Archive for November, 2017

Caccia al tesoro, in Italia abbiamo ancora i Salemme e i “salami”


23 Nov

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Stamattina ero al bar e su un quotidiano locale campeggiava lo locandina del nuovo “capolavoro” di Vanzina, “fiore all’occhiello” della nostra Italia.

Sì, non c’è niente da fare. Il reddito pro capite fra gli italiani decresce proporzionalmente alla loro disoccupazione, il tasso d’istruzione aumenta, ma la gente va sempre a vedere queste stronzate che non sono né capitalistiche né comuniste, ma semplicemente cazzate da baristi.

Triste, mestamente m’infilai poi di nuovo in macchina, e fui sopraffatto da pensieri preoccupati del mio essere un “candito” in mezzo a queste… “Tortora”.

Sì, in questi anni ho ravvisato in me un’ingigantita crescita mentale, sproporzionata rispetto a quel che posso affermare in tutta onestà è stata una regressione mia sessuale.

Mentre l’Italia è “affascinata” dal sesso sbandierato, dal tricolore più terragno, dalla cafoneria più insostenibile, io sto ascendendo sempre più a una dimensione intellettuale lontana dalle donne che ti urlano Cresci!

Sì, vi racconto questa. Tempo fa fui corteggiato da una donna attratta dal mio cervello. Ella mi studiò, mi analizzò, mi spogliò e rese nuda la mia essenza. Ma, di fronte al mio uccello, vedendo che non si “sviluppava” neanche con le buone da sua donna bona, non si capacitò della sua immensa “fermezza”. E pianse la sua impotenza… gridando perché non vieni… tesorino?

Sì, l’Italia è tanto cresciuta che poi alla fine, “stringi stringi”, pensa solo alle scopate, alla “besciamella” e a mangiare il “salamino”.

Di mio, ho sempre preferito un uccello arrosto alle patate al forno e soprattutto fritte.

Mi sono fottuto non solo il cervello?

Sempre meglio che fottersi chi ancor (de)ride con battute vanziniane quando la prendi per il culo.

di Stefano Falotico

Ho sempre preferito Clint Eastwood e Bob De Niro a Fellini


23 Nov

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Ebbene, come i veri cinefili sapranno, fra pochi giorni uscirà il trailer del nuovo film di Clint Eastwood, un uomo che alla soglia dei novant’anni è in piena attività e non smette di stupirci col suo Cinema classico, improntato a storie realisticamente poetiche, spesso criticato, soprattutto in passato, di essere un “fascista” quando poi invece si scoprì che non era fascismo reazionario il suo ma solo la poetica battagliera, spesso intransigente, personalissima di autore micidialmente splendido.

Ecco, più guardo i film di Eastwood e più ne rimango affascinato. Pur respingendo alcuni suoi film, ritengo che praticamente tutto ciò che ha realizzato negli ultimi trent’anni sia degno dei più sperticati elogi. Anzi, non solo… credo fermamente che cosiddette opere considerate minori come Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Fino a prova contraria o il magnifico Debito di sangue siano altresì, e non vogliono sentire “scusanti” o ragioni, dei capolavori assoluti.

Prendiamo proprio Blood Work, con l’inseguimento al cardiopalma, infartuato (sì, questa parola esiste e ricordatela quando, se avrete un infarto, potrete poi dire ai vostri amici che vi “infartuaste”, anche se loro, essendo romantici, vorrebbero che nonostante il colpo al cuore voi ancora v’infatuaste per una donna in cui “trapiantarvi”, ah ah) dell’incipit straordinario, talmente “ingenuo” da commuovere… ah, la commozione cerebrale… ah ah, sì, il Cinema di Eastwood desta in noi sentimenti di sentito affetto tale da farci piangere di entusiasmo.

Ecco, Eastwood, potrei dire che mi appartiene “geneticamente”. E condivido quasi tutto del suo Cinema, fiero, secco, senza retorica, puro, cristallino come un bacio in bocca al giorno triste quando la nebbia dei pensieri si accavallano e ci fanno gustare male un cappuccino perché abbiamo troppe “brioche” nel non essere propensi alla cremosità verso un modo angosciante che screma la realtà fra buoni e cattivi, fra cornuti e cornetti. Ah ah.

Invece, il signor Federico Fellini non l’ho mai amato né credo che, nonostante provi ostinatamente a farmelo piacere perché piace quasi a tutti, mai e poi mi piacerà. Ieri, su Facebook scrissi che Roma è una cagata pazzesca. E, come volevasi dimostrare, fui coperto dei peggiori insulti, attaccato persino sul personale. Sì, la gente contro di me inveì, nello sfogo di tutte le parole più vergognose che si possano rivolgere a un Falotico che dice, umilmente, la sua.

Sebbene abbia ricevuto, va detto, anche apprezzamenti, per questa mia uscita “blasfema”, da parte di gente che l’ha sempre pensata come me ma non ha mai osato dirla… per la paura appunto di essere vilipesa e derisa. Sì, qualcuno si è complimentato col mio coraggio, addivenendo con me che Fellini è un regista enormemente sopravvalutato, figlio, nel male più che nel bene, della sua epoca, schiavo di un provincialismo da cui non si è mai staccato perché “non gliela faceva” ad andare oltre un Cinema “paesano”, folcloristico, ossessionato dalle sue nostalgie giovanili, afflitto dalle sue donne grasse e volgarone, un Cinema perfino “caciarone”, solipsisticamente delirante nel senso peggiore del termine, che infatti tanto “eccita” la moltitudine dei suoi estremi ammiratori proprio perché ritrae, a mio avviso, non me ne vogliate… la mentalità “italica” e borghese per eccellenza di una italianità che ama vedersi dipinta come in effetti è, e s’imbroda nel guardare l’ombelico delle sue rozze limitatezze. Un Cinema fatto di “amarcord”, di ricordi “caserecci” misti al goliardico compiacersi del godereccio anche triviale, un Cinema persino “televisivo”, di luci del varietà e pagliacci di scena, un Cinema superficialmente sociologico che va sempre bene quando appunto i tuttologi della mutua di oggi vogliono pontificare sulla società, allorché citano La dolce vita e poi I vitelloni, per far della sociologia spicciola sulla Roma “bene” e poi sui bamboccioni irredenti di un’Italia che non è cambiata, nonostante non creda più al Duce e nemmeno tanto al Papa…

