No, non è una provocazione. In qualche “mo(n)do”, lo penso davvero. Questa proliferazione dipost(er) assomiglia ai gridi munchiani di “Io esisto e voglio condividere il mio (non) gusto con te!”.
Quindi, ti mostro i miei “preferiti”. Sempre, ripetuti, reiterati, insistenti, “deficienti”.
Ora, è un discorso complesso che ha origini laddove le connessioni internettiane, che in Italia fra l’altro “celebrano” il trentennale proprio oggi, si “svolgevano” col modem 54k e bisognava prima staccare la presa telefonica per “collegarsi” alla rete, prima insomma dell’ADSL, del Wi-Fi, di amenità “sconce” del genere degenerate, insomma, di questa (de)generazione.
Assisto impotente a un trionfalismo di eroi dell’infanzia che spuntano sovementemente, anzi, che dico, prepotentemente perenni nell’idolatrare proprio il “mito” che si scelse a “modello” di quell’età mai evolutasi.
Sì, un tizio condivide ogni giorno, a ogni ora, tranne pause momentanee lavorative, (s)fortunata-mente, i post di Sylvester Stallone che si allena in Rocky tutta la saga. Brindando al suo idolo, appunto, che gli scaccia i pensieri di una vita, ahimé (non) duole dirlo, che credo sia fustigante e priva di vera autonomia felice. Sì, certa gente cerca nel calcio la panacea ai propri mali esistenziali, altri trovano nell’iconcina la pace estemporanea delle loro frustrazioni quotidiane. E allora Sly Stallone diventa il proletario “tosto” e dal sorriso “rassicurante” che li mette tranquilli, della serie “anche il proletariato ha il suo sindacalista muscoloso”.
Quindi, ecco spu(n)tare Al Pacino nel Padrino, perché uno si crede un “boss” e fa del suo malessere un’apparenza da “malavitoso” e “macho”. Capirai che paura.
Alcuni in chat ti rispondono come DiCaprio di Django Unchained, “Avevate la mia curiosità, ma ora avete la mia attenzione”, quando volevi chiedere loro soltano un “Come stai?”.
Insomma, “liofilizzano” frasi e video di film storici e/o memorabili per “robotizzarsi” nella banalità freddissima d’un veder(ci) “telematici”, facebookiani appunto, triste e decadente.
Vuoi vedere che La foresta dei sogni non è poi così brutto come “questi” dicono?
Diamo(ci) una speranza, andiamo al cinema.
di Stefano Falotico
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