Eh sì, ho un ricordo assai piacevole di Capodanno a New York, film che alla sua uscita la “critica” a spada tratta massacrò, depistando quegli spettatori che oggi, rivendendolo, ne rimangono favolisticamente, direi, sorpresi e giustamente lo rivalutano. Aveva ragione Sentieri Selvaggi a definirlo una splendida commedia, l’apoteosi, ad alcuni dunque risultante disgustosa, dello “zuccherificio” del compianto Garry Marshall, l’unico, prima appunto della sua morte, rimastoci a fare un Cinema classicamente “superato”, tanto romantico da non poter essere accusato di melassa, perché apertamente, dichiaratamente sperticato nell’elogiare i buoni sentimenti da sorpassare, per paradosso, la semplice definizione di “cinepanettone”. Garry Marshall riprova a intrecciare i destini in un grande racconto corale, che sappia unire il lusso stellare alla scintillante e magnifica superficialità di un cinema capace di entrare nei cuori, solo guardandone i riflessi e gli imprevisti movimenti. Tutto, qui, ruota intorno alla festa dell’ultimo dell’anno a Times Square, promessa di nuove possibilità e speranze. Così recitava la recensione di Aldo Spiniello, uno che assieme a Simone Emiliani aveva visto giusto. Perché, nella sua immonda “sconcezza” sentimentale, è commovente quel Bon Jovi, il discorso iper-retorico di Hilary Swank non è affatto patetico, è quasi toccante, così come lo è la dipartita di De Niro che ammira la palla delle meraviglie togliendosi la papalina da malato terminale. Un film talmente, “oscenamente” comico nella sua sbandierata, ingenua tenerezza da far sì che possa essersi conquistato l’ambito status di cult. Sì, perché a fine anno oramai sempre lo programmano, è un appuntamento televisivo immancabile. E onestamente mi sarebbe piaciuto essere Ashton Kutcher in quella “situazione” imbarazzante, perché è così bello quando l’ascensore si blocca, non scende e non sale eppur dolcemente, nella pausa, ti appare Lea Michele in minigonna… al che diventi un ritrattista-disegnatore di forme geometricamente piccanti, e intercali di moine e alzate sopraccigliari da vero volpone ammaliato dalla sua elegante femminilità “intelaiata” in gambe in collant che incorniciano alla perfezione il “coglione” che sei.
Eh sì, il prossimo anno vorrei essere come il calciatore Fabio Quagliarella, uno che quando arriva l’Estate, soprattutto a Ibiza, sa come sfondar… le calze a rete… “insabbiandolo” di “apnee” marine davvero galleggianti nel tenerlo a mollo, gonfiando il “canotto” in donne muscolose alla Tania Cagnotto, l’unica in cui comunque non si è “tuffato” e che non “stantuffò”.
Invece, il nostro calciatore, o meglio cacciatore, pare che se “lo” sia spassato con la Salvalaggio, una con cui non puoi improvvisare, andando all’arrembaggio. Perché questa qui abbisogna di soldi e oro a mille carati, è una donna tanto “cara”… non sa che farsene di uomo poveraccio anche se è più bravo di Roberto Baggio. Abbisogna di un Fabio in “piena attività”, uomo che infila “balisticamente”, sgranchendosi le gambe con “tiri” micidiali, mandandola in visibilio su posizioni dubbie in “fuorigioco” di ogni Kamasutra possibile. Un uomo alla Muccino, “dolce” e “sensibile”, che si è fatto anche la Buccino. Salvalaggio e Buccino sono amiche di Angela Formenti, una che la dà a Formentera, mentre noi uomini veniam “fermentati” dal nostro esser (in)fermi in ciò che, nelle palline, si fomenta eppur sciogliendosi in due non si fa osé. Rimaniamo sempre a secco, essendo uomini rinsecchiti, uomini ubriachi d’amore, più che altro da prosecchi. Un po’ rosé e nella vie en rose. L’abbiamo sempre rosso eppur, troppo timidi, arrossiamo e restiamo solo con le nostre carne e ossa. Spolpando il cotechino, mentre i maialini amano il “lento” e non le lenticchie, care racchie.
Quagliarella anche ieri ha fatto la “doppietta”.
Sex Bomb(er)!
Lui sì che sa stappar lo “spumante!”.