardare un vecchio film con Gregory Peck.

– Fa vedere. Eh sì, c’è la data, le dieci e mezzo di sera di lunedì 18 Giugno. Più o meno la stessa ora nella quale la ragazza ha detto di essere stata aggredita. Non può essere stato questo qui a picchiarla. E lei, caro gelataio, adesso verrà in centrale, eccome, ma per beccarsi lei la denuncia di falsa testimonianza.

– Ma su, dai. È solo una foto che non dimostra nulla. Io dico che è stato questo qui, l’ho visto coi miei occhi.

– No, questo genere di foto auto-generate con tanto di data e orario dai cellulari, non si possono contraffare tanto facilmente. Voi, ragazzi, andate pure a divertirvi. Mentre lei, gelataio, adesso viene con noi.

– Ma che fate?

– Forza, non opponga resistenza. Lei voleva incriminare un innocente.

 

Qualche mese dopo, sulla prima pagina del quotidiani cittadino, campeggiò la foto del leader di quelli del Mc. Con la scritta: il primo della classe, benvoluto da tutti nel quartiere, da amici e parenti, è stato arrestato ieri notte con pesanti accuse di molestie sessuali. Tre donne l’hanno denunciato.

 

Il buio oltre la senape…

 

 

Terza versione

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Da dietro, le persone gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo molti abitava abitava una specie di stregone nero.

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Alcuni ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, Ennio, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti. O ancor peggio evitandolo.

Be’, le malignità non vengono esplicitate attraverso gesti eclatanti, lo sapete meglio di me, ma vengono perpetrate con la più sfrontata ipocrisia.

Era estate, e quel nero, dopo aver passato tutto il pomeriggio a studiare, decise di concedersi una bella boccata d’aria e farsi una passeggiata.

Passeggiava sul marciapiede…

– Buonasera, signora Petri.

 

Non ottenne nessuna risposta e la signora Petri continuò a tirar dritto.

“Mah, è quella della cartoleria, ah, povera donna, sarà così tanto presa dalle sue preoccupazioni che non mi ha visto neanche passare”.

Vi basta come esempio?

 

Dunque, il nero entrò in una gelateria.

– Un gelato stracciatella e pistacchio.

– Ci dispiace, sto chiudendo.

– Be’, sì, lo so. Sono l’ultimo cliente. Ma per trenta secondi in più non muore nessuno, no?

– Come lo vuoi questo gelato?

– Gliel’ho detto. Stracciatella e pistacchio. Nel cono da 2 Euro.

– Ecco, tieni qua.

– Scusi. Questa è una vaschetta da venti Euro. E mi ha messo solo il cioccolato.

– Be’, scusami. Stio chiudendo. Sono stanco. Che vorresti? Che buttassi questa bella vaschetta e te ne facessi un altro? Oramai è andata, il cioccolato poi si addice a te.

– Che vuole dire?

– Il cioccolato è buono, tutto colorato di marrone. Questo cioccolato è molto dolce. Dolcissimo, vero?

– Guardi, forse ha voglia di scherzare. Io non ho venti Euro, al momento, da darle.

– Che fai? Vuoi fregarmi? Non posso buttare questo ben di Dio nella spazzatura. Ora te lo pigli e mi paghi.

– Scusi, non può rimetterlo dentro il banco dei gelati?

– No, oramai si sta sciogliendo. Non posso.

– Suvvia, non mi pigli in giro.

– Allora, bello, mi paghi questo gelato o no?

– Io le avevo chiesto un gelato stracciatella e pistacchio da 2 Euro. Non solo mi ha sbagliato gusto, ma qui con me, in tasca, non ho venti Euro. E poi comunque non glieli darei. Non sono stato io a chiederle questa vaschetta.

– Ah, è così? Dunque è così? Vedo che non capisci con la gentilezza. Allora passiamo alle maniere forti, criminale!

 

Il gelataio afferrò la scopa, con cui ripuliva il pavimento, e si avventò sul nero. E lo ferì in viso. Il ragazzo provò a divincolarsi e a chiedere aiuto ma il gelataio continuò a ferirlo sadicamente.

– Prenditi quest’altra! Bastardo! Ah, fa male, vero? Così impari a molestare le ragazze!

 

Al che, attirati dal chiasso che si era scatenato, dal putiferio sollevatosi, accorsero nella gelateria altri ragazzi.

Erano quelli del McDonald’s.

– Ah, eccoti qua, razza di malvivente maledetto! – disse Ennio.

 

E il gelataio: – Presto, spingete quel bottone, ragazzi. Chiudete la saracinesca. E saremo soli, senza che nessuno possa disturbarci, con questo qui. Spegnete anche le luci. Forza, presto!

– Te la sei andata a cercare, farabutto! Non vogliamo nel nostro quartiere gente come te!

