Sì, bisogna vivere nello spelonche e non grattarsi troppo le anche. Solo così ci può girar i pollici, cambiando il proprio giudizio sul mondo, recensendolo su o giù a seconda dell’umore.
Vengo spesso atterrito dalle persone troppo ridenti. Ridono sempre e, in questo scostumato ridere, poco alla verità addivengono. Qualcuno disse che solo nella noia si può essere obiettivi e lucidi, perché liberi da infingimenti, solo quando il nostro cervello non è oberato da pensieri angoscianti, quando la nostra anima non è preda delle piccinerie e non è schiava dei luoghi comuni, può adoperarsi affinché le più brillanti idee liberamente fluiscano.
Molti non sono dei fanatici della noia. Io ne sono un “patito”. Mentre i detrattori di questo sentimento “ozioso” la vituperano perché la ritengono responsabile del male che la nostra società attanaglia.
Quante volte leggiamo sui giornali che degli atti esecrabili sono nati e partoriti dalla noia. Niente di più falso. Se qualcuno ha commesso qualcosa che è andato oltre… non lo si può imputare alla sua noia, ma alle bacate traiettorie mentali del suo cervello fritto.
Nella noia invece io ho trovato giovamento, sciogliendomi in elevazioni poetiche che solo l’apparente monotonia di questo “tedio” poteva darmi. E ne gioisco ogni giorno, ringraziando la bizzarria di un’apatia che non è affatto letargica, ma s’invigorisce del profondo mio inconscio disinibito che vaga armonico nel tempo mio immanente. In questa connatura beltà dell’animo gaudente, di forti emozioni risplendo e poco nella società mi spendo, non vado neanche a far la spesa. Molta gente invece tutto soppesa ed è sempre così restia a denudarsi del suo puro io, mascherandosi dietro le stesse etichette che essa stessa crea nel sovrapprezzo che attribuisce al suo stimarsi oltre i propri reali meriti. Sì, molta gente vive di una realtà che pensa sia l’unica possibile e attraverso questo sguardo, in verità distorto, dalla veridicità di sé stessa si distoglie, abdicando al valore non tanto che dà quanto al valore per cui si danna. Che danni. Ah, meglio i daini.
Bene, dico a un uomo, invitandolo a sedersi per discutere “noiosamente”.
– Si segga o, se preferisce, si sieda.
– Non ho capito. Dovrei sedermi?
– Sì, s’insedi.
– Insediarmi dove?
– Prenda possesso della sedia. Non si sedi, su, metta giù il sederino. Insomma, si metta a sedere.
– No, non mi siedo.
– Vorrebbe sedarsi, per piacere?
– No, non mi sedo.
– Allora, la “insedio” io.
Sì, ridete di vere gote. Il mondo si divide fra chi è ricco di famiglia come i Getty e chi aveva un padre arricchito come Gotti. Di mio, posso dire che sono un ricco povero. Ricco nell’anima e povero in canna. Ci sono anche i poveri in canne. Sì, quelli che a Bologna le fumano in Piazza Verdi. E, a proposito di Verdi, speriamo faccia goal contro il Cagliari, domenica prossima. Ciò mi renderà felice nonostante rimarrò al verde. So che sono una brava persona che non passa mai col rosso.
Ah, stasera ho visto uno che portava a spasso un cane. Non vestiva Armani e mi pareva però armeno.
Ah, ci sono quelli derisori ché sono persone irrisorie, e ci sono anche i risotti.
Il risotto va cucinato ai funghi e mangiato con le mani per potersi leccare le unghie. Attenti a quelli velenosi. Spuntano sempre nell’erbaccia cattiva di un mondo che non ha di meglio da fare se non mangiarti.
Come scrissi qualche giorno fa, son pieno di fauna intestinale. Come? Avrei dovuto scrivere flora? Ma sì, che Flora sia florida. Mi lasci ribollire di mie faune. Adesso vado a vedere Il labirinto del fauno.
Non ho le corna di capra o di caprino e non voglio essere DiCaprio, ma ho quelle in testa e amai una donna di Capri, essendo satiro che un po’ se “la” tira.
di Stefano Falotico