Adoro provocare, senza far(ci) un cazzo ma, letteralmente, gioendo di questa noia barbosa, arrossandole di Barbarossa, son (capit)ano nel Mar Rosso delle donne bianche, nere, rosse e poi me la russo da orso, cari barbosi
In questa società di affannati, ove tutti si fan gli affari altrui quando invece dovrebbero farsele, e vedere di sfancularle/li, posso asserire, in(s)erente a nulla, che la mia faccia da culo propende per uno sbattermene sereno, fresco di sera, asciutto di fis(i)co, tendente al più assoluto menefreghismo e possibilmente a fregarmi con inoppugnabile carisma strafottente, fottutamente s(apid)o di esser bello e ne gioisco, miei gioie, con far gioviale lo (i(nab)sso nelle giulive di umide olive, dolce e lieto fra mille letti e mi facessero il piacere avanti e (di)dietro.
Il vuoto è da riempire, ricordatelo, uomini lavoratori. Non dovete spaccarvi la schiena ma il fondo ove la donna te lo rende fiondante in sfondato/a, inarcando il bacino, melliflui allisciarvelo come (ca)pel(l)i crespi poi morbidamente penetranti di doppie punte, non spugnettatevi, puttane, siate duri dentro, indurente va così e, svenendo ella, come il caldo dopo la neve, (s)viene. Son uomo di vene, mai invernale ero(t)icamente.
Siate uomini di ne(r)vi e questa è la mia ennesima presa per il culo del far niente eppur facendomele tutte.
Fatevelo! E, a forza di lavorar sodo, vi ammoscerete mentre il mio diventerà sempre più stronzo.
Niente, appunto, un cazzo da fare.
Ora, dammi una birra, altrimenti te lo/a mollo.
So che posso (dis)gustarvi, altrimenti il bello dove sarebbe?