Carmelo benizziamoci, uomini “benigni” che sbrodolate mielosi per la donna che, “leccante”, vi par(l)a il cul del vostro co(r)n(uto). Aveva ragion veduta Carmelo a shininghizzare il lavor’, “sghignazzando(lo), ché Kubrick sapeva quanto lavorar tutto il giorno rende Jack un triste figuro. Uomini “fighi” in (gi)acca e cravatta, siete ovattati nel mattino ha l’oro in bocca, e avete perso la fantasia labirintica dei bambinelli giocosi, siete oramai “(o)mici(di)” del vostro cagnolesco p(r)ender dalle labbra del “gentl” sesso che vi “lincia”, a sassate, ossessionandovi con la pagnotta per pene “dur(ature)” del fai “sem(pr)e” il tuo dover’.
Come Carmelo, sono un gen(io) e non oblitero il cartellino impiegatizio, non ho (bi)sogn(o) di entrar nei meccanismi incubatrici, che (in)cubo, carta-bollati del sis(te)ma sociale, terremotante e impedente-(in)dipendente la vostra libertà feconda, non gioconda di “gioghi”, eppur (in)castrata nel ma(ci)gno della catena di monta(ggio), ché farneticate di donne da sodomizzare e le prendete a “Calcio”, ossidandovi nel tribolato frust(r)arvi balistico di balle, ah, il pallone gonfiato, castigando l’uccellin’ spensierato del far quel che cazzo che vi piace. Volete esser “piacioni”, ma fatemi il piacere nel “popò”, come “sosteneva” Totò.
Nel falò delle mie vanità, non bevo “sborra” omologata e non poltrisco di birretta sul (di)vano, lustrando invece il mio fiero lettore dvd, comprato a poco (s)p(r)ezzo, gustando film d’ogni razza e religione, dalle americanate alle crude pellicole curde che, islamiche, irridon la vostra cur(i)a.
Poi, esco di ca(u)sa, recandomi in una gelateria ove succhio lo yogurt sciogliente del mio fe(ga)to (ri)bollente. Faccio sì, eh sì, che mi “permei” nel tubo digerente, assaggiando “esso” stes(s)o e (s)palmato la discesa nel vostro triste an(n)o. “Regredisco” a uno stato stupefacente d’infantilismo soddisfacente, senz’altri “stadi”, nel “me” (dis)facendomi del fatuo prender la vi(t)a così come (s)viene il f(l)a(u)to, fischiettandola allegramente con una van(itos)a fiaschetta non fi(ac)ca di vin’ nel dì del “darci” anche se le donne, qual danno, non me la daranno, poiché non ho danari e di “quello”, nel dire e il (non) fare c’è di mezzo il mare, son av(ar)o e sparviero del mio “usignolo” can(t)e(rino) fra voi, i basta(rdini). Siete da prender a bastonate, di b(r)isc(ol)a clandestina nel “rubamazzo” della “scopa”.
Sto scop(pi)ando!
E ancor scappo, senza vi(t)a di scampo(li).
di Stefano Falotico
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