Indagine sulla mia morte, il r(itr)atto di un artista di strada, dalla vita distratto, umanamente “ineccepibile”, probabilmente un vivente metafisico in mezzo ai mor(t)i, bevo, non da benevole, le b(i)on(d)e nel giovial San Francesco che parla al suo “uccello” e gli dà da ma(ngia)re… spaccandoti il braccio della morte… do lor(d)o botte!
Essi vivono!
La mia “fame” per la vita è “terribile”, da malaria, d’appestato, calpestatissimo, (im)modestamente (an)dato, d’offese inondatissimo, insultato in mo(n)do inusitato, abusato, picchiato, massacrato, sbertucciato, scheggiato, evitato e finanche da me stes(s)o “evirato”, amputato, slabbrato, odiato, “uccellato”, saccheggiato, bevuto, vivo mangiato, mannaggia, non mangio e tutti se “le” magnano mentre, dopo aver conquistato ogni re(gn)o di tal società infamona di ragni, non mi resta altro che (non) essere un av(ar)o, son in trappola, al tapp(et)o, Ave Maria e Padre nostro datemi il buon riposo, non son uno che sta in posa, vivo soltanto di fini prose e vera poesia, non mi sposerò con nessuna e a te, maschio, darò spin(tarell)e e non ros(s)e, la vita mi spossa, mi spacca, mi rompe, in poche parole e nessuna prole, sì, m’ha devastato il cazzo.
E ora ti sarò devastante!
Un senso insensato di me troppo assennato mi sta facendo andar fuori da tutti i sen(s)i logici. Sì, schivo le donne che mi voglion (ar)render schiavo, son delle “ciucciatrici” e non voglio “allacciarlo” a lor “allattanti”, alcune m’allettano ma non è, in fin dei “coiti”, un gran letto, non hanno dei didietro “affabili”, codeste, non destissime ma tardone, sono delle galline da coccodè, meglio me, il gallone mai tard(iv)o, affabulatore di fav(ol)a per il cazzo suo sveglissimo, da “Pifferaio magico” che fa schiantar tutte le top(p)e, (di)struggendole nel burro(ne), io, uccellin’ mi(g)ratore sempre desto e vado diritto, fantasioso-fanatico-fantoccio-non faccio nulla, vi(b)rante a v(i)olar sulle urlatrici e “urinatrici” pervertite, da invertito giusto, ridatemi il Paradiso di (in)g(i)usto, e dove sta Beatrice? Nietzsche che dice? Bo, ma quale Bologna, città di Asinelli e di donnette poco danti, meglio Zucchero e Dante sulla Garisenda rispetto a tal pendenti dalle labbra…, che Asinelli, somma-mente, in modo som(m)ar(i)o, son da prender a pedate, ma quali testate… giornalistiche, sbatti… il mostro nella sua “mo(st)ra” a pet(t)i in “f(i)ori”, meglio Mario e il mio “pennuto”, nido del cu(cu)lo in cui risiedo eppur mi voglion sedare, non sto seduto né sedato, vado rasserenato, e debbo, fortissimamente “volano”, volli… suonarvi la mia serenata nel seder mio da severo. Da tal umanità porcellesca, io son avulso, scevro da tutti i servi. E mi dovete servire! Io, “servendovelo”, non amo tal ma(ia)li da “assorbenti”. Te lo (a)stringono, (re)spingono, (st)tirano ma io son nato con la camicia ed estraggo la coniglietta dal cilindro, tutto dentro… striscia da serpente, “viscido” va di “liscio”, sul vel(lut)o son uomo fatto per ogni lupa (s)porca. Quindi, da volpe, bevo la “sborra”, “aromatizzandola” con del luppolo, imbiondandomi di… a tutte birre. Ma che sbavate? Sbevacchiate mentre io, fra tante (co)r(n)acchie, da becchino metto il “bocchino”, e tu, o(r)mone, non (o)metter’ il becco. Altrimenti, picc(hi)o! Vai azzittita, zietta, tu, zitella, beccati questa zoccoletta e basta coi buo(n)i(smi) da zollette! Vai ad arare e lavoratelo/a.
Amor, non esi(s)ti, f(o)u, fotti(ti), zoccola. “Inzollatela” e poi recati, ma quale uomo di Recanati, leopardate, non meritate Leopardi, a far dei “girini” a zonzo, lasciando il marchio da Zorro. Zotica, che cazzo vuoi? Beccatelo e sta zitta! Un altro segno, vado… se(g)nato.
Ecco la “sberla” del mio bel ribelle, io di pelo, io di “palle” nel concimarmi fra le comari. Guarda Omar quant’è bello, ispira tanto “sentimento!”. Nessuna inseminazione, evviva il mio Totò a “darvele” nel popò.
Evviva Pomarico, paese di uomini contadini molto amari, tutti a mostrar le chiappe chiare a Metaponto, località balneare di putrida maretta e di cassa-integrati disintegrati (a)socialmente, che “Sole”, che sola, che soli, tutti a cantar, di vasche da viali, le canzoni di quel viados di Rossi Vasco, ma quale chiara come l’alba! Si chiama siccità di star all’“asciutto”, non arriva mai l’acqua e, alla gol(os)a, puntan gli “appuntati” nel “venerarle” il culetto solido da “stella” di “latte”. Tutti “sceriffi”, ma che brutti ceff(on)i. Le donne ingrassan come delle vacche, quelli al bar svaccano, e allor evviva io, uomo che bivacca e se “la” beve a tracolla.
Questo si chiama tracollo, non saltatemi al “colon”. Il mio fe(ga)to è già un “fottio” di troppe prese per il culo, basta (s)fottere. Non bucherellatemi, (b)ricconi, son ubriaco di “viltà”, che (s)figa, ma vai a darlo via da “cazzo” di vita di mer(da).
Poi, mi scende… “quello” alle ginocchia, vuole succhiarmelo ma è meglio che prenda la sua “lingua” e impari altre lingue. È un analfabeta del mio “tirato” a “lucido”, poliglotta, andiam a vivere in una g(r)ot)ta ridente-annerente, di Grottole. Lì, scimmiotti, da scimmie non s(c)eme, potremo grattarcelo senza tope.
Che s(c)eme(nza) della follia, mia folle!
Grat(icol)a del mio (for)maggio, meglio Novembre e Natale, uomo che odia Pasqua(le)!
Ora, giro il Cappell(ai)o, matti che non siete altr(u)i, ed evviva i camionisti!
Almeno, non sono ipocriti. E, oltre a m(en)are, sì, evviva i miei fan, proprio male quando s’incazzano, fanno in mo(n)do oceanico e titanico! Nettuno è sopra il mio esser Nessuno!
Dammi Atlant(id)e e ti dirò in quale (lo)culo abiti. Nessuna abi(li)tazione, vai sommerso. Andrai poi (ri)scoperto in Pandora di vas(ett)i scoperchiati, mio visetto. Ecco il mio vis(t)o. Stai in vis(i)ta.
Fatemi il “piacere”.
Over ogni top(o) di fog(n)a, vaffanculo a tutti!
E ora leccatemelo!
Game over!
di Stefano Falotico
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