 

Ed ecco che, mentre il ragazzo nero era ora a terra, coperto di lividi e sanguinante in viso, Ennio provò a sferrargli un calcio sull’addome. Mentre gli altri del gruppo lo incitarono al folle gesto, inneggiando alla violenza.

Al che, nel buio più assordante, apparì all’improvviso, con una torcia in mano, il ragazzo della “siepe”.

– Eh no. Troppo facile così. Dieci contro uno. Siete dei vigliacchi.

– Ah, ecco. Ci mancava pure il matto del quartiere! Vattene via, iettatore! Da dove sei sbucato? Non sono affari che ti riguardano. – gli urlò Ennio.

– Invece sì. Fatti sotto, Ennio!

– Come fai a sapere come mi chiamo? Chi te l’ha detto?

– Questi non sono fatti tuoi. So benissimo chi sei. Con me la tua faccia da finto bravo ragazzo non attacca. Non sono un allocco. Questo ragazzo è innocente. E sono sinceramente stanco di te. Hai oltrepassato il limite. Non mi fai paura.

– Lurido verme. Te ne pentirai di esserti impicciato in questa faccenda. Che pensi di fare? Ah, vero, tu sei matto. Non piangere poi se ti spediamo all’ospedale con le ossa rotte. Forza, amici, all’attacco!

 

Intanto, qualcuno bussò potentissimamente alla porta chiusa del locale. Era la polizia.

– Aprite! O sfondiamo subito. Che sta succedendo là dentro?

– Oddio, è la polizia. Chi l’ha chiamata?

– Sono stato io – disse il ragazzo della siepe. Li ho chiamati cinque minuti fa, quando vi ho visto entrare.

– Da quando in qua la polizia è così tempestiva?

– Siete in trappola! – gridò il ragazzo nero da terra.

– Sì, lo sono – replicò il ragazzo della siepe.

 

Be’, amici, ve l’avevo detto. A me quel tipo era stato subito molto simpatico, a pelle… Ognuno ha i suoi gusti, e alcuni si meritano la senape marcia.

 

 

di Stefano Falotico

 

 

Ragazzi, fottetevene… della collettività, tanto alla gente non andrai bene lo stesso anche se sei un playboy con tre premi Nobel


10 Jul

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Ci sono molte cose che mi danno fastidio ma una delle cose che più mi dà fastidio è quando si vuole snaturare qualcuno per far piacere non alla persona snaturata ma agli altri.

Che così possono dire: ah, bene, ottimo, ora è produttivo ed economicamente stabile, questa è la vita, si diverte, ride ed è felice.

No, gli altri sono felici se esponi questa falsa maschera, ma tu no.

Immaginiamo un piccolo dialogo fra uno psichiatra e un paziente:

– Quindi, secondo lei, professore, io sto benissimo.

– Sì, certamente. Sei lucido, sveglio, con tante idee geniali, un vulcano, forte e gagliardo, però il tuo stile di vita non si addice a uno della tua età.

– Cioè? Si spieghi, per favore, meglio.

– Be’, non c’è tanto da spiegare. Di solito uno della tua età parla di ragazze dalla mattina alla sera, va in giro a divertirsi e, nel bene o nel male, si guadagna da vivere come può.

– L’ultima parte…, del bene o nel male… come può, è di una tristezza infinita. Sembra che pur di ottenere il rispetto del prossimo, se non riusciamo a realizzare i nostri sogni, tutto sommato per sbarcare il lunario va bene anche prostituirsi nell’anima.

– No, macché. Scusi, lei mica vorrà andare avanti tutta la vita a guardare film e a scrivere libri. Non sente la voglia di farsi una sana trombata, una bevuta in compagnia, e pigliare questa vita un po’ più a culo?

– La verità?

– Certo, e di che stiamo parlando, sennò? Della verità. Suvvia, un po’ di senno e anche un bel paio di tettone. Ah, il seno…

– No.

– No? Come no? Guardi, lei avrà rimpianti immani se non si affretta ad adattarsi un po’ di più. Il mondo va così e non sarà certo lei, con le sue idee “bellicose”, a cambiarlo.

– Ma a me ciò che fa piacere non è svegliarmi con una accanto a cui puzzano i piedi.

– Non ho capito. Con chi vuole svegliarsi, scusi?

– Di mio, mi sveglio anche se ci sono nel letto solo i miei piedi. E poi amo bere la birra, ma è meglio condirla coi pensieri della propria mente. Non è bello, sa, bere la birra con delle teste di cazzo ché poi dai di stomaco.

– Lei è un bel tipo, sa?

– Sì, lo so.

– Sto scrivendo un libro su Carpenter.

– Onestamente, non so chi sia.

