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Una giornalista ha provato a rispondere a una domanda che si fanno molti appassionati di cinema: perché un attore leggendario fa ormai solo film brutti?
Negli ultimi anni diversi critici cinematografici ed esperti di cinema hanno provato a chiedersi cosa sia successo a Robert De Niro, 72enne leggendario attore americano celebre per i suoi ruoli, tra gli altri, in Taxi Driver, C’era una volta in America e Toro scatenato degli anni Settanta e Ottanta, ma che negli ultimi anni sembra aver recitato quasi soltanto in film mediocri con ruoli altrettanto mediocri. In un lungo articolo pubblicato su BuzzFeed, la giornalista Anne Helen Petersen ha preso in considerazione le principali critiche che vengono rivolte a De Niro dai suoi estimatori della prima ora e ha provato a dare qualche risposta su cosa sia successo a un attore la cui immagina pubblica è oggi in bilico tra quella di “grande attore” e quella di “grande attore che ha già dato il meglio di sé”.
Dal 2011 al 2015 De Niro ha recitato in 15 film. Uno solo di questi è stato un successo di pubblico e di critica: Il lato positivo, in cui recitava la parte del padre di Bradley Cooper, con cui ha ottenuto anche una nomination all’Oscar per il miglior attore non protagonista. Escludendo qualche altro film di buon successo commerciale – The Intern, Last Vegas – il resto dei film in cui De Niro ha recitato in questi anni sono tutti piuttosto dimenticabili, e hanno avuto scarsissimo successo. Petersen fa l’esempio di Motel – un film del 2014 in cui De Niro recita la parte di un boss mafioso – che ha incassato appena 56mila dollari nei cinema di tutto il mondo e ha avuto un’unica recensione positiva sui giornali, oppure di Killing Season, un thriller con John Travolta che ha ottenuto recensioni ancora peggiori e incassato meno di Motel negli Stati Uniti (i dati sulle proiezioni all’estero non sono disponibili).
Nelle varie classifiche dei peggiori film di De Niro pubblicate online, vengono citati spesso anche Disastro a Hollywood, una commedia satirica mal riuscita del 2008; Red Lights, un thriller fantascientifico del 2012, e l’intera serie incentrata sulla famiglia Fockers (quella di Ti presento i miei).
Petersen fa notare che il fatto che ultimamente De Niro faccia solo film “leggeri” sia ormai dato per scontato, tanto che persino la campagna promozionale per il suo nuovo film – Dirty Grandpa: una commedia che parla di sesso, con Zac Efron – ci scherza su.
Petersen non è la prima a fare una riflessione sugli ultimi film di De Niro. Negli anni scorsi il critico cinematografico del Guardian ha intitolato un articolo “Robert De Niro continua a fare film pessimi”, e più di recente la critica del Los Angeles Times Betsy Sharkey ha indicato De Niro come esempio di attore la cui carriera sta invecchiando “male”. Petersen fa notare che la parabola di De Niro è stata paragonata a quella di Nicolas Cage o Liam Neeson, accusati di fare ormai quasi solo film brutti. Una prima spiegazione che si dà Petersen è che De Niro non ha iniziato a fare film poco apprezzati e di scarso successo solo negli ultimi anni. Scrive Petersen:
Alcuni fanno risalire l’inizio della “caduta” di De Niro al 2000, cioè a quando uscì “Ti presento i miei” e “Le avventure di “Rocky e Bullwinkle”. Ma già negli anni precedenti aveva fatto brutti film: “Amanti, primedonne” (1992), “Frankenstein di Mary Shelley” (1994, e fu un flop nonostante una grossa produzione), “Jacknife – Jack il coltello” (1989), “Angel Heart – Ascensore per l’inferno” (1987), “Innamorarsi” (1984), “Indiziato di reato” (1991). Persino “Re per una notte”, ora considerato un classico della sua collaborazione con Martin Scorsese, ottenne a stento 2,5 milioni di dollari di incassi e recensioni divise.
Petersen sottolinea inoltre che alcuni dei film più criticati di De Niro non si possono definire “brutti”, ma solo venuti male:
C’è una caratteristica comune nei cosiddetti “passi falsi” della sua carriera. Ingredienti giusti, una ricetta convincente, e un piatto insipido. Un regista che hai ammirato, attori con cui hai già lavorato, una sceneggiatura notevole. Risultato: film che suonano bene, ma che in realtà vengono male. Si può osservare nei flop più recenti di De Niro: “Disastro a Hollywood” per esempio, uscito nel 2008, aveva alla regia Barry Levinson (quello di “Rain Man”), e come protagonisti Sean Penn, Robin Wright, Catherine Keener e Stanley Tucci. La sceneggiatura era tratta da un’autobiografia di successo di un produttore di Hollywood. Ha ottenuto 6,7 milioni di dollari di incassi, la maggior parte fuori dagli Stati Uniti.
E poi ci sono anche i film brutti, certo: Petersen però critica il fatto che a un attore anziano venga consigliato di imitare altri colleghi anziani che hanno già smesso di recitare, e cioè di fatto imposto di «lasciare il proprio lavoro, e permettere che siano gli altri a pensare ciò che ritengono giusto di te e del tuo lavoro». De Niro stesso, fra l’altro, ha detto in una intervista data al Wall Street Journal nel 2012 che «il tempo è prezioso. Devo fare tutti i film che voglio fare», sottintendendo che nessuno lo sta obbligando a lavorare. Conclude Petersen:
«Prendersela per le scelte di carriera di un attore non conoscendo le ragioni delle sue scelte, in ultima istanza, dice di più sulla fragilità dei nostri gusti – e, per estensione, sul nostro pensiero – e descrive l’importanza che attribuiamo alla reputazione di un attore famoso. Forse “mi piace un sacco Robert De Niro” non esprime più la stessa virilità di quando veniva detto trent’anni fa. Ma “odio quello che Robert De Niro ha fatto alla sua carriera” mostra solo quel tipo di intransigenza che accompagna i peggiori gusti. Farsi piacere De Niro nel 2016 significa fregarsene di quello che la gente pensa di te e dei tuoi gusti. Cosa che De Niro, grandiosamente, ha deciso di fare in prima persona».
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