Nudità del vivere, del suo scorrere lento, apparentemente impercettibile ma inevitabilmente complicato. Il ticchettio delle palpebre, le veloci, secche zoomate sugli occhi dei due bellissimi attori, la fotografia soffusa, un senso pervadente di mor(t)ale nitore e sudore freddo, distante della vita, le labbra, la noia e il vuoto, la gelosia e la sincerità sanguigna delle emozioni sussurrate con fragile pudore, i sentimenti forti espressi timidamente, quasi con la paura di non procurarsi altri reciproci ferimenti, il fermento interiore, le intermittenze del cuore, il senso della vita che sfugge, iridi innamorate, languide, poi anche leggerissimamente arrabbiate, impotenti, (in)decise, soffici pelli che si scaldano, gelide poi ancor si distaccano, (si) vivono e si allontanano, il labile tatto fra due amanti, i respiri tenui, il tempo passa ed è un altro attimo di anime unite-remote, via via vicinissime e quindi ancor fuggitive, i ricordi, il rimosso, le certezze che spariscono, una dissolvenza, il buio, una risata sofferta, una frase stonata, il sentire, il tormento, provarsi, in cosa consiste la passione? E non è facile nulla.
Archive for October, 2014
Lezione di cinismo e di stile
di Stefano Falotico
Questa società io non comprendo e non voglio da essa un bel nulla apprendere. Da me, “sol(issim)o”, lo prenderà. Una società di sconci nudisti e di buonismi al sapor della più diarreica “stracciatella” s(ci)ol(t)a. Società che lecca, tutta mer(da) in questo (im)mondo gelato. Uno va da una donna e pensa di scioglierla quando è il primo ghiacciolo del frigorifero suo castrato da troppi “noccioli” della sua scema e della sua scimmia. Io mastico gli arachidi, stiano da me lontane le racchie ma pure le (g)nocche. Vi prendo a pugni e vai di pugnetta. I ruffiani impazzano, fan finta di amarsi e al kairos ho sempre preferito star nel caos dei cazzi miei. Ma che speciale? Questi antichi greci han sparso il seme del ma(ia)le. S’accopp(i)avano in temp(l)i promiscui a cui prediligo la mia bisc(i)a, serpeggiante di auto-erotismo “sensuale” quanto uno squallido (s)fottermi an(nu)ale, mensile, quotidianamente nello sfogliar un giornale anziché credere all’amore e alle margherite b(u)one alle mamm(ell)e du’ caz’. Meglio il pap(av)ero, che legge Topolino, mie giovani marmotte tanto “b(r)ave” a predicare quanto poi animali bavosi a mignotte. Che “bravi”. La mia angoscia (s)monta, è “dolce” far un cazzo e star a gambe accavallate, basta con queste cavallette, donne io non sarò per voi cavallo. Vai di Mosca e vai di Bari. Datemi un bar e non vorrò altro da ber. Cavati, io me la cavo da sol(d)o bucato, altrimenti, se scassi, te la (s)caverò e quello, sì, sarà il tuo “fallo” peggiore. Hai fallito, fa(rfa)lla. Credo nel sesso davvero “molto”. Infatti, lo piglio a sassi. Voi ne siete assatanati e ossessi. Per quanto “me ne “(s)freg(h)i”, fottetevi. Sì, di enorme strafottenza, non credo a niente. Credo nell’altissimo mio uccello da (I)caro al settimo cielo nel star sopra chiunque e tu, sotto, inculato a mor(t)e. Attento alle casta(g)ne. Toglile dal fuoco, tanto ti han già bruciato.
Io sto sul monte, anche sul monaco. Mio monco. Evviva i mongoli!
Così è, Questo è il cinico. Questo è il suicidio.
Mi annoiate. Da quando avete, per la prima volta, scopato, non avete più v(i)olato. E la vostra vita, da rosa, è (s)venuta… rossa, non arrossite neanche più, scomparso il pudore, siete s(t)ud(i)ati, avete perso le piume, le penne e la (stilogra)fica, pen(s)ate sol alle violette, avete una panza trombona come il violoncello legnoso e avete smarrito sia il fiato che il dardeggiante afflato. Io invece scorro, “tutto” scorre da piuma, libero, scoreggiandovi e non acchiappabile. Ma che vuoi inchiappettare? Beccati il mio becc(hin)o e, come diceva Totò, parli come badi, sa? Io, da Principe, ribalto le parole, le regole… stronze, i sen(s)i e non voglio metter su prole. (Ri)peto, solo pene… patite… in tal (non) vederla… Affaticati, (s)pompati, slabbrati, sempre arrabbiati, “incazzati” e perennemente a lamentarvi delle vostre (s)fighe. Ma come fa a piacervi il viver in tal mo(n)do? Il lavoro, il caffettino, due coccole con la micetta, (s)tirar… le camicette, rimboccarsi le maniche e un altro “bocchino”. Sì, dallo psichiatra strizzacervelli dei vostri uccelli. Che palle. Meglio il cane, l’(arc)ano, la mia gengivale arcata e vai di archi, miei “arcieri”. Evviva il cervo! A te i cer(ott)i e le candele delle cenette.
Meglio Vincent Cassel. Uno che stava con la Bellucci ma rimase un belloccio.
Passeggiando di gambe storte su faccia da culo distrutta. Un uomo rutto, rotto, un ratto, forse un gatto, un lupo e vaffanculo.
Sì, alla compagnia dei vostri cupi lup(ett)i, ho sempre amato solo il mio pupo. Il mio topo, il mio tappo, il mio gigante, il mio (o)nanismo.
Biancaneve era una zoccola, doveva solo scopare e sgobbare, il nano Dotto sapeva, le misurò la pressione, ficcandola con “passione”, poi mandandola a cagare e a lavar i p(i)atti per altre “patte” da puttana, caro Pisolo da piselli… Sei una mammola, meglio Mammolo. Evviva il mammuth. Salutami mammata!
Non voglio superare nessuno scoglio. È già troppo se non mi farete… fritto come una so(glio)la.
– Sai, sono rimasta incinta. Volevo darti la bella (noti)zia.
– Non è fig(li)o mio, io e te non ci siamo mai visti. Beccati il cigno e speriamo non sia femmina arcigna.