Il Cinema è la prospettiva di uno sguardo, e lo sguardo di Fellini proprio non si sposa col mio, questo matrimonio non s’ha da fare, non c’è un cazz’ da fa’.

A tal proposito, La voce di New York, a proposito del progetto Ferrari con De Niro scrisse le testuali parole…

È “Ferrari”, opera cinematografica sulla vita di Enzo Ferrari, creatore e anima della leggendaria Ferrari, prodotta da Gianni Bozzacchi, nome nuovo per le nostre orecchie, bene così: la speranza, che sul piano dell’intuito, del “naso” del cronista, riteniamo fondata, è che Bozzacchi s’imponga come un caposcuola, caposcuola di una generazione di produttori i quali detestino il “facile”, lo scontato, il convenzionale: vale a dire tutta la retorica dell’antiretorica firmata fratelli Taviani, Lizzani, Monicelli; tutta l’oleografia firmata Salvatores, Tornatore, Fellini: sì, Fellini, avete capito bene, care lettrici e cari lettori, il sopravalutatissimo regista romagnolo, capostipite d’una schiera di registi e aspiranti-registi incapaci come lui di cogliere il vero aspetto epico della natura umana, del carattere italiano; cantori d’una miseria raccontata malissimo, affronto alla miseria stessa e quindi all’oggettività sociale e morale; presi da una malsana attrazione verso il brutto, verso l’orrido, il nauseante. Lontani anni-luce dal realismo inglese degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, e dal cinema sociale americano…

Non c’è ancora il regista. De Niro punterebbe su Clint Eastwood. Idea brillante, questa, non c’è che dire. Eastwood è forse il regista americano più versatile, il più preparato, quello fornito d’un pensiero, di un’indole cosmopoliti; persona di eccellente cultura, tanto da rifiutare d’indossare i panni dell’intellettuale di professione il quale passa la vita a fingere modestia e umiltà quando invece rappresenta l’esatto contrario e riesce a imbrogliare un mucchio di gente e a riscuotere il plauso di quelli fatti della sua stessa pasta, insapore, stracotta…

Un film che ci voleva davvero. Una grossa, forte idea dinanzi alla quale dovrà pur rimpicciolire certo cinema italiano che si perde con gusto malsano nella politicizzazione della Storia, mostra un’assai morbosa attrazione verso i peggiori istinti umani, soffre tuttora d’un provincialismo di cui non sa, o forse nemmeno vuole, liberarsi.

Orson Welles sosteneva che Lo sceicco bianco e I vitelloni sono infatti i film migliori di Fellini, proprio perché dichiaratamente provinciali. Sinceri nel loro messaggio, mentre il resto della filmografia, a suo avviso, è stata la patetica ricerca di un provinciale di diventare qualcos’altro.

Come dargli torto?

Potete anche lapidarmi, ma sono su Fellini lapidario.

Ma quale Fellini e donne felliniane, siate felini e non siate ragionieri come Filini.

E smettetela di mangiare tortellini col prosciutto di Parma.

E poi preferirò sempre gli spaghetti western alla pubblicità della Barilla sui rigatoni. Ah, Federico, ma quanto ti pagarono per quella stronzata di spot?

E poi dovevi fare più sport.

Sei stato sempre un regista di panza, in ogni senso, a differenza di Eastwood che più invecchia e più è meno magna magna.

di Stefano Falotico

TRUE CRIME, Clint Eastwood, Francesca Eastwood, 1999

TRUE CRIME, Clint Eastwood, Francesca Eastwood, 1999

Lezioni di nichilismo di un uomo asciutto che beve acqua frizzante fra Pirandello e Totò


22 Nov

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Sì, Uliveto, che facilita la digestione ed evita, di gas benigni e benefici, le fighetterie e le cagate.

Sì, con grande, sommo dispiacere dei somari, quelli che vorrebbero annichilirmi dietro patenti sommarie della mia personalità, riducendomi allo sguardo pietoso, e irriguardoso, del loro vedermi come uomo penoso, posso affermare che sono un uomo pen(s)ante. E il pensare, in questa società afflitta dalle apparenze, è un male, qualcosa da reprimere, da avviare e “raddrizzare” alla (s)corretta giustezza faceta di chi, illuso, pensa che la vita sia un breviario (d)istruttivo. Ah, quanti danni ha fatto la pedagogia politically correct. È stata una catastrofe sesquipedale che ha ammorbato gli uomini dietro falsi comportamenti, esternati e non, di un moralismo bigotto, ipocrita e stronzo. Ogni volta devo scansar gente di tal orripilante faciloneria, rinnegando anche le donne facili che, ben volentieri, a me si avvicinerebbero e se ne “abbevererebbero” in segno di lor nudità offerta in remissione dei peccati, non solo i miei, anche i loro da peccatrici però coperte dalla maschera sociale che le scagiona così da qualsiasi accusa di “puttanesimo”. Ah sì, la psicologia femminile, mi rincresce dirlo, donne che amate quella cosa “crescente”, è tutto sommato facile. Nessuna donna vuole sentirsi dire che è una puttana, nemmeno quando pratica questa vecchia professione da an(n)i comprovati e “irridenti”-irredenti (eppur sono ridenti), e lo “attesta” di sue “credenziali” in filmografie sconce in cui esibisce il suo didietro e il suo così (s)porco far soldi e godersela… No, neppure le puttane conclamate, quelle per cui, anche per culi, è stato acclarato di essere delle volgari meretrici, piace essere nominate in questo modo. Figurarsi a quelle che si credono di non esserlo solo perché si celano dietro la finta rispettabilità. Hanno una vita “normale”, dei figli da allev(i)are, un marito con un’ottima posizione intoccabile, e soprattutto un lavoro “nobile” che è il risultato, dicono loro, d’immensi sacrifici, di scelte dure… che mai e poi mai, per nessuna ragione al mondo, ripudierebbero e cambierebbero.

