Archive for September, 2017

Domani, il Papa a Bologna? Ma com’è possibile? Io, che son Dio, son sempre stato a Bologna


30 Sep

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E non faccio le vacanze da una vita nella mia vita vagante eppur non di emozioni vacante.

Ma apprendo, in tarda ora odierna, che tal Bergoglio atterrerà con l’elicottero, quindi reciterà l’Angelus e poi andrà alla mensa dei bisognosi, col Sindaco in “pompa magna” in questo papocchio disumano che è la mia Bologna, città che mi diede i natali e in cui rimango anche a Natale, festeggiando col presepio della mia vita lontana dalle false prosapie e non credente in padre Pio.

Sì, sono un burlone, un elemento san(t)o in questo sfacelo contemporaneo, l’apoteosi della carne fattasi ascesi, eppur alle volte soffro di ascessi poco “metafisici” che mi fan patire più delle stigmate e a qualche persona, nella stima, scendo. Io la verità discendo pur non essendo del Cristo un discepolo. Sono scapolo e in vasca da bagno, come tutti, mi gratto le scapole, “mollandone” qualcuna in silenzio “religioso”, nell’idromassaggio emolliente del viver di pet(t)o in fuori e remoto dal voler essere un premier in pectore. Sono il discendente, a proposito di “discernere”, ah ah, di Edgardo Mortara, fatto ostaggio di questi Asinelli felsinei così, vi dico, peccaminosi, di pettegolezzi smaniosi e, invero, anche un po’ maniaci. Sì, questi bolognesi medi mi alzano spesso il dito medio mentre in Via Indipendenza ordino una pizza da Altero, da uomo che vive di sua esistenza capricciosa nelle quattro stagioni dei miei umori balzani, unti da presuntuosi dottorini alla Balanzone, insomma sono l’incarnazione della Madonna della più fiera alterità. Ah ah, tant’è che le donne, alla mia vista, gridano Oh, Gesù, Giuseppe e Maria!, facendosi il segno della croce affinché non possano, ah ah, attentare alla mia falsa verginità. Mi maledicono perché da me son tentate eppur le cago a stento. Vergine lo sono solo di segno zodiacale, essendo già stato traviato, in questa mia vita travagliata, anni fa, quando dimenticai l’acqua benedetta per “intingerlo” in qualcosa di egualmente bagnato/a. Non è blasfemia, è l’ironia consapevole di un uomo saggio che non porta il saio, che eppur ha letto Il nome della rosa, che ancor di Eco echeggia nelle mie memorie…

giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui mi accadde di assistere in gioventù, sul finire dell’anno del Signore 1327. Che Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto allora avvenne in un luogo remoto a nord della penisola italiana, in un’abbazia di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome…

Ebbene, mi confesso, prete, giunsi congiunto alla Fede nel mio peccar quotidiano alla magra coscienza del mio testimone perplesso in questa Terra maledetta da Dio, e preda del demonio che, nonostante dai cristiani venga demonizzato, si accanisce sui poveri cristi e non fu debellato da Max von Sydow ne L’esorcista. Ah ah. Mi perdoni perché, oltre a essere un uomo peccante, uso spesso sopra i maccheroni il piccante. Non ho altre colpe da riferirle, se non che l’anno scorso amai The Young Pope del Sorrentino.

Amici, fratelli della congrega, qui giunti in raccoglimento, cogliete L’attimo fuggente… Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai che vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà.

Io, fortunatamente, non son ancora appassito e mi piacciono le passere, cari uccelli in volo.

Sempre sia “lodata”, anche se mi faranno santo per questo mio “sbocciar” nell’astinenza sessuale così “rocciosa” come il fisico oramai flaccido di Schwarzenegger.

Chi ha orecchie per intendere intenda e, sotto le tende, “lo” tenda, chi ha invece quella tendenza, oltre alle orecchie, è ricchione. E, comunque, domani voglio per pranzo le orecchiette con la mia testa di rapa.

Andate in pace, figliuoli…

Eh sì, non mi crocifiggete se affermo, con vividezza giovanissima, che nonostante molte bambinate l’ultima canzone di Justin Bieber spinge “beatamente”. Ah ah. Sono un diavolaccio, siate clementi, e datemi le “clementine”. Ah ah.

 

di Stefano Faloticoyp13

Richard Gere sostiene che siamo tutti folli e io, in mezzo alla foll(i)a, sono il più sano di tutti


29 Sep

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Gere, in forma smagliante, nonostante la pancetta abbondante e i capelli “albini” di una senilità leggermente precoce, era a Roma a presentare il “suo” ultimo film. Interrogato sui massimi sistemi, ah ah, con consueto charme inappuntabile, ha espresso questo suo pensiero forse buddista, forse positivista, forse fatalista e persino pessimista, ah ah…

 

guardi in questo mondo siamo ormai tutti folli, la soluzione sarebbe quella di creare una community che renda più facile lo stare insieme, l’ascolto e la fiducia. Il motivo per cui molti, me incluso, si rivolgono allo strizzacervelli è perché è l’unica figura professionale, che può permettersi il lusso di prendersi il tempo per ascoltare.