– Ovvio che non lo sa. Lei dice ai ragazzi di diventare degli edonisti trombatori e di pensare solo a far soldi.

 

In poche parole, faranno di tutto per cambiarvi, voi non cambiate. Finirete morti di fame, sempre meglio che morti deficienti!

 

 

di Stefano Falotico

 

I Mondiali stanno finendo, chi vincerà? Comunque andrà, noi non vinceremo proprio un cazzo


10 Jul

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RUNAWAY TRAIN, Jon Voight, 1985, (c)Cannon Films

RUNAWAY TRAIN, Jon Voight, 1985, (c)Cannon Films

 

Ebbene, oramai ci siamo. Siamo arrivati alle semifinali, e questo Mondiale ci ha riservato molte sorprese e dei ribaltoni inaspettati. Chi avrebbe infatti mai immaginato che, al di là della Francia, una delle squadre data per favorita alla vigilia nei pronostici degli allibratori calcistici, avremmo avuto a contendersi il titolo il pur molto ben accreditato Belgio, la Croazia e soprattutto l’Inghilterra? Nazione ove si gioca il campionato più divertente e veloce del mondo, la celeberrima Premier League, ma che da tempo immemorabile ha sempre poco brillato nelle competizioni internazionali, a eccezion fatta delle coppe per club? Invece, quest’anno ha quagliato, vuoi anche che la ruota le è girata bene e, tutto sommato, non ha incontrato compagini molto solide sul suo cammino.

Io sto tifando per la Croazia. Be’, ovvio, si tifa sempre per gli “sfigatelli”.

Mi aveva decisamente impressionato nella partita con l’Argentina, ove stravinse tre a zero, annichilendo Messi e compagnia bella. Ma devo ammettere che la fortuna ha voltato dalla sua parte. I rigori sono, checché se ne dica, una lotteria e per ben due volte consecutive, agli Ottavi e ai Quarti, è passata per un soffio, vincendo come si suol dire ai punti e affidandosi alla mirabile infallibilità dal dischetto del freddissimo Rakitić, sempre calmissimo e implacabile a segnare dagli undici metri con chirurgica spietatezza.

Ieri parlavo con un mio amico e lui sostiene che la squadra oggettivamente più tecnica e forte è il Belgio.

No, obietto. Che poi può anche vincere… ha grandi giocatori e il fenomenale Hazard sta facendo sfracelli, tant’è che il Real Madrid l’avrebbe subito individuato come erede dello “juventino” Cristiano Ronaldo. Sì, si chiama Cristiano Ronaldo, e la dovremmo finire di soprannominarlo CR7.

Di solito il numero 7 si dà alla mezz’ala destra, come veniva definita un tempo, cioè a quel giocatore che gioca in avanzato centrocampo e, fluidificante, per usare un termine da allenatori, fa avanti e indietro sulla fascia, serve cross e all’occorrenza, trovandosi spesso vicino all’area avversaria, fa pure molti goal.

Quando agonisticamente giocavo a Calcio, io ero il numero sette. Mi ricordo ancora quando indossavo la maglia col 7 stampato a chiare lettere cubitali e una testa di cazzo sugli spalti, ogni volta che toccavo palla, mi definiva il settimo nano. Per via dell’altezza, sì, non sono altissimo, a stento arrivo al metro e settanta. Insomma, come Tom Cruise. Cruise dice di essere alto un metro e sessantotto, come me, a differenza che lui porta tacchi venti, e io invece scarpe da ginnastica, a tre cm dal livello del mare. Ah ah.

Dunque, Cristiano Ronaldo è un falso sette. Lui è un centravanti e i centravanti indossano il numero nove. Il sette l’ha scelto lui perché gli piaceva quel numero.

Tornando al Belgio, le belghe, da non confondere con le beghe, che rompono il cazzo, ti fan solo diventar duro il cazzo. Sì, le belghe so’ bone, va detto. Sono alte due metri come il portiere Courtois ma, a differenza dei suoi stacchi di reni, hanno notevoli stacchi di cosce che ti stimolano al “tiro” sotto l’incrocio dei peli. Peli non sta per pali pronunciato alla Lino Banfi, ma per peli e basta. Anche se credo che molte belghe se le radino. Ah, che radure, che rasature, per le minchie dure. Ah ah.

No, il Belgio secondo me è più debole della Francia. Scusate, ma non fummo noi a battere il Belgio due anni fa agli Europei grazie alle reti di Giaccherini e Pellè?

A proposito, Graziano Pellè che fine ha fatto?

Comunque sia, in questa vita siate paratori del vostro culo, e non parate a vanvera, volevo dire sparlate.

E infilate nel sacco, attenti a non ficcare anche la scrotale sacca, se no so’ cazzi amari e probabilmente abbisognate di uno che vi tiri fuori le palle. Sì, tirate fuori le palle, e che cazzo! Ah ah.

