Archive for April, 2015
La nona porca, no, The Ninth Gate
Io capisco solo di Cinema, mai servo ma cainiano alla Servillo in Sorrent(in)o che brinda al suo seguir il Corso d’una vita da nove porte, amante di Stefano… King, anche Prince
Nuoto in quest’umanità nello sfacelo, al freddo e al gelo non scendo dalle stelle, non (re)cedo, me “lo” recido, sto in un recinto, mannaggia a mia madre, di me rimasta incinta, bevo in una stalla, imitando talvolta Sly Stallone e Rock(y) nel pop d’una visione onirica dinanzi alla mentalità che mi fa orrore dei borghesi panzuti, ché il sistema non sistema, ti rende (dis)agio, s(c)isma e “scemo”, chi non raccoglie è colui che non ha seminato? Allora, il liquido seminale mi sarà “cast(razi)o(ne)”, me “lo” turlupino, inganno da cane scannato come un por(c)o, mi schiaccio il porro, so’ povero, mentecatto che odia le gatte, a pelo arruffato son “buffo” e sempre annoiato sbufferò contro chi di “pelli” e carne s’abbuffa. Faccio plof, non ho da insegnar dolce Nu(te)lla, mica, minchia, son un prof. di ‘sti cazzi, so’ cinico, arcigno, ti guardo appunto in cagnesco, e non “(fuori)esce”, sto (al) fresco, senza tresche o donne con le trecce, ché al Mulino Bianco ho sempre preferito le case stregate e gli stregoni ai consolatori Stregatti. Che meraviglia, mangio un’Alice e la vi(t)a è salata, “bimbo” in salamoia col mio “salame” sbudellato, Roger Rabbit senza conigliette, coniglione scappo e non scop(pi)o, miei consiglieri, vado lento, miei fraudolenti, non so’ bullo e neanche Bullet, adoro però Rourke Mickey, talvolta “mouse”, schiacciando sull’ergonomica, anche economica, tastiera del mio gusto, che taste, non ho tatto, “erettile” funziona meglio di tanti (s)mascherati rettili col mascara, che mascherate, che “maschi”, me “lo” raschio. Mi dà gusto mangiar la patata, come Castor Troy “la” prendo al vol(t)o, sparandone un’altra di “lingua” (in)compresa, sbavo per colpa delle “compresse”, deturpo la mia face/off ché, fra il bene e il male, ricordatevelo, vince sempre la mela, anche se hai il fis(i)co a pera… con un po’ di Viagra va comunque la banana, unico frutto dell’amore? No, mandatemi a morte, mollo… tutto, deglutisco le tagliatelle alla boscaiola e amputo il mio (g)orgoglio nello “spezzarlo” come Cristo nell’ultima ce(r)n(ier)a dell’eremita che vive sul Monte, uomo che (non) ha detto “Sì!”. Agli yes man, preferisco esser pollo al curry, basta con Jim Carrey, meglio Bugiardo bugiardo, e sfoglio il “bugiardino” del mio “sapor” della ciliegia, ché la torta è già in faccia di culo d’un “duro” che le “massaggia” come le millefoglie. Chiaro, son Kiarostami, ma dove s(t)o? Chi lo sa? Forse Moretti con la moglie mora, secondo lui Pacino è sempre più basso ma Al si è (cor)rotto nella sua City Hall e adesso, dal carcere, scrive le sue m(em)or(i)e per un avvocato del diavolo. Dategli da mangiare almeno un avocado. Soffre pure d’Insomnia e, mentre non dorme, legge “Il gioco di Gerald”, angosciato da paure primitive e irrazionali, come l’ombra dello scorpione del suo scarface, che (scara)faggio, mica come quella cantante che vuol ridurre tutto ad un giorno di Sole. Stava con Cremonini, “buon viaggio”, andrà a trovar la tigre di Cremona e Gianni Minà intervisterà Mina assieme al Conte Dracula. Offrendo ai “presenti” il non mor(t)o, ora è canuto e brizzolato, del nostalgico presente. Di mio, faccio ancora il presepe, credo in San Giuseppe, fumo la pipa? No, mi faccio le pippe su una della Madonna, dopo aver letto, nella mangiatoia e nel vivo mangiato, le avventure di Pippo. Gufi, non gufate, son Goofy, goffo, loffio, uffa. Ai cani, comunque prediligo i buo(n)i “cattivi”, e agli asini tua sorella, vacca boia, proprio bona.