 

Sarà vero? Insomma, Gere crede davvero alla psichiatria e ne è cliente, come si suol dire un “socio”, un habitué? O l’ha detto semplicemente perché, essendo uomo di tanto successo e molto sesso, soprattutto nel passato, si sente in colpa nei confronti dei tanti “malati” e poveri cristi della faccia-“feccia” della Terra e ha voluto consolarli “benevolmente”, condividendosi, eh eh, nelle loro psicopatologie? Si sa, la gente comune è così presa da vite che odia ma fa, non si sa perché, di tutto per mantenere. Pare che, soffrendo, stiano meglio, una contraddizione in termini, un paradosso allucinante di questa nostra umanità bestiale.

Eh sì, ci sono i solipsisti, che in cuor loro conoscono la verità ma, puntualmente, la rifuggono, adattando appunto anche le sfighe secondo i loro tornaconti e “tornar comodo”, rigirando le frittate e facendo apparire il prossimo come il “matto” di turno che, a sentir loro arrogante, non ha capito un cazzo della vita ed è soltanto uno scemo del villaggio. Basano la loro vita sulle esigenze del momento, cambiando rotta ove tira meglio il vento. E credo siano dei miserabili, oscenamente già fottuti, loro sì, nel cervello e nell’anima. Dei finti furbi, che inventano sempre l’escamotage più vantaggioso, la chiacchiera più “scaltra” alla loro immagine e somiglianza di una realtà che plagiano secondo il godimento del periodo loro più confacente al soddisfacimento del benessere istantaneo. Di quegli attimi piacevoli da cambiare, quando diventano spiacevoli, appunto a piacimento. Gioco di parole che rende l’idea…

Ci sono poi i moralisti e gli ipocriti, quelli che “puntigliosamente” vanno a messa alla domenica e, se non ci vanno, comunque son sempre lì a farti la predica. Guardano nei presunti peccati degli altri, per scappare dalle loro colpe, dalle loro responsabilità morali, morali, cari, ripeto, moralisti. E son sempre scontenti se uno se la passa alla grande, adducendo il fatto che costui sarebbe felice perché incosciente. Altri uomini fake.

Ci sono quelli “sistemati”, che s’illudono che il conto in banca e il lauto stipendio mensile siano delle ragioni per affermare che sono in gamba e si son creati, “giustamente”, i loro privilegi, alla faccia dei fessi e di chi mal si adatta all’andazzo, che per loro è indiscutibile. Se li attacchi, ti dicono che sei polemico e troppo negativo, o peggio ti sputano in faccia che dovresti trovarti un lavoro “serio”.

Ci sono, categoria orribile, i finti depressi. Quelli che, visto che in questo mondo sono quasi tutti tristi o non soddisfatti, davanti agli altri recitano la parte anche loro degli scontenti. E poi da dietro deridono le tue “debolezze”.

Ci sono poi quelli come me, che credo oramai abbiano capito come gira il mondo, e se ne fregano delle falsità, delle “versioni ufficiali” e mainstream persino delle notizie che vengono date in radio o in tv, e cercano sempre l’essenza delle cose.

Insomma, i matti. Ah ah.

 

di Stefano Falotico

Blade Runner 2018 è già il capolavoro che “tutti” dicono? Io, che son (D)io, obietto e “investigo” sui raggi b della mia “nave da combattimento”


29 Sep

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Suvvia, devo essere obiettivo e non poter giudicare prima di averlo visto. Ma, nel frattempo, mentre rifletto, pondero se sia lecito criticare ancor prima di aver(lo) visto, lasciatemi danzare sui miei ormoni, come una macchina volante del replicante che sono, essendo androide rispetto alle emozionalità comuni e, senza dubbio, uno spiccato detective delle mie angosce profonde, saggia e sagace, futuristica, avveniristica commistione fra il thriller nero di un’anima baluginante vicino alle porte di Tannhäuser e “cose” che voi umani potete solo immaginare…

Leggo, tramite Twitter, che ancor prima delle recensioni ufficiali quest’opera di Villeneuve sta riscuotendo giganteschi consensi e addirittura qualcuno “vocifera” che sia meglio dell’originale e già un caposaldo enorme della fantascienza del nuovo millennio.

Ora, si sa che molti sono “critici del vino”, come per la categoria vinicola, sono pagati dalle major per sponsorizzare un prodotto. E, visto che il film deve incassare molto più del previsto, e su questa “previsione” lasciatemi (perp)lesso, l’incentivo pubblicitario aiuta il botteghino.

