È una società che da sempre punta sull’apparenza e sulle maschere, appunto sociali. Ed è inutile quanto patetico, almeno così si dice in giro, accanirsi a dare spiegazioni quando il mondo non vuole stare ad ascoltare e preferisce sollazzarsi nel becero, ipocrita coprirsi dietro etichette. Al che tutti affibbiano patenti e nell’affibbiarle gioiscono immensamente. Così, dando appellativi negativi al prossimo, ci si solidifica in certezze che non possano turbare quelli che sono invero precari e fallaci equilibri. In un mondo ove impera la superficialità, si è data grande importanza, rilevanza assoluta al lavoro. Il lavoro nobilita l’uomo? Se si svolge qualcosa che dia valore alla persona, alla sua creatività, al suo ingegno, alle sue immaginazioni e ai suoi sogni. Siamo bombardati da pubblicità in cui si viene spronati a essere anticonformisti, a sganciarci dalle piatte regole, ci viene detto di distinguerci dalla massa, insomma, di seguire ostinatamente la nostra strada, di dar voce alla coscienza nostra profonda, di non adeguarci agli schemi, alle rigidità mentali, ci vien urlato di migliorarci e crescere. Altra parola da aborrire, abolire in toto. Se crescere significa adagiarsi al porcile, al comune andazzo menzognero e falso, preferirò sempre danzare su una trasgressiva, piacevole “scostumatezza” che non arreca danno a nessuno. E privilegiare i miei moti del cuore, attraccare a lidi di felicità personale, nel “piccolo” mondo che tanto è disilluso da potersi illudere di un “niente” in cui mi forgio e roteo ballerino fra emozioni veraci e voraci.
Invero, tanto si fa a livello teorico per dar vivacità alla complessità della realtà quanto poi ci si attiene programmaticamente a percorsi corretti, nell’abbindolare chi non la pensa come questi tutti che dettan legge e abusano ignominiosamente delle pazienze, oh quanti pazienti… invece spazientiti, a favore di una ricattatoria “scienza”. E, se non ci si adatta a questa violenza psicologica devastante, si diventa scemi… o forse solo illuminati. Al di là dell’orrore collettivo, delle vie perentorie della perenne globalizzazione.
Qualcuno semmai azzarda a dire che soffri di disturbi di personalità. E in questo psichiatrico parcellizzarti in una sbrigativa, affrettatissima diagnosi alla buona, può letiziarsi invece della sua presunta “giustezza”, di una ripugnante saccenteria. Sì, siamo invasi da “tutori” di ordini impartiti e dati, in questo mondo che classifica ogni aspetto del reale secondo un “reame” che schiaccia le individualità e le castiga al fine che il capitalistico spirito di “efficienza” e produttività non sia leso, e si può continuare quindi ad libitum, e io ne rimango allibito, nelle generiche, arbitrarie graduatorie, nelle suddivisioni manichee appunto fra buono e cattivo, fra lecito e illecito, fra liceali e ciò che non ha “licenza”. E in questo divertirsi di squallide ripartizioni, ecco che qualcuno va buttato giù dalla torre, lo si emargina senza pensarci due volte, e diventa tutto una burla sadica, per chi la pratica “spassosa”, fra promossi nella vita, fra “valorosi” e miserabili, fra “vincenti” e gente comune senza palle…
C’è allora chi s’immedesima in un attore camaleontico, così può cambiare sempre look e umore, fantasticando di essere quel sembiante, semmai un attore che ha fatto del Metodo la sua totale immedesimazione coi mille personaggi.
E si muta in tanti ruoli in questo mondo triste che ama le cover… e neanche tanto se “la” gusta sotto le copertine…
Rimanendo i soliti vigliacchi, i soliti fessi, rimanendo oggi coraggiosi e domani lerci, fra cani e porci.
di Stefano Falotico
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