Nel 1998 quattro vecchi ex piloti collaudatori infinocchiano la NASA e, con due “riserve”, si fanno mandare in orbita a riparare un satellite russo di telecomunicazioni, in realtà carico di sei testate nucleari. Per salvare la Terra e i compagni, Hawk, uno dei quattro, porta il satellite verso la Luna. Gli altri ritornano su uno Shuttle avariato che il vecchio Frank fa atterrare pilotandolo a mano. Sul classico tema della “seconda occasione”, cimentandosi in un genere per lui nuovo, il settantenne regista-produttore C. Eastwood pilota ammirevolmente un altro film con l’abituale understatement, mescolando con sapiente leggerezza i toni, dall’umoristico al drammatico. Coerente con la sua concezione artigianale del cinema, ricorre agli effetti speciali subordinandoli al racconto e rivendicando la centralità delle doti umane (manualità, intuito, libertà di scelta) contro la supremazia della tecnologia. Melanconico e genialmente retorico epilogo lunare nel nome dell’amicizia in cui “Hawk vi si è riappacificato col suo destino, dopo un’attesa durata quaranta anni.” (A. Piccardi). Scritto da Ken Kaufman e Howard Klausner.
Tratto dal dizionario Morandini, deceduto forse sul Pianeta Rosso.
Con (pensiona)bile non so cos(ci)a, rammento la mia vita da trapassato e coniugo il futuro prossimo a memoria delle mie or(g)e già scadute, probabilmente non ancor “venute”. Da capitan di ventura del mio uccello, no, vascello, debbo ammettere che, alla mia placida, tormentata età di 36 anni suonati, non ho trombato molto, ma mi trombarono, metaforicamente, nel for(n)o della mia melanconia, facendomi tutt’or pa(r)tire.
Io subordino la vita reale alla grottesca danza “senile” d’una gioventù, appunto, ancora da (s)venire e rimembro Antonio Conte che perse la semifinale con la Francia ai rigori con la Germania, mentre Luca Carboni ha approntato due versioni della sua “Happy”, una in cui celebra il Calcio nazionalistico, dandolo in pasto al popolo, un’altra in cui afferma di contraltare di detestare i confini nazionali. Una contraddizione bolognese tutta sua.
Ma non me ne dolgo e misuro a (di)letto le doghe della mia periferia. Poche fighe vedon le mie ossa eppur mi (ri)poso. Poca carne al fuoco! Non avrò mai una (s)posa e questa è “bacata”, bella poesia. Così sia, io non son il messia ma che dice del mio pisello sua signor(i)a? Non ne vuole e allora sì che duole.
Cosa? Clint Eastwood (non) le dosa e sa quando volar sul nido del cu(cu)lo e del satellite nostro amico, cioè il mio man on the moon.
Questa dicasi stronzata da rincoglionito eppur è un coglione che ne ha due come Tommy Lee Jones.
di Stefano Falotico
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