Ora, con tutta la stima per Villeneuve, di cui riconosco il rigore formale, pur dicendo che Sicario è un bel film ma niente di più, in molti punti persino coatto e superficiale, nessun film, neppure il suo seguito, può essere superiore all’originale. Perché è ed era il film di un’epoca, un film d’imparagonabile fascino che, al di là dei dialoghi spesso banalotti, aveva delle atmosfere irripetibili, che poggiavano sulla magnetica colonna sonora di Vangelis. E su un Rutger Hauer di carisma perfetto più di un robot di Dick. Un film precog.

Dunque, lasciatemi dubitare. A me i capolavori annunciati non son mai piaciuti, e cerco di essere sempre “integerrimo” e non farmi condizionare né corrompere dai facili, modaioli entusiasmi.

Ma io sono un Falotico e, oggi, non so perché mi fa male l’uccellino. Quel mio uccello “can(dido)” che soffre in codesto dì d’indisposizione e abbisogna di qualche pillolina per “scaldarlo” come questi primi termosifoni dell’appropinquante inverno. Questa non è science fiction, è la “pura”, “dura” realtà.

di Stefano Falotico

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Il lavoro “(ovo)sodo”, Ancelotti a casa, il tacco di De Niro e un pacco che mi ha dato il pacco


28 Sep

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Eh sì, ti svegli di buon umore e, nel frastuono della città, già iperattiva, al solito frenetica e anche ebefrenica, sì, la gente è matta, ma lo sapete meglio di me, vai in cucina a prepararti un “lauto” caffè che, sincero, è scioltissimo come il tuo uccellino già “abbisognante” di far la pisciatina con tanto di “scrollatona”, ma poi, dopo aver serenamente evacuato, comprendi che sei ancora in alto mare e la tua vita non ha una direzione precisa. Acquedotto, fai acqua da tutte le parti, schizzato! Sì, ultimamente mi son barcamenato con collaborazioni “a pagamento”, scrivendo articoli, spesso di Cinema, frutto della mia penna velenosa, piccantella, originale e un po’ fuori dagli schemi, e ho impostato la mia esistenza sulla contemplazione medio-orientale di un pensiero nietzschiano da uomo “forte”. Respingendo le ovvietà e rendendomi un uomo al di sopra dei giudizi facili. Colleziono libri d’intarsio pregiato e anche “prelibato”, ed è ancora presto per dar addio al celibato, essendo da molte donne leccato eppur mai veramente “succhiato”, e dunque mi “pompo” d’orgoglio per non cader a pezzi, anche a pezzente, mentre la società impone il capitalismo sfrenato dei soldi a tutti i costi, a costo anche che ti spezzi le costole. Ah, ma com’è bello mangiar le costolette di “maiale” senz’essersele guadagnate. Vanno “inserite” nel sugo, con tanto di scarpetta, e fatte abbrustolire a temperatura di “olio” scoppiettante con aggiunta di peperoncino per dare un tocco sfizioso al tuo palato focoso. Aggiungetevi del vino sopra per insaporire la pietanza per la “ricca” panza. Ah, ma invece mangi pane e pene, e la tua vita da un filo pende. Ah, v’invidio miei statali dipendenti, voi sì che non fate un cazzo magnando a sbafo e leccandovi i baffi delle otto ore sudate nella “fatica” di leggere il Corriere dello Sport. Eh sì, son braccia sottratte all’agricoltura e indubbiamente “produttive” di discorsi “balistici”, con qualche balla che raccontate alla segretaria per “macchiarla” di vostro “bianchetto” fra un capufficio “decaffeinato” e stronzo di color marrone come la cioccolata calda, un cappuccino schiumoso e un ciuffo moscio come la vostra esistenza piatta. Che piattole. E lei, donna tu mi stufi, vada a preparar lo stufato e poi lavi i piatti. Patti chiari e amicizia “lunga”. Lo sa il vicino che le ripara lo “sciacquone”. Ah ah.

Sì, diciamo che alle volte mi disoccupo e il tempo occupo nel cupo. Eppur ancora non indosso la coppola. Son uomo onesto, lesto a esser al mattino presto desto, e giammai agli arresti.

Eppur c’è chi se la passa “peggio” di me. Carlo Ancelotti, dopo l’ennesima batosta, è stato cacciato dal Bayern Monaco. Ma lo pagheranno lo stesso, come da contratto. D’altronde, il suo stomaco non conosce “licenziamenti” ma solo “liquidazioni” del grasso che cola.