Che c’entra questo col titolo del post? A forza di leggere, l’ho preso in quel post’, vedi che ci sta?, che vita da nerd di merda, ho aperto la porta del Paradiso della coscienza, rimango con poche cos(c)e e andrò “rizzo” all’inferno. Ce l’ho sempre “b(r)uc(i)ato”. I “bucati(ni)”. Gnam gnam. Che puzz(ol)a. Datemi dell’infermo ma state fermi con le mani.
Sì, non “menatevelo”. Dai, dai. Ai(uol)a.
di Stefano Falotico
Vi siete mai sentiti dei cani? O un Ca(rlo Verdo)ne?
Molte volte, nella mia vita da estremo “peccatore”, tal dubbio mi ha perseguitato e solo ora che, “canuto” giovincello gagliardo, mi appropinquo alla linea d’ombra adult(er)a, posso affermare, con (di)sprezzo, che da un pezzo mi son emancipato da tale condizione bastarda, urlando a me stes(s)o un lancinante, furibondo “Basta!”. Sì, furon sofferenze (da) cane, in un’adolescenza tritata, tribolata, macerata dalla mia incognita ché della mia (r)esistenza fu angosciata da perenni dilemmi nel camminar lemme lemme, con lo strozzato diaframma nella (ri)posata, spossante flemma. Catarsi, e l’adulto crebbe, “svezzatamente” viziato e ancor vizioso, ché l’ozio è sol il padre degli zii volgari da batt(ut)one nelle bettole, e rinnego gli amori tristi con le acerbe zie come Berta che filava di Rin(ghi)o (Gaet)ano, donnacce di brutta razz(i)a che fuman l’erba e ti radon al s(u)olo dopo averti consumato come delle usuraie del temp(e)rato maschio sulla “rampicante” di “laccio emostatico” del tuo “svilupparlo” da (s)fumato, ancor (non) figliol prodigo della Madonna, quasi drogato, sbronzo, “orso” spelacchiato, uomo non sapiens fino in fondo(schiena).
Ancor mi (sov)viene… se di “cor” spompato ricordo la prima (s)volta in cui me “lo” menai di mano a manetta. Fu sulla figlia di John Boorman in Excalibur, non “scalai” in “retromarcia” e andò (d)ritto a “sbattermi” nella sventola, come Pendragon del mio “draghino” sviscerato di “spada nella roccia” e di f(u)ori come in Un sacco bello. Da cui il detto e il “dato” del “butta fuori tutto quello che hai” e “crescerà” nel Borotalco. Periodo, “sappiatelo” e stappatelo”, di “purezza”, da “mani pulite” senza prender la “tangente” del volerle davvero carnalmente “tangere”, ah ah, che goduria, quei tanga dei tuoi 18 an(n)i son irripetibile (o)nanismo d’una età né carne, “appunt(it)o, né “pesce”. Poi, sarebbe “venuto” il cervello e poco l’uccello, cast(rat)o nel lavorar “duro”. Castigato e quasi sempre in casa, “uscendo” po(r)co nel desinarti un sabato sera maccheronico, nel senso di “facciamoci du’ spaghi” e forse impicchiamoci con “tensione” di cor(da). Non “verrà” più “didietro”, bisogna però guardar “avanti” e proprio nel “balconcino” da cui gettarsi giù, saltandosi “addosso” nella “cagona” che ti lascerà con un due di “picchio”. All’impiccato, sì, ho sempre preferito il “down” in picchiata. Datele delle botte, suvvia, è una bottana e non merita un sano marito, bensì il “martellino”.
