Sì, esce a brevissimo la nuova puttanata giocosa del giocattolaio Spielberg, film che sta piacendo alla Critica, anche se non è poi così entusiasta come la nomea di Steven poteva indurre a pensare fosse stata.
Ecco, con Steven si dev’essere benevolenti, ci ha regalato perle che ci hanno indubbiamente commosso e ha spesso reso possibile il difficile assioma secondo cui l’immaginazione “virtuale” è spesso più importante della vita reale. D’altronde, Hook docet.che è la storia di un uomo cresciuto male che vota Salvini e poi scopre che ha rinunciato ai veri sentimenti per dar troppo retta agli obblighi inderogabili della sua vita adulta. Allora, decide che regredire non è male, e rispolvera la parte bambina del suo animo a un passo dall’esser corrotto del tutto. Sì, questa è una esegesi alla Falotico, ma il film è sostanzialmente quello che ho detto. La storia di un uomo che ha voluto fare soldi e s’era comprato il cellulare quando ancora quasi nessuno lo aveva, per sacramentare il suo status symbol da stronzo egoista, e finalmente, prima che fosse troppo tardi, capisce che la vita è anche ilare divertimento, bel cazzeggiare dolce, lasciarsi andare. E, in quest’ottica, capirete che questo film sottovalutatissimo di Spielberg non è affatto male.
Quando si toccano certi argomenti, il rischio di fare una stronzata è dietro l’angolo. A tanti, ad esempio, non è mai andato giù che Scorsese, il Re dei gangster movie, il cantore delle violenze metropolitane, l’uomo ossessionato dal peccato, dalla carne, da temi spirituali pugnaci e fortissimi, quest’esistenzialista pessimista, tragico e virulento, “porco” e rabbioso, abbia girato quella favola delicatissima di Hugo Cabret, a mio avviso invece un magnifico omaggio alla poesia dei sogni da tener sempre desti e non incenerire e far marcire nel cinismo, raffinata, lieve come la neve a mezzanotte quando sei solo in casa e nella tua anima tanta malinconia piove.
Al che esce Ready Player One, elegia ed elogio alla virtualità, perché la realtà, come da sempre hanno sostenuto filosofi e gran pensatori, la si vede meglio se superbamente rappresentata con l’inventiva, e nelle fantasie ce la si spiega con lirica cognizione di causa.
Ma, sostanzialmente, a prescindere dal discorso ontologico, metafisico e meta-cinematografico, è Cinema che non m’interessa più. E coi turbamenti adolescenziali del nostro Sheridan non ho oramai niente da spartire.
Mi guardo allo specchio, sono un omone anche se non sempre vanno a meraviglia i miei ormoni.
Eppur crebbi già a 15 anni perché se gli altri smanettavano sulla console io mi “consolavo” col joystick del mio piacere onanistico.
La solitudine è bella quando goduta visceralmente.
di Stefano Falotico