Fra poco, anche Montella lascerà il Milan. Fassone è un fessone, ma non così tanto da continuare a tenere questo Vincenzino. Altrimenti, come farà il Fassone a prendere tranquillo l’aeroplanino per le trasferte del “biscione?”. Ah, c’entra sempre Berlusconi, ottantenne che s’è fatto il culo per arrivare là e soprattutto si è fatto quelli di molte donne. Le donne erano rispettate dall’alta società, d’altronde se lo facevano… di brutto. Anche rifatto/e. Lavoratrici dure, molto duro, praticamente di oro inossidabile e orgia inattaccabile dalla Sinistra.

I miei genitori, dal loro paese natio, hanno ordinato salsicce, pasticcini, pizze e pane fresco. Il corriere non è arrivato e credo arriverà con sette giorni di ritardo. Insomma, la roba buona si squaglierà, miei buo(n)i a nulla.

Vi saluto e vi auguro buonasera, sapendo che Alberto Sordi aveva ragione a dire che vi meritate Nanni Moretti. O era il contrario? Mah. Nel dubbio, mi giro i pollici.

Potevo essere un uomo alto, ma comunque non mi puzza l’alito. E adesso pizze per tutti. Anche a lei, donna di pizzo, non mi prenda per pazzo, mia pupazza, mi spupazzi.

 

di Stefano Falotico

 

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È morto Hugh Hefner, Sean Connery gli è “vicino”, Alain Delon anche, e io sono il playboy delle brioche


28 Sep

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Ebbene, dopo una vita da puttanone e comunque “editore” molto “digitante” delle più plastificate del Pianeta “terragno”, è morto a novantuno anni, e molti più ani, Hugh Hefner, magnate e non magnaccia. Sì, era uomo “raffinato”, di gusto, citato anche dai più attenti sociologi, un uomo che non aveva bisogno dello psicologo perché, quando era giù di morale, qualcuna “glielo” alzava immoral-mente. Hefner se ne fotteva in gran quantità, arricchendosi sugli arrapati che compravano il suo “giornaletto”.

Non faceva porno ma erotismo, certamente… e tutti i commilitoni in guerra, dal Vietnam all’Iraq, addolcivano le loro ire nel “tirarlo” su quelle conigliette così stampate di masturbazioni allegre come un “grilletto” sparato a mo’ di (cer)bottana.

Eh sì, scompare un mito dello scorso secolo, colui che spogliò per primo la Monroe e aveva sempre caldi i “marroni”. Quasi tutte le più grandi zoccole contemporanee, in prima linea la bombastica Pamela Anderson, (di)venute “attrici” di “gioielli”, ah ah, da Hugh si son fatte sfondare per sfondare. Sì, Hefner avrebbe fatto invidia a Higuain, è stato lui il più grande “centravanti di sfondamento” delle palle. Ah ah.

Ma lasciamo stare i morti e anche il suo “maritozzo”, e preoccupiamoci invece della salute del Connery Sean. Fu 007 e adesso invece al bar non riesce neanche più a giocare a tressette. L’Alzheimer incombe mentre in Italia fa paura il morbillo. Connery claudica vistosamente “fragile”, sorreggendosi col carisma del “bastone” fra le sue gambe che fu. Lo sa Ursula Andress…

Anche Delon sta morendo. È stato operato al cuore e presto nell’aldilà raggiungerà la moglie, deceduta pochissimo tempo fa. Il divo francese è oramai andato. Sì, anche lui “ne” vide parecchie, e adesso è nel corazón scoraggiato. Più che un gattopardo, uno col cuor pieno di lardo. Sì, è colpa del colesterolo. E fu anche laido nonostante l’apparenza “impeccabile”.

Di “mio”, vado al bar quando la mattina, piacevole, mi rende “felice” come un “uccello” senza vincoli, che migra e i cornuti mira, mangiandosi tanti cornetti alla faccia della vostra “crème de la crème”.

Anch’io un giorno creperò, ma intanto mi ficco in bocca un’altra crêpe.

Sì, tutti quanti dobbiamo prima o poi morire. Tocca a tutti, “toccatevele” e, nel frattempo, inculatevi.

 

 

Sentite condoglianze da parte del vostro Falotico, uomo appunto non morto ma che mangia le more, anche la mortadella.

A proposito di vecchietti. Nonostante abbia replicato il suo replicante nel nuovo Blade Runner, pietra “tombale” della nuova fantafigata, anche Harrison Ford lo vedo presto alle “pompe” funebri. Ah ah.

Ah, bando alla tristezza. Vi lascio in modo cremoso, “affiggendo” in memoria dei posteri un’immagine mia “inequivocabile” in cui, di “buchi”, prendevo la vita molto più a culo.

E ricordate: sono bello, quindi pappo le (ciam)belle.
 
Miei papponi e (s)chiappe.

