Affiggo qui la lucida analisi del meraviglioso Anton Giulio Onofri, in memoria giusta e non sopravvalutata del maestro orrori-fico, a (dis)petto di altre messe da requiem false.
Certo, è sempre un dolore registrare la morte di qualcuno che ha lasciato un segno forte sul candido schermo del Cinema: i graffi delle protesi affilate di Freddy Krueger ricordano i tagli sulla tela di Lucio Fontana; ciò nonostante non me la sento di dire, come molti under 35 qui in rete (esclusi i fanatici del genere di ogni età, i quali notoriamente non possiedono, in quanto fans, un oggettivo e ponderato senso della misura), che con Wes Craven se ne è andato un grande, o addirittura un genio. Un mestierante eccellente, troppo marchiato dagli anni 80 per sorpassare i talenti, più spontanei e sanguigni, di tanti altri nomi Horror del decennio precedente (uno su tutti: Sua Maestà John Carpenter, lui sì genio indiscutibile e di ben altro spessore), Craven ha senza dubbio il merito di aver avvicinato al Cinema di genere le nuove generazioni di spettatori cresciute davanti alla televisione, e perciò è giusto adeguatamente e degnamente ricordarlo e piangerlo nel triste giorno della sua scomparsa. Ma i genî sono altri. Sarà antipatico, ma è bene fare appello a un più rigoroso criterio di valutazione, non certo per piangere di più o di meno, ma per avere una dimensione più esatta del vuoto che rimane.
E io, in qualunquismo feroce, affermo che senza horror la vita è solo questa nota frase, da me coniata e inventata:
Molta gente è ipocrita. Credo che la società si possa racchiudere in un alla(r)gamento. Il ma(s)ch(i)o, raschiando, spesso rosica quando, in verità, io vi dico che piacevolmente vorrebbe leccar(glie)la, con sacrosanto saccarosio di lingua in lei altrettanto arrapata.
Credetemi, il resto è una fan(tasia).