Ieri sera, ero sdraiato a letto, e meditavo, poi i pensieri più tristi mi assalirono, e venni pervaso da un’atroce malinconia, sentimento dell’animo tanto demonizzato perché non si confà alla frenesia vivandiera della frivolezza di massa, e mi rabbuiai, tanto che ebbi dei dolori acutissimi al basso ventre, non riuscivo a respirare, ma paradossalmente andai in cucina ed estrassi tre sigarette dal pacchetto, e le fumai all’unisono come il grande Sailor di Cuore selvaggio. E più aspiravo con voracità più inspiravo, riprendendo fiato, e mi affacciai alla finestra, illuminata da luci fioche come il mio cuore impalliditosi. Emaciato, finito che ebbi di fumare, andai in bagno e mi guardai allo specchio, rabbrividendo dinanzi al vuoto abissale del mio sentire spesso così poco condiviso e incompreso. Oh no, non pensate che sia vittimismo, è reale, tangibile constatazione della vacuità della vita quando essa a noi si mostra nella sua scarna follia. E nuovamente presi coscienza che agli occhi superficiali altrui sei solo un pezzo di carne, un numero che si perde nel marasma, un uomo senza perfetta ubicazione, che svagato alle volte si concede euforie gioviali e poi, nell’intimità della sua solitudine, ancor s’annebbia, opacizzato e lontano dal chiasso isterico si rintana nei meandri dei suoi viaggi mentali.
Cerco la mia “collocazione”, con abnegazione enorme, e disperato cammino nel mondo, e i giorni paiono identici col loro scandirsi apparentemente inutile. E provo a far valere le mie idee, spesso taciute, sedate da chi non vuol sentir ragioni e si barrica nel pregiudizio più abietto e falso, perché il mondo è ipocrita e il carrozzone va avanti nella sua lenta, progressiva marcia proprio marcia.
E guardai indietro e quel che vidi tanto mi allarmò, ancora inquietò, tanto schiettamente mi forgiò in slanci impensabili. Oh, rimembrai quei due/tre anni in cui ero preda di rituali da lasciar chiunque mi capitasse a tiro perplesso. In cui mi mortificavo nella reiterazioni di ripetizioni mnemoniche, perché in cuor mio ho sempre temuto che il mio cervello potesse caracollare, che potessi andar incontro al collasso neurologico, ed ero terrorizzato all’idea d’impazzire, tanto che pazzo già lo ero e ancor più dissennai dopo in maniera invereconda e scioccante, afflitto da intemperie emozionali troppo vive perfino per essere non solo capite ma compatite.
Oh, che orrore spettrale quel vuoto interiore, eppur ieri sera vi scorsi qualcosa di miracoloso, perfino illuminante, credetemi. No, io non mi sganciai da molte logiche del mondo perché non ero capace di farle mie, ma perché la mia alterità congenita le respingeva, inconsciamente le rifuggiva. E allora preferivo la stramberia, l’eccentricità della desueta e anomala peculiarità del mio animo.
Che s’incantava per attimi volatili e anche volubili, gustando ogni istante nella sua pienezza. Ora, la contemplazione non si addice al nostro mondo e, se troppo contempli, ti rinfacciano perfino che puoi permettertelo perché gli altri sono impegnati in cose più “sostanziose”. Forse squallide ambizioni.
Sì, alla fine presi sonno. E stamattina, non so perché, avevo la curiosità di rivedere tutte le gaffe di Berlusconi su YouTube e ho guardato e ascoltato tutte le sue barzellette. Da quella del cinese e del cane, che ha fatto ridere solo lui, a quella di Mohammed Esposito, sin ad arrivare a quella di Carletto caricata da Repubblica.
E, assistendo a quest’ultima, ho capito che avevo ragione io. Ho visto uno spaventoso IT attorniato da dei leccaculo impresentabili, con Mentana che rideva per asservire questo clown grottesco, e che mi è parso la versione italica di Ray Liotta in Quei bravi ragazzi che ride sforzandosi ai racconti di Joe Pesci, e ride platealmente finto perché sa che quell’uomo tracagnotto e “buffo” ha potere e potrebbe sparargli nel caso si sentisse deriso.
E allora ho compreso che Loro di Sorrentino è il film che aspettavo da una vita intera.
Ora, capitemi bene. Io non sono un santo. Per molto tempo ho cercato, lo ammetto, di esserlo. Sebbene onanisticamente avessi le mie colpe vergognose che devo confidarvi. Ma d’altronde conoscete un ragazzo che non ami esplorare il suo corpo? Io lo ritengo estremamente giusto. Sì, è giusto prima di approcciarsi al prossimo, sapere quanto puoi “(t)ergerti”. Solo se ami te stesso, puoi amare una donna. Se non riesci ad amarla, significa che forse non vuoi…
E ho anche compreso che sono questo, un custode della bellezza…
di Stefano Falotico
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