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Non confondente John Gotti con Paul Getty, e voi, cameriere, amate i gatti e Balthazar


27 Sep

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Sì, discussione simpatica su Facebook. Posto il trailer di Gotti con John Travolta e un mio contatto, grandioso, non si capacita della “trama” del film con John. Vede nel filmato gangster che vestono eleganti, vestiti quasi come Armani, e ha dei dubbi in merito…

Eh sì, presto Ridley Scott sarà sui nostri schermi con Tutti i soldi del mondo, in cui un rampollo e “dolce” figliuolo fu rapito da dei manigoldi in Piazza Farnese. Il padre, l’uomo più ricco della storia, non volle sborsare i soldi e nella pellicola di Scott ha il volto “makeup-izzato” di Kevin Spacey, arcigno e sinistro come non mai, quasi ridicolo. Nel frattempo, anche il valente Danny Boyle sta girando la sua versione, però in forma “televisiva” e seriale, di questo triste accaduto, col mitico Donald Sutherland nei panni del Paperone bastardissimo. Circola una mezza leggenda metropolitana secondo cui, il signor Getty, sì, sborsò i soldi del riscatto solo dopo che a suo nipote mozzarono l’orecchio, ma chiese indietro il “danaro” al povero (mica tanto, eh eh) ragazzo, con tanto d’interessi. Insomma, la storia di una famiglia “schifosa” per dirla alla Lino Banfi di Vieni avanti cretino.

Da questa stirpe riccastra, viziata, stronzissma, fa parte anche un attore lynchiano per eccellenza, il Balthazar Getty di Strade perdute. Sì, è un parente neanche tanto alla lontana. Un bel “giovine”, anche ora che è cresciuto, lo sa bene la Amick di Twin Peaks, che abbandona tutto e tutti per stare con un matto del genere. È uno che coi soldi la fa volare… più delle canzoni di Giusy Ferreri. Ah ah. A proposito, la Ferreri non assomiglia un po’ a Sherilyn Fenn?

 

Insomma, con questi qua il boss Gotti non ha molto da spartire, se non il fatto che anche lui si era arricchito non poco, “rapinando” nelle tasche della gente onesta.

 

Quindi, donne, state attente prima di mettervi con uno con troppi soldi. I soldi facilitano la vita ma c’è un “ma” bello grosso. Datemi retta, ah ah, mettetevi con uno che fa la vita da cani e compratevi un gatto. Lasciate stare i Getty e i Gotti. Su, ridete, fate felici le vostre gote.

 

Con questa stronzata, vi lascio a Wikipedia se volete documentarvi maggiormente sulle vite di Gotti e Getty. Mica cazzi…

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Vivere al di là stando nel di qua


27 Sep

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Eh sì, miei baccalà e quaquaraquà. Questa vita non è uno schema prefabbricato e neppur vincendo a scherma si può mentire ai nostri desideri “proiettati” come ne La rosa purpurea del Cairo, miei caudini e fratelli di Caino che non credete né al Bene… Carmelo e neppure a Ferrara Abel(e). Ah ah.

Lo so, la mia antipatia cresce esponenzialmente come le mie genialità, che vanno di pari passo con la mia schietta asocialità. E bevo fiaschette rallegrando il mio fegato “amaro” mentre voi pensate di essere tosti e invece non siete né robusti, quindi siete fiacchi, e di lavori inutili sfacchinate, e neppure amate i toast.

Presentate sempre i vostri attestati per sentirvi superiori a chi non ce li ha. Ma io tostissimo vi dico che, miei “testoni”, non serve che mi attestiate chi presumete di essere, in base alla vostra piramidale voglia di “vincere” sul prossimo, io ho più testa di voi e conosco il vero gusto della vita, quello che gli americani chiamano taste. Non smetterò di scrivere romanzi, battendo sulla tastiera, e m’intestardisco nell’affermare, con cognizione esuberante, che son uomo al di fuori della massa, nauseato dal porcile e da queste vostre lotte fratricide che paiono rendervi così alla felicità, finta e pusillanime, appaiati. Io le vostre bugie appallottolo, se proprio non riuscite a farmi fuori con le cattiverie, sparatemi una pallottola. Ma sappiate che son un “pistola” e non me ne faccio niente dei vostri “grilletti” facili, mie donne deridenti il mio esser così ardimentoso eppur non nelle vostre fighelle “ardente”. Ci sono anche le donne a cui piace leccarlo “al dente”. Ih ih.

Facebook assomiglia a questo film col Gere, miei ghiri(gori). Tutti sembrano voler contar qualcosa agli occhi degli altri e “sbandano”, sbavano per i Mi piace, anche quando qualcuno clicca su un piatto di bavette, essi, costoro, vanno in brodo di giuggiole. E le vongole? Ah, maledetto volgo, non me ne vogliate se, tronfio, io mangio le troie, no, volevo dire le “trofie” dei vostri falsi trofei.