Quanta malinconia, quanta noia, quante in bianco notti, mi consolo “suonandomelo” di assolo un po’ asino e poco di “ca(va)llo”. Vi do questo con(s)iglio, amici, “stringetemela”. È “bagnata”, lo so, facil(ment)e… eccitabile.
Non abbiate rabbia, non abbaiate, al buio siate ba(u)bau.
Un altro gir(in)o in macchina e prenderlo nel “posteriore”, preferibilmente “reclinabile” altrimenti non entra “a folle” ma a freno d’una “cintura” da metterla in cinta. Se è gaio, siate Gallo cedrone.
Di “mio”, sono un pastore tedesco, monaco ortodosso rimasto senz’ossa e senza “quel” muscolo, ma posso spos(s)sarmele, me “lo” (per)mette la mia “religione” da “manifesto” luteriano molto sul lombrosiano e quasi labradoriano.
“Dorato”. Di “carrozzeria ingabbiato…”. Meglio, forse, i gabbiani.
di Stefano Falotico
Quel bravo ragazzo, che mi ricordi, era un fan di Ray Liotta e andava sempre a mignotte sotto Bracc(i)o, così come Il padrino
Sì, festeggiarono i 25 anni di Goodfellas, e Liotta da padrone la fece.
Liotta piaceva sempre a un malfattore, era ed è il suo attore preferito, non ho mai capito tale affiliazione a tal pseudo-attore con le gote bolse e butterate. Insomma, uno dalla carriera andata molto a puttane, che non ne ha più azzeccata una.
Il tizio, invece, ancora le prende per il culo, ci sa fare, infatti è un fattone.
La vita, si sa, è questione di fatt(or)i(a) degli animali.
Il padre di tal porcello, ad esempio, si professava professore e amante del Teatro di Goldoni, ma era solo un godone.
Sposato a una Lorraine più racchia, la tradiva col coinquilino del secondo pene, no, volevo dire piano.
Ma non vi andava cauto, col suo vicinissimo si appartava in cantina, e lo facevano come delle cagnine, lui sfoderava anche i canini, sì, abbaiava al buio, latrava in quella latrina, ululava di oca giuliva, (st)rideva, digrignava, perfino lo azzannava, non solo inculava.
Insomma, gentaglia da metter in quel posto.
Li rivedrò in tribunale, non sono (un) pentito.
Se fossi un pentecostale, sarebbe Cape Fear.
di Stefano Falotico
Il gomito del tennista, (b)asta azz che (m)asti(n)o, che maschio del cazzo
Nella mia (s)figa, ho avvistato, ravvisato e (mal) visto molti pseudo uomini giocar con le racch(i)ette e pochi tirar fuori le palle di match point, credo sia arrivato il break–point ed è ora di un rovescio con colpi diretti di botte vincenti. Uomini, fate ace a queste acide. Voglio del vero tennis, del vero gomito, forza, masturbatevi!
di Stefano Falotico
Tokarev, recensione: recessione-regressione di Nic ad accensione-ascensione-(re)missione
Tokarev
L’amore incenerisce, l’amore prosciuga, l’affetto “letale” per i figli annienta, accende, propulsivo si fa “acerrima” vendetta, rage e revenge, furi(os)a indomita, cane “slabbrato” nelle emozioni scalfite, divelte, spappolate, (e)rotte, vulcanicamente risorte in (g)rido del viso canagliesco-cane del “neanderthaliano” Nic Cage ad apice di fervore ritorsivo, d’occhi suoi magnetici, glaciali, freddi come una scogliera asciutta in rivoli ribollenti d’una schiumosa forza combattiva nel risorgimento teutonico delle energie virili (dis)seppellite, ascia di guerra formato capigliatura “secca”, nervosa, tensiva del brivido di rabbia “pistolante”, avvolto in giacca “lurida”, “scuoiata”, che lo percote visceralmente, sanguigno e sanguinario, limpidamente violento, feroce come un b–movie “instant classic” da “taggare” subito all’interno e “interiora” della serie “rinomata” delle categorie di film, appunto, da “(re)legare” all’home video d’una Italia Uno e Mediaset smorzata nella prima, quasi seconda, sera(ta) pallida d’iridi nostre ancor incandescenti ad emozionarsi per nostalgici tuffi negli anni 80 in cui, forsennatamente, si produceva a iosa certa “roba(ccia)” ros(s)a.
