E allora, sì, stanziamoci, eh eh, esaltiamoci. Correggo, però, qualche refusetto che è sfuggito al suo autore.
Joy ***
Terza collaborazione tra David O.Russell e Jennifer Lawrence, dopo i successi de Il lato positivo e American Hustle, Joy rappresenta la consacrazione definitiva della sua protagonista, alle prese con un racconto che ha nella vera storia dell’imprenditrice Joy Mangano le sue radici realistiche e nella magia delle fiabe, il suo costante controcampo drammatico.
David O.Russell ha scritto, come sempre, anche la sceneggiatura, a partire da una storia sua e di Annie Mumolo, che lascia sullo sfondo il cliché della storia vera e della parabola capitalistica del self made (wo)man, per seguire la sua protagonista nel lungo viaggio verso l’emancipazione da una famiglia disfunzionale e crudele, alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Il nuovo film sembra chiudere una sorta di ideale trilogia, cominciata con The Fighter e proseguita con Il lato positivo, che il regista ha dedicato alla famiglia, alla forza malsana dei suoi legami ed alle sue costrizioni.
Ancor più che nei film precedenti, in Joy è evidente la natura castrante dei rapporti parentali, tra fallimenti, invidie, gelosie e infelicità. Ed è forse questo ritratto agrodolce di madri e padri disamorati e anaffettivi, a colpire di più, nel contesto di un racconto che deve molto anche al mito di Cenerentola.
Joy vive in una casa affollatissima: oltre ai suoi tre figli, ci sono la madre Terry che, dopo il divorzio, passa le sue lunghe giornate sdraiata sul letto a guardare una infinita soap opera, il padre Rudy, cacciato di casa dalla sua nuova compagna e costretto a riparare nel seminterrato, che condivide con il marito di Joy, Tony, che ha aspirazioni artistiche e che, nonostante la separazione, continua a rimanere per la protagonista un amico fedele e lungimirante.
Ci sono poi la sorellastra Peggy, livida e invidiosa del suo talento, e la nonna Mimi, l’unica capace di indirizzare la protagonista e di darle un supporto nei momenti più difficili.
Quando il film si apre, Joy lavora per una compagni aerea allo sportello reclami, ma la sua posizione lavorativa è piuttosto fragile. Dopo la separazione dei suoi genitori ha dovuto rinunciare all’Università, per prendersi cura della solitudine della madre e degli affari del padre, che gestisce, assieme all’altra figlia Peggy.
Joy ha sempre avuto la passione per gli oggetti e per le invenzioni e nonostante le continue vessazioni familiari, decide di chiedere alla nuova compagna del padre, l’italo-americana Trudy, un finanziamento per produrre la sua ultima creazione: un mocio che si strizza da solo e che ha la testa, fatta da un unico filo di 40 metri di cotone, staccabile e lavabile in lavatrice.
L’idea è buona, ma riuscire ad entrare in mercato così grande e competitivo senza alcuna esperienza è un’impresa che sembra sempre troppo grande per coloro che vivono con Joy.
Gli unici che la spronano e la sostengono davvero sono l’ex marito Tony, la nonna Mimi e Neil Walker, il direttore del canale QVC, una tv via cavo dedicata esclusivamente alle vendite telefoniche.
Il film di Russell è avvolto in un’aura magica, che lo trasporta in un tempo indefinito nel quale la vera storia di Joy Mangano e del suo miracle mop è solo un pretesto per raccontare la ricerca della propria identità, lontana dalla fallimentare eredità familiare.
Come sempre il regista pedina i suoi attori, grazie ad una macchina da presa mobilissima, in continuo movimento, capace di assecondare la bravura dei suoi interpreti, esaltandone il naturalismo interpretativo.
Il film segue l’altalena emotiva della sua protagonista, in costante equilibrio tra successo e fallimento, ma sempre sorretta da una determinazione, che trova sovente nella disperazione e nello sconforto le radici per il proprio riscatto.
Lo stile di Russell favorisce i racconti corali e riesce sempre a mettere in luce il talento dei suoi interpreti ma, questa volta, la presenza magnetica di Jennifer Lawrence catalizza ogni attenzione. L’ancora giovanissima attrice è davvero l’ultima grande diva della lunga tradizione hollywoodiana, capace di essere al contempo inarrivabile e democratica, regale e ordinaria, perfetta quasi per ogni ruolo.
Anche questa volta, pur essendo probabilmente troppo giovane, per la parte che Russell le ha affidato – una madre single piegata dalle durezze della vita – il suo talento cristallino è capace di revocare qualsiasi dubbio in pochissimi minuti: il ruolo di moderna Cenerentola le cade addosso come un vestito su misura e ne esalta il carattere e la feroce determinazione.
Come ha scritto Tony Scott sul New York Times, la Lawrence è quel tipo di attrice, capace di confinare gli altri co-protagonisti al ruolo di caratteristi, se non di comparse.
Ne Il lato positivo era l’unica a tenere testa ad un gigante come Robert De Niro, in American Hustle, pur in un ruolo minore, rubava la scena a tutti, qui Russell le cuce addosso un personaggio memorabile, che guida, con consapevolezza da attrice consumata, tutti gli altri bravissimi interpreti, dalla nonna Diane Ladd alla madre Virginia Madsen, dal padre Robert De Niro ai due uomini della sua vita, il marito Edgar Ramirez e il direttore Bradley Cooper: tutti straordinariamente in parte, tutti assolutamente perfetti, illuminati dal carisma e dalla generosità della Lawrence.
Pur talvolta un po’ squilibrato nelle sue scelte drammatiche, il film di David O.Russell è ammirevole per generosità e onestà nella messa in scena e appare come uno dei più riusciti della sua carriera, una sinfonia familiare, nella quale emerge prepotente la ricerca di sè e la volontà di non arrendersi mai.
Così come in The Fighter, il ring più difficile è sempre quello della vita.
di Marco Albanese
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