Mah, a me non convincono… perché come tutte le donne son sempre sintonizzate, nel tempo libero, su qualche programma che le rilassi e le faccia divertire, nella spensieratezza scostumata dei loro repressi ardori che, al fiorir di scemenze televisive, si squagliano nel piacer vanesio del loro smaltarsi le unghie, facendosi carezzare da gatti con le fusa. E qui si mostra tutta la loro falsità perché, anch’esse animalesche, hanno propeso, come quasi tutte, all’appagamento terribilmente “cutaneo”, epidermico dell’allisciarsi nell’estatico orgasmo della loro intimissima “soddisfazione”. Che bellezza…

Poi, ancora peggio, ci sono quelle che non si dichiarano né sane né sante e, per anticonformismo di maniera, per gusto trasgressivo da frust(r)ate, citano (a proposito di maschere… e “mascara” da uno, nessuno, centomila) Pirandello, dichiarandosi pazze…

Conviene a tutti, capisci? Conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi. Sai perché? Perché non si resiste a sentirli parlare. […] Non si può mica credere a quello che dicono i pazzi! Eppure, si stanno ad ascoltare così, con gli occhi sbarrati dallo spavento. Perché? […] Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Voi dite “questo non può essere” e per loro può essere tutto. Ma voi dite che non è vero. E perché? Perché non par vero a te, a te, a te, e centomila altri. Eh cari miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi […]. Perché guai, guai se non vi tenete forte a ciò che vi par vero oggi, a ciò che vi parrà vero domani, anche se sia l’opposto di ciò che vi pareva vero jeri!

Invero pazze non sono per il semplice fatto, o “fallo”, che nessun pazzo è cosciente di esserlo. Ah, che pazz(i)e! Anche se qualcheduno, come dice Pirandello, a un savio vuol far credere di essere pazzo per tenerlo “buono” e zitto, castigato in una “diagnosi” che imprigioni la sua volontà e lo renda così schiavo, incapace di autodeterminarsi.

La vita vera è un continuo oscillare, in verità, ah la verità, fra saggezza, malinconie, euforie, ipocondrie da “malati immaginari” (così si scansano le responsabilità, soprattutto verso sé stessi), salti di gioia, lutti, dolori, e il lavoro.

Ecco, il lavoro è qualcosa che, posso affermarlo senza (ver)gogna, non mi appartiene. Per quanto, anche testardamente, abbia provato a inserirmene, a comprenderne le logiche, sono troppo attratto dalla mia mortalità per poter sciuparmi dietro questa repressione della vitalità. Sì, il mio profondo sapere, in ogni istante che vivo sapendo che sono appunto vivo, m’impedisce d’ingrigirmi nella “vita” degli spenti, come direbbe Bukowski. A oliarmi negl’ingranaggi del compromesso, dei giochi da “adulti”, lontano quindi sono da certe burocrazie dei modi “normali” di vivere. Dell’alzarsi la mattina e fare il proprio “sano” dovere, rincasare stanchi e affaticati, ma soprattutto coi nervi a mille e iper-stressati, e cucinarsi una cenetta “speciale” con tanto di seratina sul divano e una compagna che ti regge il moccolo, il tuo moccioso, “reggendotelo”. Per carità! Preferirò sempre la mia solitudine “angosciante” a queste dinamiche spos(s)anti. Ah, dimenticavo… il mocio… scopate a terra! Ah, ah!

Ah, che poi ci son anche le donne che son talmente annoiate dalla loro “normalità” che guardano serie criminali a base di squartamenti, per esorcizzare il lor mal di vivere nella catarsi da Teatro greco secondo la quale la violenza mostrata rende la donna meno preoccupata. Sì, spiando nelle mostruosità altrui (Chi l’ha visto?, docet), s’illudono di essere donne a posto.

Quando invero covano sentimenti di rivalsa… figli(e) di una piccineria, questa sì, da sbattere in prima pagina!

Così, in questa società malata, fioriscono psicologi e psichiatri. Altre figure assai discutibili. Che studi hanno fatto per poter permettersi di propagare “benessere?”. Alcuni di questi escono da studi “tecnici”, clinicamente asettici, e non potranno mai capire la splendida “oscenità” dell’inquietudine, la “disagiante” bellezza del vivere. E vivere davvero significa giustamente soffrire, non essere conciliati alle idiozie, col sorriso smaltato, adeguarsi squallidamente al “buoncostume” deficiente delle sciocchezze e delle banalità.

Sì, lo sapeva il grande Totò… la malafemmina insegue la “cara-bella”, caramella, caravella delle donne perdute… ho detto tutto…

La mia vita è piena di mentali nebbie e di ubbie… ma chi la vede?