Mi è piaciuto to die for questo Tokarev, titolo originale “stravolto” nel (com)mut(at)o Rage della versione originale americana, da noi rimasto (in)tatto della stranezza registica anacronistica di Paco Cabezas, direttore senza fronzoli che ha il (co)raggio, in tal “ciarpame d’autore” dei nostri radical–chic an(n)i contemporanei troppo “seriosi”, di confezionare un solido, robustissimo action “ingenuo” e geniale di spropositata “cattiveria”, parimenti proporzionale all’atto “bullistico” osceno commesso, “vomitato” da ragazzacci davvero “belli”, bruttissimi-bad senz’anima ma molto animali.
Succede per “voluttà godibile” di stronzi senza par(t)i, la tragedia e, allora, allo sc(i)occare del vandalismo omicida, scatta irruento il Cage irrefrenabile, iroso, appunto rossissimo, che s’incupisce nel terrore di ciò che abominevolmente è (ac)caduto e si addentra nei meandri del crimine da (ri)vendicare e “addentare”.
Lupo, (s)macchiato dal suo essere un ex egli stes(s)o criminale che sperava d’aver trovato la tranquilla pace domestica. Invece, il cane, “domestico” non è più, non può addomesticarsi ma grugnire, abbaiare, “rabbuiarsi”, “bua” d’un dolore incommensurabile, infoiarsi, lasciarsi scop(pi)are dal sé (ri)generato del suo cuore famelico di giustizia, si lascia travolgere e si “coinvolge”-(s)volge per una storia da mettere a posto di pareggiamento dei “cani”, dei con(t)i tra facce di culo, cuoio di capelli pettinati nel pelo contro pelo, i cattivi vuole impalare perché capire come si deve al mondo devono i poco doviziosi, non sta calmo e non vuole arrestarsi e nemmeno arrestarli, bensì “sbucciarli”, strabuzzato sbranarli, ammazzarli, starnazza, un guercio al s(u)olo stramazza, dilaniato dal Nic in formissima simil-Cuore selvaggio immerso nell’acido della sua affascinante stempiatura carismatica formato “roccia” dissol(u)ta.
Bang, fotti(ti), basta(rdo)! Spu(n)ta il verme, alt(r)o solitario fra i bass(ott)i, Nic avanza distrutto, nel fango, fra i “roiti”, i “rutti”, eruzione! Spara, spacca, furente agguanta, sfida di guanti di faccia di pelle fra i polli, scontro senza sconti di nervi, “innevate” emozioni tenute a bada or (ri)sorgenti d’ira. Irto, sgualcito, rovina(to) per i villain che non avevan, “villanissimi”, calcolato quanto può mordere il wild del suo heart, non demorder e farli, a sangue, morir’ d’urli d’arti attentati, stritolati, un “articolato” come un mulo, a romper il silenzio del muro. Urto, “unto”, “bisonte”, leone, gazzella imprendibile, la polizia non può farci nulla, fatteli, fatevela sotto(sopra).
E il semi-capolavoro, malinconico di quel che non può più (t)esser la tela dei ragni, è servito “cold”, caldissimo. Sono cazzi amari.
di Stefano Falotico