Direi di concludere con un aneddoto.

Io e la mia squadra stavamo vincendo una partita a eliminazione diretta, sì, eravamo in vantaggio uno a zero a trenta secondi dalla fine, come nel film con Jon Voight.

Io avevo voglia di giocare ancora ma di lì a breve l’arbitro avrebbe fischiato, appunto, la fine della partita.

I nostri avversari erano tristissimi e non avrebbero pareggiato manco a spingerli, come si suol dire. Al che, feci volontariamente autogoal.

E quelli della mia squadra?

– Ma che cazzo hai fatto?

– Be’, adesso siamo uno a uno. Sì, giochiamo un’altra mezz’ora. Dai dai.

 

 

di Stefano Falotico

Attori bolliti: Sylvester Stallone, una fama legata a personaggi che riescono a prendersi la rivincita


09 Jul

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Ebbene, so che mi detesterete per essere andato a parare sul beniamino della vostra infanzia, l’idolo che ha accompagnato i più verdi anni spensierati della vostra vita, perché nei vostri sogni da infanti proiettavate in lui, colosso muscoloso dal viso buono, ogni aspettativa e immaginavate fantasiosi un giorno di potervi rivalere di ogni angheria che già piccoli subivate, immedesimandovi in Sly, sì, questo è il suo “nickname” storico.

Parlo di Sylvester Stallone propria ora che ha terminato le riprese di Creed II e fra pochi mesi inizierà Rambo 5? Sì, pare che stavolta non useranno il consueto numero romano a enumerazione di questo capitolo della saga, a differenza di quello che han fatto appunto col succitato spinoff del franchise su Rocky Balboa.

Proprio per questo lo voglio simpaticamente sbertucciare. Perché, in fin dei conti, nonostante tantissimi film, Stallone a settantadue primavere suonate, in cui le ha suonate a tutti, in realtà non ha mai saputo emanciparsi dai suoi due personaggi che l’hanno consacrato, Rocky Balboa, appunto, e John Rambo. E invece io gradirei che, alla sua età, tralasciasse gli affetti nostalgici, quasi patetici, e sfoderasse gli ultimi colpi, dimostrando la sua peraltro mai del tutto comprovata versatilità con personaggi di altro genere.

Ma Sylvester Gardenzio Stallone, sì, questo il suo nome completo all’anagrafe, non cambierà mai.

Wikipedia recita esattamente così: Sylvester Stallone ha legato la sua fama all’interpretazione di personaggi che riescono “a prendersi la rivincita su una società spesso chiusa e corrotta, superando avversità e ingiustizie grazie alla propria forza di volontà e fisica”.

Tutto parossisticamente vero nel semplicismo schietto della filosofia di mondo di Sly, l’uomo che si piega ma non si spezza e che risorge dalle ceneri, sconfiggendo i pregiudizi e le ostilità, dovute a mentalità sovente bastarde.

Sì, però non è riuscito a combattere la limitatezza di sé stesso, ripiegandosi sempre più narcisisticamente nel riproporre, pur con piccole variazioni sul tema, la solita annoiante e prevedibile solfa.

Lui contro tutti in one man show alla lunga tediosi e già visti.

Film dal solito canovaccio, lui messo in condizioni semi-disperate che deve salvarsi da situazioni difficilissime, facendo affidamento sulla sua possanza fisica e sull’indomita sua tenace grinta. Oppure salvare persone più sfigate di lui.

Sarà per questo che, trascurando involontari scult, come Cobra, e film godibili ma telefonati e abbastanza ovvi come CliffhangerSorvegliato specialeDaylight, Stallone il meglio di sé l’ha dato insospettabilmente in pellicole d’autore e in ruoli più sfaccettati?

Pensiamo a I falchi della notte, al suo ruolo di capitano, portiere miracoloso del retorico ma commovente, emozionantissimo Fuga per la vittoria del grande John Huston, o al suo sceriffo sordo da un orecchio e mezzo tonto dello splendido Cop Land di James Mangold, ove non sfigura affatto con campioni di razza come Harvey Keitel, Ray Liotta e Bob De Niro. Anzi…

In queste pellicole Stallone ha dimostrato di essere un attore che poteva dare molto di più e non soltanto un’icona action à la I mercenari e compagnia bella.

E a me, da ex suo enorme fan, dispiace non poco.attori-bolliti-sylvester-stallone-03- attori-bolliti-sylvester-stallone-02-

di Stefano Falotico

Attori bolliti: Mickey Rourke, tremila operazioni di chirurgia plastica


09 Jul

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Ed eccoci qua, col “fallito” per antonomasia, il mitico, inaffondabile, con all’attivo tremila operazioni di chirurgia plastica facciale e corporale, Philip André Rourke Jr., comunemente conosciuto come il fantastico, poliedrico, mutevole e imprevedibile, pazzo, vituperato, osteggiato, odiato Mickey Rourke. Nato il 16 Settembre del 1965 a Schenectady, cittadina nello stato di New York, sulla quale aleggiano varie leggende riguardo la strana sua nomea.