 

di Stefano Falotico

Nella vi(s)ta siate “not perfect”, usate l’imperfetto in ogni ver(b)o del vivere, e ambite a essere personaggi scorsesiani


22 Nov

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Vi ricordate quel gioco fenomenale degli anni novanta? Street Fighter? I bar ne erano pieni mentre i paninari, così venivano definiti i tamarri dell’epoca, le loro panze si riempivano a base di birre rancide come il lor alito puzzante di aglio. Uomini non alti ma che sapevano districarsi col joystickmeglio di una pornostar col dildo. Poi sarebbero arrivate le belle ma troppo pure canzoni di Dido. Ebbene, rammenterete anche, cari uomini alla Tarantino, memori delle nostre pulp fiction, che si sceglieva un “eroe” e ce le si suonava di santa ragione. Se finivi, stravincendo, l’incontro massacrando il tuo nemico senza farti neppure sfiorare, ecco che compariva, di vocina robotica, la scritta perfect, pronunciata in modo alla francese, o à la, pourfiect… Sì, quelle piccole sale giochi nei cantucci di baracchine ove le ragazzine leccavano gelati al limone, sognando in cuor loro di sverginarsi con questi maniaci… delle antiche playstation, erano stracolme di giochini sparatutto e soprattutto di tali divertimenti a base di tenzoni, di sfide senza esclusione di colpi alla Bloodsport. E i giovinastri, anche i più sgraziati e nerd, si proiettavano in queste marziali piroette, immaginando sconfinatamente di essere come muscles from Bruxelles, Jean-Claude Van Damme, uno dei più grandi deficienti della storia dell’umanità a cui però dobbiamo rendere merito per averci fatto entusiasmare con spaccate, jet sinistri e calci “a tuffo” in volo carpiato su ganci ambidestri subito dopo la mossa della gru di Ralph Macchio in Karate Kid. Molti di questi giovani adesso sono quarantenni con moglie obesa a carico e un figlio menomato per colpa delle botte in testa dei loro stes(s)i padri sciagurati, pessimi educatori ma rimasti “ottimi” pugilatori “virtuali”, ché (nel senso di perché ma va bene anche che senza accento) scaricano le loro ire represse sull’innocente che frigna perché ha un padre, appunto-“a pugni”, che passa le serate ancora al bar a giocare però alla slotmachine della sua cassaintegrazione e alla testa di cazzo dell’equo canone dell’essere cane. Una vita che, fra l’altro, fra un digestivo e l’altro, soffre l’amaro zuccherato da qualche “cameriera” dei viali, che li “serve” affinché possano “st(r)appare” di “spumante” con tanto di “scontrino fiscale”.

Eh sì. Quasi quasi rimpiangiamo gli edonistici, superficiali, banalotti e scioccherelli anni ottanta in cui Jamie Lee Curtis esibiva le sue forme ginniche (che poi avrebbe ripreso nel magnifico spogliarello di True Lies) assieme a quello stravolto del Travolta. Perfect, appunto, cagata immonda da ricordare soltanto per la scena “scult” dell’amplesso aerobico e per una Curtis, appunto, che onestamente sa(peva) pompare il muscolo per cui le donne c’invidiano. Quella donna vibrava nell’aria e talmente “spingeva” che avremmo preferito esser nati evirati, piuttosto che impazzire strabuzzati, contenendoci di ormoni al “bilanciere”.

Insomma, non siate perfetti. Non serve a niente. Mangiate di gusto, ubriacatevi senza compostezza, e siate oggi Travis Bickle e domani Pupkin, quindi dei “pazzi” alla Cristo de L’ultima tentazione…, comprenderete, come Edward Daniels di Shutter Island, che da anni a questa parte avete perso il cervello ma volerete… come sani uccelli.

 

E ricordate: il Genius, che sono io, sembra che abbia una faccia da prendere a schiaffi, a cui la gente, se non si darà una mossa, continuerà a dare calci nel culo, ma sa… sa tutto.
Altro che game over.23795524_10155796361043608_2555010944535332969_n

di Stefano Falotico

Stronzata del giorno, da mangiare di freddura


22 Nov

Il mondo si divide fra i polli che non sanno chi sia Tim Curry e quelli di buon gusto che mangiano riso al pollo con curry.
Evviva Jim Carrey! Ah ah!

Riso, riso, ridere.

 

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I sogni sono sempre folli, evviva il sogno pazzo – Essi vivono, sì, di che?


22 Nov

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Sì, per tutta la mia vita, da savio peccatore, in quanto uomo errante che erra ed, erronea-mente, non rinsavisce, ho inseguito gli attimi, quel piacere poco condivisibile del godere dei propri istanti, nella solitudine mansueta dell’irriverente, anche irruente, fruirne senza dover dar conto a chicchessia, tanto meno alla Chiesa, ah ah, di tal godimento.