È pieno di persone “perbene”… ci sono le super zoccole che, dopo aver preso tre uccelli al minuto, danno la buonanotte, congedandosi con frasi davvero “sincere” della topa, no, del tipo: il mio saluto va a tutti gli emarginati, i senza patria, i disoccupati e i deboli di questa società. Sappiate che sono con voi…

Sì, intanto “la” stappa con quello riccone, forse un po’ ricchione.

Poi ci sono gli “intenditori” della “bellezza”. Che ci tengono a precisare che questo mondo superficiale si merita la schifezza di Michael Bay e non sa apprezzare le stronzate sofisticate della Coppola, una che gira “lento” ed “elegante” per sopperire non solo ai buchi della sua sceneggiatura, ma anche al “buco” della sua bernarda, Bernalda, città lucana ove festeggiò il suo matrimonio. D’altronde, chi si fotte una racchia del genere? Poteva solo Tarantino, feticista del brutto.

Ma torniamo a Richard. Richard è cresciuto negli anni. Più diventa buddista e più porta le orecchie a sventola. Un’elefantiasi al contrario. Da sexy boy a uomo maturo eppur non pachidermico. Oramai è in là con gli anni per piacere alle sventole, ma alla sua donna comunque lo sventola. Ma alzerà prima o poi l’Oscar? Insomma, non è più una bella statuina, dategli un premio, non è un primate, è un attore che primeggia e, dei primati, se ne fotte.

Ah ah.

Concluderei così. Il mio barista è in crisi, ha licenziato la ragazza che serviva ai tavoli e non paga l’affitto. Sì, prendete coscienza che il mondo sta fallendo. Dopo una vita di sacrifici, ti trovi solo in mano un cazzo fritto e hai allo stomaco le fitte. Che frittata!

di Stefano Falotico

Norman con Richard Gere secondo lo scrupoloso Mereghetti


27 Sep

Una recensione magnifica.norman_modefffrajjt_rise_still-km-U43370631839154e8B-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443

Non è un personaggio simpatico Norman Oppenheimer, il protagonista di L’incredibile vita di Norman. È appiccicaticcio, invadente, ai limiti dell’untuoso. Veste senza eleganza, con quella borsa sempre a tracolla, la coppola calcata in testa, la sciarpa a ripararlo dal freddo newyorkese. Anche i capelli sono troppo lunghi, lontani dai tagli alla moda. A noi italiani può ricordare certi personaggi di Sordi, con la loro contagiosa sgradevolezza, che ti fanno star male perché intuisci i loro errori, che stanno per ficcarsi in un pasticcio o in un vicolo senza uscita. E forse non è un caso che la strada che porta alla sinagoga dove ogni tanto si rifugia Norman assomiglia a un vicolo cieco… Curioso scegliere un personaggio così come eroe di un film, perché invece dell’empatia scatta la voglia di tenerlo a distanza. E all’inizio del film sembra quasi che la regia di Joseph Cedar si diverta a farci vedere solo le sue gaffe, i suoi vani sforzi, le mancanze di tatto e di sensibilità: l’approccio nel parco, disturbando chi sta facendo jogging; il pedinamento dell’uomo politico israeliano in missione newyorkese grazie al quale vorrebbe accreditarsi nel mondo della finanza ebrea; il disprezzo con cui viene allontanato da una cena dove ha cercato di intrufolarsi.

Che ci fa Richard Gere in un personaggio così? Eppure, dopo un po’ le cose cambiano, il film (e con lui il personaggio) prende un altro ritmo, la storia si fa più accattivante e L’incredibile vita di Norman svela quello che nascondeva: una riflessione senza infingimenti ma anche senza pregiudizi sul mito dell’«ebreo cortigiano», il suo bisogno di prodigarsi per gli altri perché così trova giustificazione ai propri occhi per la propria ambizione e la propria natura, vertiginoso aggiornamento del monologo shakespeariano («Sono un ebreo. Ma non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni?» con tutto quel che segue) ai tempi della finanza e della politica. E la prova di Richard Gere cresce esponenzialmente, come quella di un piccolo, moderno Shylock, la cui tragicità non discenderà più dal confronto con la freddezza della giustizia o con la sete di vittoria (come invece fanno i suoi «nemici»), ma piuttosto dalla capacità di superare proprio quelle tentazioni con un gesto di generosità che fino a quel punto non avresti immaginato. Ancor più folgorante perché acceso da un inaspettato ribaltamento, capace di illuminare retrospettivamente e positivamente le tante ambiguità che si erano accumulate prima.