Checché ne dicano i suoi detrattori, Rourke è un attore in toto, a tutti gli effetti e non è un performer improvvisato, perché ha studiato recitazione col rinomato Lee Strasberg, un attore da Actor’s Studio, insomma, e ha preso meticolose lezioni di recitazione addirittura insieme ad Al Pacino, uno dei suoi primi mentori, sebbene non abbiano mai lavorato in un film assieme.

Hollywood si accorge di questo ragazzone estremamente fotogenico, dalle gote angeliche e dai tratti del viso quasi efebici, e lo scrittura nei primi film.

Al che lavoricchia come mezza comparsa in 1941 – Allarme a Hollywood di Steven Spielberg e prende subito confidenza con uno dei suoi registi preferiti, il grande Michael Cimino, ritagliandosi un cameo nel magnifico I cancelli del cielo. E sull’affiatamento fra i due scriverò nelle righe seguenti. Nel giro di una manciata di anni, Rourke diventa un divo, e assurge a protagonista assoluto di capolavori come Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola, e d’interessantissime pellicole come Eureka di Nicolas Roed e Il Papa del Greenwich Village. Splendendo anche quando s’imbruttisce e ingrassa per il suo sentito ritratto di Bukowski nel bellissimo Barfly di Barbet Schroeder. Sì, lui è come l’alter ego di Charles, Henri Chinaski, un ubriacone che rimane intatto nella sua purezza nonostante la sua vita affoghi nella melma e, paludare, sprofondi nell’euforica malinconia da canzone dei folli.

Arrivano le grandi interpretazioni, i ruoli cult quasi si sprecano, fra Angel Heart di Alan Parker con un diabolico De Niro, Johnny il bello di Walter Hill, e il suo michelangiolesco Francesco per Liliana Cavani.

Ma è memorabile anche e soprattutto come Stanley White per Michael Cimino, appunto, ne L’anno del dragone. Lui e Cimino cementano la loro amicizia e assieme poi gireranno anche Ore disperate.

Rourke è sulla cresta dell’onda, non lo ferma più nessuno e allora ecco che si trasforma in bello e dannato per la gioia e gli ormoni femminili delle spettatrici, che non resistono dinanzi al suo visino serafico ma al contempo perversamente sexy.

Se lui diventa un idolo sessuale per le donne, Kim Basinger diviene l’oggetto proibito dei desideri dei maschi, con 9 settimane e ½ di Adrian Lyne, e poi Rourke ritenta il colpaccio con Orchidea selvaggia di Zalman King, il re dei softcore, filmaccio girato intrepidamente assieme alla sua compagna di allora, l’ex conturbante Carré Otis.

Al che, già dopo quest’imbarazzante tonfo colossale, la magia si spezza e arrivano davvero altre robacce. Film che se, proprio non vogliamo disprezzare, possiamo tutt’al più annoverare fra i “simpaticissimi”, ruvidezze tamarre e cafone come Harley Davidson & Marlboro Man, ignobili pasticciacci come F.T.W. – Fuck The World, oggetti strambi come Bullet e Double Team.

Ma Rourke non disdegna particine di lusso ne L’uomo della pioggia, ancora di Coppola, in Buffalo ’66 di Vincent Gallo, in Animal Factory di Steve Buscemi e ne La promessa di Sean Penn.

Era fra gli attori anche de La sottile linea rossa di Terrence Malick, ma Malick efferatamente l’aveva fatto fuori nel montaggio.

Il ruolo però che, secondo me, più gli si addice in quegli anni è quello del balordo farabutto de La vendetta di Carter con Sylvester Stallone, ruolo che rispecchia quello che, professionalmente e nella vita privata, è diventato, un puttanone.

Una mimesi che non abbisogna di particolare e perfezionato studio del personaggio.  Quel lercissimo Cyrus Paice è in fondo lui. E gli è venuto immensamente naturale. Senza sforzo, come si suol dire.

Rourke, nonostante abbia perso quota sensibilmente, è uno che ha molti amici di valore, e infatti con Robert Rodriguez gira C’era una volta in Messico e soprattutto si trasforma possentemente in Marv in Sin City e nel suo seguito. Ed è grandioso.

Rourke fa “comunella” anche con Tony Scott, prima che il regista di Domino e Man on Fire morisse prematuramente.