Per molta gente, invece, è estremamente importante, necessaria come un comandamento ineludibile, la cosiddetta socialità. Se ne beano, vivono di vanità, si fan belli se gli altri dicon loro che sono belli e, in questa finta bellezza, poiché solo specchio di sguardi che falsamente, in modo terribilmente ruffiano, si compiacciono e si leccano, avanzano nel loro poltrire. Il porcile, che da sempre intellettuali e poeti hanno combattuto con l’arma “innocua” del loro invece pretendere dalla vita altro. E non attenersi, per nessun “razionale” motivo, all’andazzo collettivo in cui quasi tutti sfoggiano e millantano talenti che, personalmente, non vedo né voglio vedere. Oggi, siamo invasi dagli esibizionisti, quelli che possiedono anime miserande, e invece espongono, di “bel” e spesso artefatto mostrare poverissimo, le loro presunte qualità. Di seduttori, di “virili” uomini con gli occhi ammalati di sesso, un sesso gridato in faccia attraverso espressioni allusive, che dovrebbero indurre le donne a eccitarsi. Ma molte donne cascano in questa trappola e forse l’asserviscono in totale nudità della loro pochezza. Ci sono quelle che vanno a vedere un film solo se c’è il macho di turno che possa distrarle, per due “sane” orette, dalle loro frustrazioni quotidiane, sognando con lui un’orgetta, ah ah. E in questa proiezione stolta dei loro desideri inconfessabili, addivengono, eccome se vengono…, ah ah, a piaceri artificialmente vuoti, frustrandosi ancor di più, ben coscienti che, finito l’attimo “abbagliante”, torneranno alle loro vite di panni da stirare, di tortellini con la panna e delle loro emozioni in panne. Ma a quanto pare questo girotondo pedissequo, interminabile d’illusioni e sogni di cartapesta, di carne lor pestata, umiliata, ripudiata e squallidamente osannata in modo profano, offensivo alle loro anime, oserei dire contro tal triste osé, le allev(i)a in un “amabile” amar la vita. Sì, sono quelle che oggigiorno su Facebook, a ogni santa e non sana ora, ci tengono a riferirci dei loro “oroscopi”, delle loro scopate e di come abbian “sgobbato” per raggiungere il risultato “maestoso” di Mi Piace alle loro foto isteriche da compulsive dell’effimero, delle vogliettine vanesie più mercificate alla morbosa curiosità di altrettanti idioti che le assecondano, vengono… incontro ai loro reumatismi esistenziali, in un’apoteosi del cattivo gusto, del ribaltamento di ogni valore, della fatua ricerca dei famosi minuti di celebrità. Onnivori tutti quanti delle cazzate, a cantar di tutto coro canzonette melodiche buone a fustigarli ancor di più nei soliti patetici ritornelli di esistenze infelici e sciagurate. Sono quelli/e che fanno invece contenti gli psicologi, che rifilano loro pasticche e tranquillanti, per tranquillizzarli probabilmente dall’imbarazzante, inconcepibile, abietta idiozia che domina le loro anime da tempo corrotte, contraffatte, immolate a un tira e molla perpetuo di non saper in effetti cosa davvero vogliano, una recita insostenibile fatta di grida, di chiassoso lor inseguire, appunto, soltanto il piacere plastificato, disadorno di ogni pura, vivaddio, imperfetta bellezza, in senso (a)lato e non, di farsi piacere nel (dis)farsi della propria dignità, svendendola a chi maggiormente accontenterà i loro agrodolci, tetri, osceni capricci.

Io posso affermare che mi stufai fin dapprincipio, in tempi non sospetti, di questo porcile, di questi agghiaccianti “baciamani” ove tutti sono amici di tutti e invece non sono amici neanche di sé stessi.

Ma che dire? Per questa mia intransigenza, per questa mia inalienabile, “alienatissima” integrità morale, fui tacciato dei peggiori appellativi, apostrofato e deriso come matto di turno o peggio additato come sognatore ingenuo. Sì, in una società così superficiale, in cui tutti parlano, mormorano, si “sciolgono” nei pettegolezzi più atroci e mendaci, son io quello fallace, che falla cioè senza fallo, farfalline e senza le loro (due) palle, il coglione da coprire delle più cattive ingiurie, da insultare, sia mai, però da dietro, perché il confronto diretto spaventa i piccoli borghesi che, si sa, vivono invece di chiacchiere, di frivolezza e logorree ipocrite, di diarreici lor mal di pancia imperterriti e ostinati da “digerire” con la burla sadica, con lo sfottò sciocchino, con le torte in faccia e il piacere “altissimo”, eh già, di attaccare il prossimo per star più tranquilli dinanzi alle proprie certezze marcescenti, anzi, nelle ovvietà marcianti, nel pregiudizio più cretino e ottuso marchianti.

Indispettisco per questo mio atteggiamento e chi pensa male di me dice che io non so amare. Eh sì, sono io quello che non sa amare, invece loro amano. Sì, le stronzate. Sì, ho allontanato quasi tutti, parenti e non, dalla mia vita. Semplicemente perché, se devo condividere le mie emozioni con chi si sbellica dinanzi a un immondo varietà di culi e tette, preferirò sempre i miei sogni “intoccabili” da “eremita”, del mio illusorio, si capisce, “utopico”, da topo, ah ah, battermi per non immiserirmi nella bruttura, mascherata purtroppo da bellezza, di questo “adatto” scendere a patti, anche a patte, eh eh, alle logiche massificatrici, al consumismo perfino della propria pelle dell’anima.

Con sincera condoglianza,

firmato un uomo che gode immensamente della sua “follia”, lontano da questa pazza folla.

 

di Stefano Falotico

L’ultima notte di speranza


21 Nov

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Dolore, vita marcescente che si fa pacata riflessione poi arrabbiata e singhiozzi di quest’ira accesa che lacera le certezze. Lacerazione dell’io allo specchio che si pone ancora domande, mentre il mondo coi suoi frastuoni e con l’isteria delle sue sconce bruttezze, protervo e irreversibilmente “vivo”, continua a strisciarti negli occhi, lacrimanti un’anima zombi o forse più viva nella sua apparente alienazione di tante maschere grottesche che inseguono soltanto il faceto gioco illusorio di vite artefatte, finte, probabilmente inesistenti.

