… Con cui si scontrerà di nuovo in (c)appello!
Le mie son le urla d’un “vagabondo”, d’un “immondo”, d’un disperato che, però, dirimpetto a tal uomini “in pectore”, non si scappella e non mangia i tortellini, oppure, se preferite, i cappelletti.
Di fronte a questa schifezza, la mia ira (s)tira…, cari (s)tiratori “scelti” della borghesia ruffiana, arraffate, colpite di buff(ett)i e spaparanzatevi davanti, e “didietro”, al mio buffet.
Ché di “patate” vi contornate, mi sfottete da tor(n)i perché son “cotonato”, sì, amo non aver contorni, cibandomi unicamente della mia metafisica “mentina” senza “(s)fighe” su (ca)pel(l)i elettrizzati. Che sfigato! Gridatemelo.
Queste mie parole danzan soavi nel vostro piatto “prelibato”, c’incontreremo di (s)cont(r)o, cari osti che con me non avevate fatto “pen” i conti, in tribuna(le) elettorale, ove mi eleggerete poco da “elegia” e non elogerete la mia “mal(att)ia” aleggiante.
Di mel(in)a mi turlupinerete ancora, saran sol, poco Sole, che SOLA e solitudine, evviva Sansone, psichiche turbe nel vostro insultarmi d’offese turbinose e deturpanti, metti il turbo, dai, furfante, ridammi il mio fantino, son Falotico di bizzarro e non mi rizzo per le tue (ra)gazze che sghignazzano, tutt’ora di rischio azzardo e il fondo del barile, che “bile”, raschio, “innalzandotelo” perché “meriti” il tuo esser bravo “marito(zzo)” di melassa e Balanzone di panza. Non te la do vi(n)ta di b(r)ava. Son il Bravo! Imbizzarrito, mi sbizzarrisco in tal mio stile bizantino, senza la tua retorica stra(va)cca(ta), oggi vivo a Bisanzio, domani, gotico, è già passato Marzo, mio “marzapane” di ros(s)e gote. Non m’intimidisco, ti “liscio” e di striscio non ti faccio lo struscio. Ti (s)turo da “duro”. Son gran presa pel cul’. Son la pena alle tue pen(n)e. All’arrabbiata, detesto, di tal “testata”, il tuo farti passar, di passere, per giornalista che se “le” spassa. Non mi passò, ecco il ripasso, t’accerchio di compass(at)o. Tu, abbasso! Evviva Campobasso, località ove tu non hai traslocato ma che, di (lo)culetto sempre tuo, fa rima con la legge dei “contrabassi”, sì, son “bassissimo” e non ascolto “The Cure”, cantanti oramai (sor)passati d’un oscuro, adolescenziale passato senza cur(i)a ché son “suon(at)o” come la banda Bassotti, vai di Léon(e), a(g)nello di Dio da “Giovanna d’Arco”, nel Cinema “Malavita” di B(r)esson.
Son Cose Nostre, meglio dei Pater Noster e della tua donnetta con le sue cosette e la tua cas(s)etta.
Son incazzato! A bestia! La Via Latte(a)! Di tua glassa, non togliermi le mie “tristi” galassie! Io son gelante di non esserti galante, non son grande di “glande”.
Battiato! Battuto! Sbattitene, evviva Battipaglia e il battiscopa di scientifico “scopone”.
Ti scop(r)o! Non ho alt(r)i scopi, son “piccolo” da miscroscop(p)io.
Eccomi, lupo contro i volponi!
di Stefano Falotico, firma assonanza di quasi rima baciata, mia incarnata stronza(ta)!
Meglio delle puttan(at)e!
(S)punta(mi)! Ecco che rispu(n)to!
Due punti, di virgola (o)metti(amo)!
Tags: Giovanna d’Arco, Léon, Luc Besson, Malavita