Poi, quando tutto sembra perduto, ecco che arriva un altro ruolo che vale una carriera, un ruolo inizialmente proposto a Nicolas Cage che, per ragioni ancora d’appurare, dapprima accetta e poi rifiuta. E dunque sopraggiunge a sorpresa lui, il nostro Mickey Rourke. Sì, Darren Aronofsky non ha dubbi, e non gl’importa nulla di rischiare su un nome oramai quasi dimenticato di Hollywood. Il ruolo è quello di Randy The Ram Robinson in The Wrestler, film applauditissimo dalla Critica che vince il Leone d’oro a Venezia. Che fa volare altissimo il nostro Rourke. Vince un meritatissimo Golden Globe come migliore attore drammatico e viene candidato all’Oscar, perdendo soltanto per un soffio, ai punti contro lo Sean Penn di Milk.

Oh, sembra fatta. Dopo anni di dimenticatoio e pellicole alimentari, Rourke pare nuovamente rilanciato.

Allorché i distributori italiani, sulla scia del successo di The Wrestler, decidono di rispolverare film che Rourke aveva girato prima, ovvero Killshot e The Informers. E Jon Favreau con la Marvel lo vuole come villain russo in Iron Man 2. E Rourke non è affatto male neanche in Immortals di Tarsem Singh.

Siamo arrivati al 2011. Ma da allora, plof per l’ennesima volta, ancora super trash per Rourke o film decisamente di second’ordine.

Intanto, di frequente viene beccato dal Daily Mail per le strade di Beverly Hills, in mise assolutamente indecenti.

Ma Rourke è questo. Nel bene e nel male.

 

 

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di Stefano Falotico

Nani vs giganti, io sono il superuomo di 2001 di Kubrick? No, sono uno che desidera semplicemente la pace


08 Jul

Heaven Bryan Adams

Ecco, vi copio-incollo un lungo scritto da mal di pancia che ieri è comparso su Facebook, dal quale è ravvisabile un odio spaventoso nei confronti del mondo da parte dell’autore che ci ha dispensato queste “pillole di saggezza”, partorite dal suo lactobacillus intestinale, figlio a sua volta di un fegato amarissimo, oramai tumefatto, a causa delle troppe stronzate cancerogene del suo essere dichiaratamente un hater.

«Io sono cresciuto negli anni 80 e la nostra vita era andare a scuola la mattina, fare i compiti il pomeriggio e vedersi giù in strada con gli amici di zona se c’era il tempo. La sera a casa a guardare la TV e poi a dormire. Nel mezzo di queste cose cercavamo di giocare e divertirci il più possibile e ci riuscivamo.

A scuola ci andavamo a piedi, da soli, o in pullman, pioggia, sole, neve o freddo, comodità zero, genitori che ti leccavano il culo non ce n’erano, non ti difendevano mai. Facevi una cazzata a scuola? Ti menavano, la colpa era sempre tua e mai del professore. Così le cazzate non le facevi.

Io alle elementari andavo a scuola da solo, a 7 o 8 anni già ero autonomo, non come l’estate scorsa che i presidi obbligavano a prendere i figli minori a scuola. Eh? A 17 anni ancora mi devo far portare a scuola da papà? Sai quanto mi avrebbero preso per il culo a scuola?

Se avevi un casino te lo dovevi risolvere da solo, solo in ultima istanza dovevi andare dai genitori, quando proprio non potevi farne a meno. Ma era una questione di onore, chi andava da mamma e papà era un mammone o un babbone, era la fine, ti prendevano per il culo tutta la vita. E allora giù botte, quasi tutti i giorni a scuola e fuori dalla scuola fra studenti. Era così che si risolvevano le cose. E poi c’erano tutte le dinamiche di gruppo, le solidarietà, le protezioni incrociate, come in un mondo adulto.

Gli insegnanti erano severissimi, ti spaccavano il culo in una maniera assurda e tu non avevi neanche il concetto di protestare, altro che quelli di oggi che insultano e menano gli insegnanti. Ho visto in quinta elementare la maestra prendere Dino per le orecchie, sollevarlo e portarlo fuori dall’aula con lui che menava i piedi a mezzo metro da terra e le orecchie allungate. Il giorno dopo Dino non era un figo, era un vero coglione.

Ho visto professori buttare fuori gente dalla classe a calci in culo, a schiaffi, ed erano gli anni 90 non l’800 ed era giusto così. Io sono l’insegnate e tu sei lo studente. Se non ti piace fuori dai coglioni, tanto poi ci pensa la vita a romperti la schiena. Non sei obbligato a venire a scuola.

In terza media uno ha tirato una forbice alla docente di italiano, questa non si è scomposta ed è uscita dall’aula. L’aula è rimasta 15 minuti senza insegnante, poi è entrato il preside, la docente e tre agenti di polizia che hanno arrestato il tipo e se lo sono portato via. Non è mai più rientrato a scuola.