C’è chi da sbronzo per tutte le notti continua a rimanere lucido e angosciato, chi invece da sobrio rimane euforico di vita per tutta una vita, d’altronde dice l’autore, Costanza, nelle sue primissime righe del suo sofferto e “disturbante” romanzo. Sì, questioni di punti di vista, dell’ottica ingannevole dei nostri occhi collegati all’anima che filtrano la realtà da come la esperiscono, dal proprio vissuto, dal conflitto lucentemente emozionale, dunque anche opalescente, di come vediamo il mondo, se propensi ad amarlo per come invece fa obiettivamente schifo, o se lo rinneghiamo, creandoci la nostra realtà, fatta di sogni bui più luminosi di tanta oscenità falsamente allegra. O forse a certa gente lo schifo piace e lo compiace, non se ne può sottrarre oppure non possiede un’anima pura tale da trascenderlo, da sfuggire la mediocre, lercia, puttanesca esistenza. Un ossimorico respingere e poi amare la vita, attratti e poi reietti a ritrarci nel nostro beato (?) guardarla da una finestra. Per non inzozzarci, per non inquinarci, per rimanere agganciati alla nostra integrità psicofisica.

C’è molta verità in questo libro ma anche delusione che traspare, disillusione enorme, e le parole lucide si alter(n)ano a pensieri “vomitevoli”, in cui il turpiloquio si fa grido inascoltato. Urlare al vento la propria solitudine, il puzzo rancido della vita, della “vista” anzi del Pasto Nudo alla Burroughs. Spesso questo disagio di vivere si sente magniloquente, echeggia nelle nostre viscere apparentemente acchetate, e squarta di dubbi le certezze. La scrittura diventa un flusso di coscienza, incarnazione in prosa di un’anima inquieta che singhiozza, latra il suo dolore. No, non sta bene questa vita, non è calma, ma forse per Costanza il raggiungimento della pace interiore è impossibile, persino un mostro da schivare, da schifare. Perché la vita, pare dirci lui, è appunto abominevole, non risparmia colpi bassi efferati, ferini, potentissimi, e dobbiamo forse solo (r)esistere all’osceno che ci circonda, renderci “ciechi” dinanzi all’orrore, fingere d’illuderci e lusingare il nostro Male per sedarlo con la verità, solo la nudità e l’essenza possono condurci alla ragione dell’essere terribilmente nati umani, creature sbagliate fra creature ancor più ripugnanti dei nostri peccati, del nostro essere tutti merde, come dice lui. Allora ecco la figura del detective, un filosofo dell’anima, uno che come nel Lungo Addio di Altman espia le sue colpe nel cercare colpe altrui, per razionalizzarle, per scappare dal proprio sé erroneo, errante, agghiacciante. Per non esplorare il suo didentro… guardando negli orrori commessi dal prossimo per non specchiarsi dinanzi al suo uomo bestia.

Il libro pian piano si sfalda, diventa un delirio “concentrico” di parolacce e di rabbia che ancora monta, cresce vistosamente, e in qualche punto potrebbe stufare. Poi, all’improvviso sterza verso il suo messaggio, quello che Andrea Costanza, o meglio Andrea SPERANZA, eh eh, ci teneva a dirci.

Siamo tutti forse zombi, condizionati e morti nell’anima, perché così vuole omologante una società che appiattisce i nostri io, e procede in quest’orrida distruzione, “istruendoci” con le sue gabbie istituzionali, dalla scuola, che uniforma il sapere, alla televisione che lobotomizza le coscienze di chi, ora dopo ora, ne è succubo e ragiona come la falsa “giustezza” asettica pretende che ragioniamo. Perché i ribelli non piacciono, sono mele marce da curare, perché si creano sogni che sogni non sono ma asservimento alle logiche di massa.

E il linguaggio si fa sincopato, volgare appunto, perché è fortissimamente iroso, quindi diventa disillusione sofisticata. Un libro forse senza vera trama, la trama è l’alternarsi di pensieri liberi e incendiari, sprigionati da un’anima insofferente che scalcia il dolore di essere nata.

 

di Stefano Falotico

Aforismi falotici di un Sabato da “abate”, forse da monachicchio


18 Nov

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La conoscete la leggenda paesana e meridionale del “monachicchio?”.

Il monachicchio è uno spirito guascone, allegro-fantasmatico che, quando meno te l’aspetti, pervasivo s’insinua con far brioso e pungente, rendendo la vita più strana di già com’è e insinuando dispettosi dubbi nella mente paciosa delle persone. Egli va di notte con le scarpe tutte rotte, è bassino e fa il solletico al tuo cane bassotto, giocando di sberleffi fra gente altolocata e piccolo borghesi qualunquisti, mette il dito fra moglie e marito e non so se abbia buon gusto, di certo i suoi scherzetti “abbaia” e in questo burlarsi di tutto fa simpatiche bue al buio, non è un asino ma ce l’ha coi buo(n)i a nulla, e irriverente striscia grottescamente fra le piccole menti della bigotta gente.

In realtà il monachicchio è un personaggio inventato, quasi favolistico, forse favoloso della cultura della Basilicata, e mio nonno, essendo un materano, me ne parlava, riempiendo di incubi la mia vita di bimbo innocente che, ascoltando queste storie, si scoteva nel raccapriccio del suo cuor turbato che poi se le ripeteva a memoria, ben attento a non incappare in questo “celeberrimo” monachicchio, incrocio burlesco fra il Krueger di Nightmare e Casper.

Come dice Wikipedia… di Carlo Levi del Cristo si è fermato a Eboli…

I monachicchi sono esseri piccolissimi, allegri, aerei, corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono la sedia di sotto alla donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave. Il loro carattere è una saltellante e giocosa bizzarria, e sono quasi inafferrabili. Portano in capo un cappuccio rosso più grande di loro: e guai se lo perdono. Tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e di desolarsi finché non l’abbiano ritrovato. Il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto di cercarli di afferrarli per il cappuccio: se tu riesci a prenderglielo, il povero monachicchio scappucciato ti si butterà ai piedi, in lacrime, scongiurando di restituirglielo. Ora i monachicchi, sotto i loro estri e la loro giocondità infantile, nascondono una grande sapienza: essi conoscono tutto quello che c’è sottoterra, sanno i luoghi nascosti dei tesori. Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accontentato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà. Ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e salti di gioia, e non manterrà la sua promessa.
Così, in questo Sabato moscio, in cui ancora nella mia stanza avvisto dei mosconi, in questa società ipocrita che grida di star zitti e mosca, in cui nel mio quartiere si vedono molte Vespe, con far vispo io scrivo massime che massimizzano il mondo, i drammi quotidiani minimizzando e il mio umore di buon tono aizzando.

