di Stefano Falotico
(R)esistenza mi provi, m’attanagli come una piovra, fuori sempre (s)piove… languida è la mia lacrima bagnata dal sen(s)o del peccato.
Slaccio la patta e ti “bagni”. Perdo in poesia, guadagno in ridente umorismo, mi auguro “leccato” al c(i)occo(lato) “affogato” in tue gote che a me non arridano di “malavoglia” ma di voglie (sp)orche, sciocca, dammi le “ciocche”. Sono un ciucciato, un caciucco, no, il caco no… Mi “stropicci” nel tovagliolo e “lo” asciugo, me lo hai rinsecchito come un’acciuga, reso strabico dalla figa umida che sei, spero tu presto lo s(t)ia, (s)tiramelo, (s)vengo, avventato vorrei entrar rovente, sin al ventre, della “tua” a ventosa a gambe(ro).
Strofinato… in te smaniosa di stuzzicarmelo… in “apnea” dell’orgasmo strafogato, soffocante. Ordiniamo degli strozzapreti?
Sì, ci proverò, mi piaci molto e non posso raffrenarmi né raffreddarmi, emani calore, sei un fuoco palpitante di crepitii erotici e fremo per possederti/li, scusa la mia eccessiva, troppo accesa, imperiosa focosità, appunto – “a punta” – a p(r)ugnetta, da gallo cotto, spero, a trapunta di un mio punto messo a se(g)no di tua (ri)cotta.
Dammi, “su”, dei pugni, “tirami-giù”. Scherzo, naturalmente, sei immondamente bella, cioè troppo sexy per questo mondaccio in-fame. Mia gallina, andresti arsa, non darti delle arie da “frigida”, non inaridirti, siimi a “duro” (t)orso, sfioralo al pom(pelm)o (s)premuto con uno sguardo puro e “pen” tenuto, ordino la tua “penna”, strizzamelo come un mandarino giammai sfiorito, invece so che i maschietti ti puntano e ti spu(n)tano, ti pungono e tu, giustamente, li punisci e (non) li strisci, che struscio. Un po’ di limone e va in bocca più lis(ci)o, ecco l’esca nelle tue pesche.
Non esser ingiusta con chi loda il tuo orologio Swatch ché i tuoi occhi ammiccano, vuoi “ammanicartelo” e io non posso volerti solo come amica.
“Abbracciatelo”, non far l’imbronciata, “prendilo” per il polso e le ore passeranno in tua passerina di uva passerona. Che (p)orco!
Invero, s’è squa(g)l(iat)o come fosse stato tagliato da un tuo inondante “vetro” da orca, io sono il lord(o)!
Me l’hai sciolto, che “pesce” piccolo.
Affogami di “braccialetto”, “nuotatelo” a bracciate.
Dinanzi alle tue iridi accecanti, abbacinato dalla tua rosea, florida bellezza fotografata mentre (s)posi in una dolce, lieta ce(r)n(ier)a così mangiante il mio capriccio a te offerto “riccioluto” tanto desiderante del voler con te desinare, che asino, subito ti voglio da (o)metto di un comune, stolto volgo, ah, le vongole, il mio davanti a te v(i)ola, arrossisco e perdo in eleganza, non son galante, sei magnifica, ti bacerei da capo(tavola) a piedi di un romantico feticismo bruciato, in quanto, reso da te gai(o), massacrato nella virilità vilipesa, mi prostro madido già amante, ma quali diamanti.
Non posso offrirti il pranzetto di manzo “al sangue” e per te, se ti “arrostissi”, scriverei mille (ro)manzi. Mangiatelo.
Debbo averti, voglio, voglio amarti.
Non sono matto, c’è il mare a Manhattan?
Non buttarmi via, “immergitelo”.
Fidati, son un uomo immane, anche in mare.
Hanks, branchie, Daryl, dai dai, a(h)ia, Hannah, ah ah!
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