Non può essere un caso che il protagonista si chiami Oppenheimer come Joseph Süss, quell’ebreo Süss, che aveva catalizzato su di sé tutto l’antisemitismo possibile. Così come non è un caso che la storia, sceneggiata dallo stesso regista, si svolga per la maggior parte all’interno del mondo della borghesia ebraica newyorkese, concentrato quintessenziale delle aspirazioni che Norman insegue e che vedrà realizzarsi «troppo» tardi, dopo aver sopportato ogni tipo di umiliazione e di disprezzo. Perché la forza del film, e la sua giustificazione, è anche nell’aver evitato ogni possibile schematismo morale: chi sono i «nostri»? dove sta il «bene»? Il film evita persino di porsi la domanda, concedendosi solo un paio di privatissime confessioni sul bisogno di credere nella bontà delle persone, piccoli cedimenti segreti di cui in pubblico ci si potrebbe vergognare ma che nel silenzio di una camera d’albergo o in un’ultima telefonata possono trovare la forza di farsi sentire.

Per il suo primo film in lingua inglese, il regista Joseph Cedar (che è nato a New York ma è cresciuto a Gerusalemme e che fino a ora aveva girato solo in lingua ebraica) non ha voluto far sconti a nessuno, né al ricco mondo della finanza, né a quello non meno astioso della sinagoga né tanto meno a quello della politica (alcune scene si svolgono nella Knesset, a Gerusalemme). La storia, i personaggi gli servono per raccontare quel mondo identitario ma anche aspirazionale e insieme totalitario — l’universo dell’ebraitudine — che tutto pensano di conoscere e che forse nessuno, nemmeno gli stessi interessati, conoscono veramente e che l’«incredibile vita» di Norman racconta con sensibilità e originalità.

(Ri)flessioni ca(n)ute sulla società “losca” di oggi, ossessionata dal s(ucc)esso


26 Sep

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Sì, sto sdilinquendo laddove mi po(r)ta il cuore e non mi curo dal vizio di scrivere le parole fra parentesi, per dar doppio significato alla parola stessa. È un vezzo che ho così come Lynch ha quello di usare Kyle MacLachlan in doppia, anche tripla funzione. Anche finzione. Mi serve per moltiplicare il senso dell’esistenza e per accendermi in passioni che possano sviscerarmi in più par(e)ti di me. Sono l’incarnazione della Loggia Nera, la Shery Lee mai morta, lo sceriffo della cittadina peccaminosa che conosce ogni segreto vostro e mio. E non mi pento della mia stella di latta e anche di bere il latte nella stalla, ove mi reco, ah ah, quando le vacche non vengon (m)unte dai vostri “esimi” stalloni. Da quelle non esimetevi, ah ah.

Sì, molte prospettive mi si aprono ma poche, anzi nessuna, ne “imbecco”. Essendo scrittore di (ca)risma, potrei aprire una “gelateria” di tutte le opere del mondo, ma non avrei il tempo per archiviarle tutte e mi smarrirei nel marasma davvero asmatico del sanguinar ematico e non verso gli altri autori empatico. Sì, una gelateria per leccate di culo? No, no.

Sì, gli spazi letterari li lascio a chi ha la pazienza, la costanza, la precisione di star ogni giorno a leggersi anche libri di dubbio gusto, perfino sgrammaticati, ortograficamente inaccettabili, e poi, per dover di cronaca, doverli “recensire” in maniera decorosa, attribuendo meriti che non meritano. Sì, alcuni di questi siti vengono gestiti in realtà da donne che vogliono solo maritarsi ed, entrando in empatia, con qualche sconosciuto “brillante”, sperano d’instaurare rapporti “collaborativi” di reciproca stima e amore incondizionato verso lo pseudo artista di turno. Ah ah. Ma va…

Così, preferisco rintanarmi nella poesia mia ermetica, agghiacciato da una realtà spettrale piena di ospedali, di gente che sta male e soffre pene dell’inferno. Pene che le donne vogliono, ah ah, e uomini che si concedono con insospettata “apertura mentale”, sì, tutta la settimana si nascondono dietro un fin(to) perbenismo da persone “eccezionali”, quindi quando scende la notte del sabato sera si muovono in territori “erogeni” da veri cani bastonati. Eh sì, sono sadomasochisti e adorano, dopo la frustrazione settimanale, le frust(r)ate del weekend “brioso”, lussurioso, io direi lussato.

Passeggio disincantato in questa vostra realtà scatenata, e osservo un culo incantevole di una cagna che m’inganna. Potrei fumar una canna ma prediligo i cannoli. Mi fanno ingrassare e non riuscirei ad andar da atleta in canoa ma sono esteta delle donne come il Canova. E “crosso” le mie palle come Antonio Candreva. Ah ah.

Sì, non dovete dar retta a tutte le cazzate che sparo. Son uomo che sa prenderla appunto a cu(cu)lo e non si vergogna di esser sé stes(s)o laddove invece molti si affaticano in lavori “stimabili”.