 

1) Molte persone bollite giocano le bollette, dette anche scommesse, per pagarsi le bollette. E spesso di rabbie e frustrazioni ribollono, cuocendo la sera il bollito.

2) Se non hai pagato il bollo della macchina, sei dai carabinieri francobollato.

3) Credo che gli alieni esistano. Come dubitarne? Solo un pazzo potrebbe credere che siamo i soli nell’universo, retti da qualche Dio al di sopra di noi. Che idiozia antropocentrica. Sì, gli alieni ci sono, e penso che siano organismi pluricellulari. Ma ho il dubbio che posseggano più di un cellulare a testa.

4) Quando la vita va male, fatti un giro per le strade. E vedrai tanti barboni ai semafori a far l’elemosina. Sì, l’umanità si divide in due categorie: quelli che diventano barboni e quelli che hanno in casa un barboncino. Se non si appartiene a queste categorie, forse si ha una moglie come Barbie oppure si è uomini barbosi. Certamente, se non sono donne, tutti hanno la barba. Che poi se la taglino dipende dal taglio barbonesco che si vuol dare alla faccia da schiaffi.

5) Vado sempre al bar a prendere un caffè e il barista alle volte sul resto bara. È un baretto. A proposito, a Bari ci sono i baristi? Ah no, scusate, i baresi. Insomma, io baro, tu barasti, e c’è chi di cognome fa Barale.

6) Per vivere bene, non bisogna farsi troppe domande. Ma viverla come viene. Se però la tua amante viene male, devi farti una domanda da uomo vero.

7) Uno che ce l’aveva con me mi gridava che ero uno sfigato mentre la gente con le palle scopa, si diverte, va alle feste. Di mio, so che c’è anche chi sgobba, non si diverte e a cui fanno la festa. Mangiamoci una Fiesta, dai.

8) Molti uomini soffrono del complesso di Edipo. E hanno mogli castranti. Poi, vanno al cinema a vedere un film della Disney. Contenti loro…

9) Sebbene molti pensano, pensino, che la mia vita sia andata a puttane, non sono mai stato con una puttana. Però spesso dico delle puttanate.

10) Sono un uomo dal carattere difficile. Alle volte son anche bugiardo. Ma in fondo, siamo onesti, chi mi conosce sa che sono onesto. Io sì, lui mente.

11) Manson è in fin di vita. Pare però che in prigione, nonostante sia stato uno dei più grandi malati di mente della storia, sia diventato anche malato di mentine. Sì, gli piacevano un sacco.

12) La vita va presa con filosofia. Bisogna filosofeggiare. E di stronzate festeggiare.

13) Comunque la metti, non avrai la donna dei tuoi sogni. Lei è lesbica e preferisce darti un pugno.

14) La gente è ossessionata dal sesso. Eppur molte persone son dei cessi ma lo fanno anche in bagno. Pure coi bagnini. Adesso vado a farmi un bagnetto.

15) Dopo il Sabato, c’è la Domenica. A meno che non si crepi di Sabato. Di mio, ho tanti mercoledì.

 

di Stefano Falotico

Se il grande Totò ha girato il suo primo film a 39 anni, ho tempo anche io, essendo ancor più Principe


16 Nov

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Eh sì, molta gente è ossessionata dal tempo e, arrivata ai quarant’anni, già comincia a contar le rughe, rimembrando pateticamente il passato. Molta gente è afflitta dal passato, ne è perseguitata, fa di tutto affinché non possano avvenire cambiamenti migliori nella sua vita, ne è spaventata, tanto insegue il meglio quanto poi, quando se n’avvicina, per timore lo schiva, e si piange addosso perché durante l’adolescenza veniva bellamente presa in giro ed era lo “stoccafisso”, la bella statuina delle malignità altrui. Pigliato in mezzo da deficienti ignorantelli che lo misuravano in base già alle fottute “credenziali” adulte, che se ne facevano gioco appunto con sfottò poco carini, con l’irriguardosa cattiveria oscena da bulli che si credono chissà e vogliono impartire leggi e regole di vita al prossimo. Ma il problema in fondo non sono quegli adolescenti, perdonabili se esagerarono, l’età l’indusse a peccare, a sbagliare, a equivocare il valore altrui, ad appiattire un po’ tutto in stolti schemi di bravi contro “paninari”, di tamarri contro “acculturati”, di scemi e più scemi. La colpa è spesso delle famiglie, che hanno inculcato sin loro dalla nascita falsi valori, improntati alla dominazione, alla sopraffazione, alla più meschina competizione, al grido di metterlo nel culo al proprio compagno per fargli le scarpe, per primeggiare e, dico io, per soffocare le libere personalità, belle, brutte, sgraziate o gaglioffe che siano, vivaddio, di chi non rispetta questi canoni assai discutibili che scremano la realtà, in modo miserrimo e spettrale, tetrissimo e appunto asfittico, fra vincenti e perdenti, fra meritevoli e scalognati, tra fortunati e sfigati, tra intelligentoni e poco di buono. Che gretta suddivisione, che becera classificazione delle anime, che mercimonio delle coscienze, che bruttura orrenda alla bellissima varietà del mondo, alle sue levigate e affascinanti sfumature. Che squallide, menzognere, imbruttenti etichette, figlie sovente di una falsa cultura colma zeppa di pregiudizi, fascista, castrante, castigante, certezze immonde obliterante.

