Salve, sono Gambardella. In questo pullulare pusillanime di scribacchini che vogliono “vergare” pagine “sudate” di passione, ove imperano le sfumature di grigio, anch’io voglio cimentarmi in un racconto “piccante”, dunque peccante, perché ricordiamolo viviamo nel Paese dei moralisti e dei benpensanti, quando è invece al “pen” pen(s)are che dovremmo darci. Voglion votare i grillini ma è ai femminili grilletti che dovrebbero “innalzarlo”. Spassionatamente, con un po’ di malincuore e giusta serenità antitetica a questo sentimento malinconico ch’è la mia notevole pigrizia, posso ammettere, anche se vorrei solo “metterlo”, che, nonostante le mie mille mortificazioni patite e il mio ego un po’ partito, nessuno è riuscito ad abbattere il mio senso gioviale, affabile, (dis)umano nei riguardi della vita. Sapete… tentativi ostracizzanti di volermi annettere alla comune massa volgarotta, e cercarono di “castigarmi” in un lavoretto all’insegna della demagogia più spicciola per “curarmi” dal mio invero innato bisogno di creatività, di sapidità euforica del mio animo sguinzagliante tra la foll(i)a. Così, per qualche tempo immemorabile m’addolorai e, “pun(i)to”, quasi mi convinsi che avessero ragione. Ma io sono appunto anima libera, che canta fuori dal cor(p)o, e vive di sue estasi esistenziali al di là delle mer(l)e esistenze “pie” e conservatrici di “valori” fasulli e fallimentari come la filigrana di uno zingaro proprio falsario. No, non mi avranno, e (r)esisterò in un altro(ve) tutto personale, “baionettando” di libri appunto liberi, di miei momenti estemporaneamente metafisici, addentrandomi nelle braci viscerali del tenebroso mio “stronzo” a cuor aperto. Sì, con questa frase son stato ermetico, ma fa parte del mio (t)essere. Ah, son tutti alla mediocrità tesserati e si plastificano in vite odoranti solo il dio denaro, per lo squallido compromesso dell’accettabilità sociale. Dio me ne scampi dalle socialità e da questi sorrisi ipocriti che pretendono tu ti conformi all’idiozia generale per un esasperante buonismo che in verità, vi dico, scontenta tutti. Allorché, fra i miei polmoni innaffiati di gaudio, anche se taluni ignoranti mi piglian per “gaio”, scrivo di quest’avventura trasognata, fantasticata, del mio uccello fanatica.
Ella stava seduta sul divanetto di una sauna, no, sala d’aspetto e, pettoralmente, mostrava il suo basculante balconcino mobile, lustrandosi le gambe carezzevolmente con le sue mani delicate da signora poco angelicata. In quell’accavallamento di ormoni, “rinvenni” le sue cosce muscolari, già pronte a “prostrarsi” al mio “coso” (t)irato. Mi avvicinai in modo felpato, infatti indossavo un felpino, e felino adocchiai le sue movenze felliniane. Donna di grandi curve abbondanti, su cui Valentino Rossi avrebbe “disegnato” le sue giravolte rallistiche, sgommando a velocità “liscia” delle sue “gomme” pneumaticamente dense di corpi cavernosi enfiati, dilatatisi nell’acceleratore forse di un’eiaculazione precoce. Sì, di lì a po(r)co l’avrei “oliata”, nel seder inchiappettata di mio “gusto”, e sarei “ribollito” così come l’aroma del caffè “vien su” mentre “lo” mandi giù. Ella stette al “giogo” e, cavalcandomi “a singhiozzi”, ebbe il suo “duro” affare, no, da fare, mentre io me la facevo di tutto gel e poco gelo. Scaldandola, ebbi maniera di “pittarle” il mio “amore”, circumnavigando la sua pelle di profonda gola “schitarrante”, forse solo di colpi di tosse scatarranti per via del “fallo” che mi (re)spingeva poc’ardimentosa ma via via comunque più carnosa.
Poi, andammo a mangiare una pizza a Canosa. E parlammo delle “imprese” del Canova, gustando un siciliano cannolo mentre dei ragazzi vergini si fumavan le canne.
Ah sì, il Festival di Cannes.
Ricordate: forse non sono intellettuale di spicco ma di “spacco”, sicuramente di “sticchio”.
Non sono distinto ma d’istinto e lì dentro “la” tingo. Non canto Tenco ma un po’ triste mi mantengo.
Ora, balliamo il tango, e poi ti toglierai, ti toglierei il tanga.
di Stefano Falotico
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