Molti non l’hanno già capito, lo snobbano e lo liquidano con frasi superficiali. Impera in loro non l’Inland Empire bensì la “critica” che non sa guardare oltre il proprio naso. Lynch ne possiede uno di cartilagine sinuosa nei fotogrammi liquidi della sua maestosità e se ne frega bellamente, fregiandosi a settant’anni suonati del suo ciuffo alla Elvis Presley, come docet il suo Sailor di Cuore selvaggio. Stamane, al primo fiorir allegro e melanconico al contempo di una nuova giornata tediosa, mi balzò “in capo” di scrivere un libro lynchiano, ma poi mi ricordai che già ne scrissi e altri ne verranno, ma voi invece non addivenite al suo perfetto scrigno delle meraviglie. Al che i suoi (sob)balzi temporali vi paiono solo tristi giochi mentali e qualcuno addirittura, in preda alla follia di massa(ia), sostiene che Lynch sia un malato nel cervello. Lo denigra, in maniera pusillanime gli affibbia etichette distorcenti il suo genio, sibillino, metafisico, ALTRO, come si confà anche al Falotico che sono io, non so se Dio, sicuramente un fantasma di Bob delle elucubrazioni, dei viaggi mesmerici della coscienza, un uomo dalla faccia rugosa, precocemente invecchiato, che passeggia nei suoi neuroni e fa della “suspense” cervellotica un qualcosa in più in tale squal(lid)o mondo. Io sono come Lynch e me ne crogiolo, ordinando un altro caffè al bar mentre la schiuma dei miei pensieri volteggia come latte morbido, “indigesto” per chi non può comprenderlo. Me e Lynch vorrebbero relegarci alla banalità degli schemi preconfezionati, ma noi siamo vendibili solo al banco dell’oreficeria più raffinata. Con questo mi congedo e a Lynch tutto concedo. Anche di essere indubbiamente joker e “matto”, perché va bene così. E voi che lo criticate finitela di stronzeggiare. Al pub “Bang Bang” troverete forse una squinzia che ve la darà “liscia”, ma sarà una vostra vita di merda. Diciamocela “tutta”.
di Stefano Falotico
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