Oggi, siamo invasi dai notiziari. Ma sono notizie date con la fretta di darle. E ne danno così tante che perfino le più grandi pornoattrici non riescono a tenere il conto di questi scop(pi)ati dalle ovvietà.

Tutti son tuttologi, e vogliono “eccellere” in qualcosa per distinguersi. Così si dan da fare con una generosità che ha perduto, invero vi dico, la bellezza dell’attimo. Che non sanno gustare, non sanno neanche “deflorare”, sanno solo spendere per far liste della spesa. Una spesa talmente spessa che pare comunque mai li spossi. E son anche sposati. Che “energie!”. Veri uomini al carboidrato della loro disidratazione affettiva.

Sì, invece io son stanco, sempre, e dormo anche il pomeriggio per poi andar a bere un caffè. Un caffè onesto, un caffè che ama l’aroma dei vostri fe(ga)ti fetidi, un caffè che va giù e dopo ci sta il tiramisù. Con tanto di babà in faccia a te.

di Stefano Faloticosp10-1

Io bel(l)o da solo, e De Niro assomiglia sempre più a Bukowski


26 Sep

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Duro? No, sono fragile, mi creda. Ed è la certezza della mia fragilità che mi porta a sottrarmi ai legami. Se mi abbandono, se mi lascio catturare, sono perduto.

(Charles Bukowski)

Sì, più passa il tempo e più divento compassato. Alle scuole medie però usavo il compasso e avevo un’espressione impassibile anche quando le ragazze mi provocavano in modo impossibile. Oggi son un uomo rude, nudo e crudo, passivo, forse sorpassato ma non vivo solo di ricordi del mio remoto passato. Ancora non sono trapassato e spero di “trapanare” finché mi dura questa scorza da “duro”. A morire, come Bruce Willis, infatti il mio cranio si sta spelando e del mio lupo spelacchiato vivo in armoniche inquietudini che mi rendono gustoso come la pasta con la ricotta. Non sono ricco, anzi, campo a stento, tirando a Campari quando vado al bar. Sì, sono un uomo anomalo, d’indubbio fascino e pancia che, a vista d’occhio, sta crescendo per il numero di piadine col prosciutto che, alle prime ore del mattino, lascio che si sciolgano “tristi” nel mio stomaco già ribollente di rabbie come un cappuccino con troppa schiuma. Sì, ne schiumo e trangugio amarezze d’apatia che si lascia poi andare, repentina, a voglie “inusitate”, perché apro Facebook e scorro, di mano liscia, donne appetitose che “leccano” i miei desideri celati, gelanti, da uomo che non teme di confessare le sue masturbazioni “gioviali”, guascone, libere da chicchessia e soprattutto dalle reprimende della cattolica Chiesa. Con far così “scostumato”, profumante di un’integrità “morale” davvero “elevata” al pari del mio “elevarlo”, con purezza ambigua, di buona lena mi “accanisco” anche su Antonella Boralevi, donna attempata ma che sa “temprarlo” grazie alle parole piccanti che sciorina fra un accavallamento e l’altro. Così mi “alleno”. Invero, mento, perché da tempo la mia libido ha subito un calo parimenti proporzionale al fisico di Schwarzenegger, che un tempo era pompato “a dovere”, e adesso “cola” a picco, credo, anche di erezioni che rimpiangono l’Atto di forza che fu.

Ero, anni fa, uno Stallone italiano, come Sylvester, e invece oggi sono un gatto Silvestro che non si fa la doccia col Pino Silvestre. Da adolescente, ero campione di corsa campestre, oggi sfoglio le ginestre, “spiandole” dalla finestra. Meglio una pizza Margherita! Sì, con arditezza incommensurabile, ammetto che il mio uomo sia decaduto ma, “tenetelo” a mente, donne, che vorreste “tenermelo” anche altrove, non son ancor deceduto eppur alle facili lusinghe non cedo. Non nelle vostre lingue cado.

Preferisco la solitudine ché sa “attizzarmi” in spazi sconfinati di poesia e fantasia. Cosa me ne faccio di una donna che vorrebbe sempre farmi, e soprattutto vorrebbe che mi dessi da fare, quando posso scoparmi un libro? Ditemelo, dai dai, non datemela! E immergermi nel piacere inequivocabile, non “equino”, care cavalle, della lettura. Le parole così s’intrecciano voraci nel mio cervello insaziabile e alimentano le ore lontane dalle orge.

Annoto sul mio diario di “brodo” che De Niro è ancora gorgeous e sta assumendo la fisionomia barbuta e anche “barbonesca” di Bukowski.

Dio vi benedica, Dio, che sono io, sa…

di Stefano Faloticode niro01083206

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