Per strada non avevamo nulla, la bicicletta e il pallone e basta, altro che motoretta. O giocavamo a pallone, con mille variazioni, oppure eravamo in giro a esplorare il mondo in bici. E i genitori non ci rompevano le palle, manco sapevano che cosa facevamo perché noi, comunque, anche se minorenni, sapevamo stare al mondo molto di più dei ventenni di oggi. A 13 anni con la BMX siamo andato fuori città ma dalla parte opposta di Torino, avremo fatto 60 chilometri almeno e ci gestivamo affinché nessuno di noi morisse. Sapevamo cosa ci ammazzava e cosa no. Sapevamo capire al volo se una situazione era una merda oppure era sicura. Noi non lasciavamo nessuno indietro, non c’erano i cellulari, chi si perdeva era fottuto. C’era il senso del gruppo per cui tutti facevano in modo che nessuno si perdesse perché oggi poteva capitare a me, domani a te. I cellulari hanno distrutto tutto.

Al nostro tempo c’era solo il telefono in casa e costava soldi, telefonavi raramente e solo per chiamate brevi, per darsi appuntamento. Oppure scendevi giù e andavi a suonare i campanelli della gente: scendi? Si, no, non posso, mia madre non vuole, devo fare i compiti. E in fretta capivi quando e in che modo potevi suonare a casa della gente senza rompere i coglioni. Se no arrivavano i rimproveri dei genitori del tuo amico e poi lui se la vedeva di merda in casa. Oggi se dici a qualcuno con cui stai chattando “vediamoci di persona davanti a una birra” ti prende per scemo, se è una tipa peggio ancora, è come se le chiedessi di trombare. Non è normale, è solo guardare in faccia la persona con cui parli.

Se dovevi parlare non esisteva altro modo che farlo faccia a faccia, non con sms e cazzate varie e quando c’erano i problemi la gente si parlava e i vigliacchi sparivano per non farlo. E li andavi a cercare, ti stavano mancando di rispetto.

Alle tipe scrivevi la lettera, a mano, su carta, ci mettevi un pomeriggio e facevi solo quello. E mentre lo facevi dovevi pensare a che cazzo stavi per dire e scrivere che poi non c’era modo di cancellare. Poi spedivi e aspettavi, lei forse rispondeva, con un’altra lettera, e vedevi la sua calligrafia e sentivi il suo profumo sulla carta e la conservavi e la rileggevi.

E non ci dovevi neanche pensare di toccare le ragazze, loro non si facevano toccare, non ti mettevano le tette in faccia, la figa dovevi proprio sognartela e guadagnartela, avevano molta più dignità allora le donne che oggi con ’sto cazzo di femminismo 68ino, che sono tutte delle vacche. Bello, eh, facile, si tromba subito ma poi dopo che rimane? Quando una cosa è troppo facile non vale più un cazzo. E le tipe di oggi sono così, non valgono più un cazzo, la loro figa per loro stesse non vale più un cazzo, la danno via come se niente fosse. Ti farei riflettere che si dice… non vale un cazzo per la roba senza valore e si dice Figo! Figa per la roba che ha valore. Un motivo c’è. Nessuno dice “non vale una figa!” anche se fra poco potrebbe accadere. A volte alle tipe telefonavi anche ma era già uno step oltre, una roba non per tutti, una roba da cagarsi sotto dalla tensione. Altri tempi, altro che foto nude su whatsapp per baccagliare o per le ricariche telefoniche.

Il pacco non esisteva, quello che ti dà appuntamento e non viene. Veniva immediatamente etichettato come paccaro e nessuno lo chiamava più. Senza telefono cellulare se non ti presentavi nessuno poteva beccarti, bisognava essere precisi e organizzati. Il ritardatario idem, si aspettava una volta, due volte, poi vaffanculo, lui arrivava in ritardo e non trovava nessuno, la volta dopo arrivava in orario. Il rispetto era la base dei rapporti umani.

La polizia era molto più dura e severa, non ci pensavi neanche di dargli del tu o rispondergli male, erano cazzi tuoi. Idem con i genitori, ci mettevano 10 secondi a riempirti di mazzate e sputtanarti davanti a tutti. Volavano gli schiaffi come quando piove, se mancavi di rispetto. E mentre li prendevi sapevi che gli amici magari ti stavano guardando e stavi facendo una figura di merda e a nessuno veniva in mente che questa fosse una cosa sbagliata. ’Ste stronzate 68ine che i bambini non li devi mai umiliare sono una cazzata, così non crescono mai e rimangono viziati e debosciati. Oggi provi a dare uno schiaffetto o a rimproverare un bambino e questo chiama il Telefono Azzurro e ti pianta un casino, o ti denuncia addirittura. Sono furbi e stronzi ma soprattutto non gli è mai stato insegnato il rispetto per i grandi come lo avevamo noi. Un poco come i cani sono i bambini, se non li cazzi mai, loro si allargano di brutto.