Scopro così che il Principe Totò esordì nel 1937, sì, quindi aveva 39 anni anche se, con tutta probabilità, il film l’aveva girato un anno prima o mesi addietro.

Dunque mi specchio, passo velocemente in rassegna le batoste subite, le carognate infertemi senza validi, reali, logici motivi e, considerando che ho già pubblicato più libri di qualsiasi uomo medio, posso asserire in fierissima vanità che ne ho ancora di strada e altre genialità da battere.

Con buona pace dei miei detrattori e di chi continua ad affibbiarmi appellativi stupidi, figli dell’invidia e della mediocrità, questa sì, rinnegabile e mendace, mentecatta e bugiarda.

Poi, signori si nasce e io lo nacqui!

 

di Stefano Falotico

L’Italia eliminata dai Mondiali, analisi falotica di una “tragedia” annunciata


14 Nov

L’Apocalisse. Sì, per il nostro Paese è un’onta ciclopica per cui…  la nostra Nazionale è stata estromessa dai Mondiali. Dopo due partite con la Svezia, nostra sfidante “robusta” dello spareggio valevole, come direbbe Fantozzi, per la qualificazione alla fase finale, non siamo riusciti a segnare nemmeno un golletto. Un misero gollettino. Zero assoluto, rasi al suolo dai volenterosi ma onestamente, diciamolo senza vergogna, nostri avversari scandinavi che, pur denunciando tutti i loro limiti tecnici, la loro scarsità tattica nonostante lo studiato ed efficacissimo catenaccio preso in prestito proprio da noi “maestri” di questo triste giochetto, la loro inadeguatezza appunto sul piano della raffinatezza e dello spettacolo, ci hanno liquidato facendoci rimediare una figura storica da annali, anzi, anale…

È vero, dovremmo preoccuparci della nostra vita di tutti i giorni e non rammaricarci per una partita di Calcio, l’Italia è un Paese ove quasi tutto non va, ove la disoccupazione è sempre in aumento, ove i giovani al solito vengono schiacciati da adulti più ignoranti della presunta ignoranza appunto giovanile, dagli adulti proprio sonoramente criticata, duramente vilipesa, ove gli anziani vengono maltrattati nelle case di riposo, ove si elargiscono grosse e smisurate pensioni a chi è stato in verità in pensione tutta la vita, vedi i parlamentari, e ove i “senatori” ricattano le matricole in questo perpetuo, immutabile gioco del gatto col topo, delle classi dirigenti che soffocano i deboli, li mobbizzano, li strozzano, un Paese col più alto numero di avvocati per ca(u)se inutili da Forum, un Paese facile alla demoralizzazione quanto cupamente moralizzatore di retorica fascista, un Paese in cui non è cambiato niente dall’epoca delle lire e ove le ingiustizie sono all’ordine del giorno, ma in fondo alla nostra gente, oltre ai maccheroni col cacio, poco importa del resto se non del Calcio. Nostro sport appunto nazional-popolare, che riesce a far da “paciere” fra amici che non si parlavano più e che, davanti a una spaghettata con l’Italia in tv, invece si riuniscono ben riconciliati, e poi i Mondiali… Ah, appuntamento quadriennale irrinunciabile, dal più scemo al più intelligente, tutti inchiodati di fronte al televisore per fare il tifo sfrenato, per urlare come matti e soffrire come patibolari condannati a morte quando la nostra Nazionale difende coi denti e con le unghie la misera rete di vantaggio che la porterebbe in finale!

Ma questo Ventura, come già dissi pochi giorni fa, è stato la nostra sventura. Sventurato il Tavecchio che l’assoldò. E (s)fortunato proprio il nostro “caro” Gian Piero che non vuole dimettersi perché se si dimettesse non riceverebbe le migliaia di Euro pattuite, verrà licenziato e dunque avrà comunque la “buonuscita”.

Sì, ci sono cose decisamente più importanti del Calcio che, invero, è solo una distrazione di massa, un “conciliabolo” e panacea dei nostri quotidiani mali di vivere. In questa chimera, la gente disperata si consola, riponendo le sue aspettative di vite sempre infognate nella mediocre iniziativa. Allora, ecco che tutti sono tuttologi in materia e vogliono dire la loro su questa disfatta epocale.

Eh sì, Ventura doveva mettere l’insigne Insigne e perché schierare un centravanti molle e immobile come Immobile? State “bonucci”, vi dico io, non piangete le vostre lacrime di coccodrillo da Buffon’!.

C’era eccome d’aspettarselo. Ventura, dopo un anno e mezzo, in cui aveva tentato di rivoluzionare la Nazionale, inserendo innesti giovanissimi e di talento, come Zappacosta, Spinazzola, Caldara e via dicendo, facendosela nelle mutande, ha poi messo in campo appunto i “senatori”. Quelli più “esperti”, dei vecchietti lenti, prevedibili, con le “palle” confuse. E poi la smettesse quell’insulso del Candreva a fare il bello e il cattivo tempo come Canova. Ah, il solito canovaccio… palla lunga e pedalare, cross in mezzo a spilungoni-lungagnoni, tanta carne e poco arrosto. Fritti in padella.

Datemi retta, italiani, l’Italia è peggiorata. E stavolta non mi riferisco alla Nazionale… Insomma, davvero un’apocalisse? Macché, la vita va avanti e qui bisogna tirare… in porta? No, a campare.

Per quanto mi riguarda, stasera prevedo un film su Netflix.

di Stefano Falotico

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