Mio nonno mi fece il culo, due volte. La prima volta perché giocavo a bowling nel suo corridoio e facevo casino. Mi disse “smettila!”. Dopo 5 minuti non ha detto più nulla, è arrivato e mi ha riempito di mazzate. Mio padre e mia madre approvarono e non dissero nulla. La seconda volta avevo 15 anni e lui 75, eravamo in campagna, era mancata l’acqua, mia madre mi disse di andare a prenderne 20 litri nella casa accanto a 600 metri, dai vicini. Io ho risposto “nonno vai te”. Lui mi ha spaccato il culo solo urlando “ho vissuto cinque volte quello che hai vissuto te e ho fatto due guerre! Vai a prendere l’acqua!”, e io sono andato contando 15 x 5 = 75 e mi sono sentito una merda.

Capito come crescevamo noi? Con la severità e le mancanze e ogni cosa buona che arrivava era una festa.
Questa era la differenza di educazione. Poi purtroppo è passata la “cultura” 68ina, che è una cultura che si dichiara di libertà mentre invece è di distruzione delle strutture sociali in nome di un libertarismo debosciato e decadente. Per capire la libertà devi aver fatto un poco di prigione, non so se mi spiego.

Neanche noi avevamo mai visto le cose che erano cadute in disuso prima della nostra nascita ma le guardavamo, con stupore, certo, e poi immediatamente le usavamo, non c’era bisogno di spiegazioni, eravamo svegli. Capirei se mi dessero in mano una cosa che verrà fabbricata fra 30 anni, allora è più complicata con concetti che non conosco ma non una cosa vecchia, più semplice di quelle che uso, no è inaccettabile, c’è un QI sotto la media in quel caso.

Dei due gruppi… sono molto felice perché vedo che ci sono molti ragazzi svegli e attivi. Alcuni sparano cazzate ma sono attenti, sono svegli, come tutti nel gruppo, si azionano, vogliono fare, hanno una passione. Ma quando vedo la gente per strada, ubriaca marcia a 17 anni, con la sigaretta in bocca, bulli, credendosi di essere uomini di mondo… ma vaffanculo!».

 

 

Ecco, certa gente, prima di andare a dormire, si guarda allo specchio? Quando dice che i bambini è giusto che vengano “cazziati” e che non devono permettersi di denunciare gli abusi? Certa gente, quando parla delle donne, e non lo fa con ironia come faccio io, non è dissacrante o nichilisticamente spiritosa, bensì seriamente convinta del suo maschilismo da caserma militare, quando dice… la figa dovevi sudartela e guadagnartela, enunciando e sottintendendo in questa frase oscena tutta la sua rudezza barbara ed edonisticamente competitiva, offendendo anche gli uomini, da lui descritti come ricercatori disperati di “trofei” di pelle umana, come procacciatori di piacere laidamente carnale, non si fa schifo?

Immagino come costui guardi una donna. La squadra, finge un’eleganza formale da gran signore e dentro la sua mente intanto si addensando pensieri sessuali raccapriccianti, di dominazione, possesso e brutale voglia smaniosa, pensieri violentissimi. Questi, sì, pericolosi.

Quando dice che si stava meglio quando non si aveva il cellulare, ha mai fatto un incidente stradale con le budella che singhiozzano sangue a fiotti, in una strada deserta, e la prima cabina del telefono, per chiedere soccorso, dista cento miglia?

Ma, soprattutto, quando alla fine grida un bastardo vaffanculo a tutti, si è mai chiesto cosa ha fatto lui nella vita per migliorare il mondo? Niente, un beneamato cazzo.

Ma il top lo raggiunge con la frase da Goodfellas… per avere la libertà, un po’ di prigione devi fartela!

Giudica, polemizza, scrive imbecillità, e poi è ossessionato dalla presa per il culo. Dai marchi stigmatizzanti, neanche vivessimo a Palermo, novanta anni fa, tra le famiglie Corleone, ove i “valori” erano e sono purtroppo ancora l’onore, il casato, la dignità mafiosa, il rispetto ottenuto con la severità e con l’omertà.

Ecco, costui perché non prende una lupara e si spara in bocca?

 

E adesso io, invece, metto su il capolavoro di Bryan Adams, Heaven, cosciente di aver superato ogni bazzecola, ogni pettegolezzo, ogni rivalsa meschina, ogni sovrastruttura idiota, e di potermi permettere di credere ancora a quest’umanità.

Vi offro la mia faccia di culo? Va bene?

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di Stefano Falotico

 

 

 

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