di Stefano Falotico
Salve, no, il film potrebbe (non) essere un alibi per “depistare” l’attenzione su me (in)volante già altrove.
Il film, invero, anche da al lupo al lupo, è la storia di un suicida aspirante che, dopo aver incontrato nei boschi un giapponese mezzo scemo, forse fan di Mishima, interpretato da Watanabe, decide di “sospendere” l’idea sua di morte e di farsi una passeggiata “(im)perfetta” col nipponico “lungo”… la foresta (ri)f(l)ess(iv)a del suo annuncio da “uccello” solitario.
Sì, il mio primo romanzo, edito dalla Joker di Novi Ligure, s’intitola “Una passeggiata perfetta”, ed è la storia personale d’uno che decise di buttarsi giù dal balcone, poi s’addormenta di reminiscenze intreccianti Il lungo addio di Altman, s’identifica, d’inconscio ambiguo, oniricamente, con l’investigatore d’un caso “anomalo”, e in pause va in stand by me, risvegliandosi al cinema nel (rim)pianto d’una platea da piange il piatto ma chi se ne fotte d’esser entrato nella galleria, detta anche metaforicamente tunnel, cioè circolo vizioso? In galleria, si paga il sovrapprezzo, sì, infatti gli abbonati della Sala Grande del Festival di Venezia devon sborsare, per i film in Concorso, la “grande bellezza” di 1600 Euro se vogliono assistere agli spettacoli più importanti. Roba da matti? No, da ricchi. Di mio, m’accontento del PalaBiennale, tendone appunto circense per il pubblico più “normale”. Ma torniamo alle passeggiate, non perdiamoci tra la foll(i)a. Sì, gli altri fott(er)ono e lui invece sta “seduto” a contemplar lo schermo, prima bianco e puro, poi colorato del buttarla in burla euforicamente da escoriato, non tanto accorato da coriandoli, quindi sco(lo)ratissimo, altro che Carnevale, “nero” da ultima ruota del carro, con tanto di dissolvenza del finale, meta-libra(r)io-ghezziano-cinematografico-(s)fig(at)o, su dissolvenza terminante nel dubbio del chi leggerà la vita a sua vista di capire o meno un cazzo. Di mio, so che alcuni film devo rivederli. Non perché non li capisco. Voglio semmai capire perché il regista meriterebbe un cappio. Sì, perdoniamolo, non vale un cappero ma ha il suo espiatorio DiCaprio. Diciamocelo, The Wolf of Wall Street è una cagata micidiale. Voi l’avete adorato, a me, più lo vedo e più mi par una boiata per drogati. E questo Leo, che “denireggia” con ghigno da Nicholson dei poveri, mi par solo caricatissimo. Sì, giusto che abbia vinto l’Oscar il suo rivale McConaughey. Insomma, il tizio si suicida o no? So che il suo autore non s’è suicidato eppur ricorre quest’idea in lui di non voler correr più in tal mondo opprimente di frenesie e patti ipocriti, ché mi “vengon” du’ palle enormi dallo stress e la giungla mi rende tarzanesco a urlar dalla f(or)esta. Odio i festini, evviva il fusto a torso nudo! Molte donne, vedendomi così, nelle mutande “vengono”. Io sono selettivo come la teoria di Darwin e, piuttosto che andar con queste, vorrei svenire. Alcune, indubbiamente, sono anche da svenimento. Non tutte le donne sono brutte, anzi. Ma le belle ti fan venire solo il latte alle ginocchia, seppur ammetto, e glielo (o)metterei da ometto, che “gnocche” fa rima con albicocche. Io vado di “cocco”. Tu vai di corpo? Sì, ma io non ti cago. Se fosse per me, saresti l’incarnazione della stitichezza. Sono una merda? Sì, uno stronzo a cui la società fa vomitare. Finiamola con questo mondo di gente che vuole “arrivare”. Una volta arrivati, vi svelo un piccolo “particolare”. La vita è finita perché sei diventato un ma(ia)le. E i maiali son (s)porc(h)i. Mangiate vegetariano. Aiuterà la digestione.
Sì, meglio “La foresta pietrificata”.
Sono cattivo? No, sono un misantropo. E, se mi stai sul cazzo, ti mando a fartelo dar nel culo. Ti pago pure, basta che ti levi dai coglioni, coglione!
Molti pensarono cha sarei cambiato una che volta che avessi “trombato” come tutti i “normali”. Me ne fottei e invece li trombai, adorando Rambo. A tutt’oggi, mi fan un baffo e comodamente in lor faccia da feccia, se voglion scoraggiarmi, scoreggio lor(d)o con tanto di pisciate in testa da “uccellone”. Ecco il fe(ga)to!
Amo la natura, comunque. Oggi pomeriggio, contatto una che ha messo delle foto di lei che scala.
– Posso esserti sincero?
– Sì, credo che l’uomo è uomo se “sventola”… la verità. Allor, sì, che è svettante e da ogni “tetta”. Non ho un tetto ma scalo… dagli alimenti. Tu non è che sei già (s)caduto in basso? Usi il paracadute per lenir la “botta(na)?”.
– Basta il profilattico, non esageriamo. C’è una tua foto, fra quelle in cui scali, che me lo fa elevare come l’Everest. Panoramicamente, visto da dietro, lo “sfondo” è da “fondista” di latitudine in ogni longitudine su orgasmo da “stellina polare” sin all’intestino del godimento da cronometrista che dura di duro, salvo mestruazioni (in)castranti, su goniometro in ficcata perpendicolare e brezza calorosa anche se dalle tue “parti”, visto che ammetti d’esser frigida, talvolta sei “fredda”. Ci riscalderemo nel cam(m)mino. Non dubitare. Ci sta(i?). Vuoi tagliare corto? Io t’assicuro che, “tagliato lungo”, eviterà a te, donna, di finirla qua… Non evirare il piacere! Al massimo, se (non) ti accontenti e non godi, scaleremo dalla “porcella”.
Ho detto tutto…
E lei me la diede tutta. Sì, la fune per impiccarmi, sciogliendo il mio nodo in gola profonda…
Sono un santo e mi piace il Cinema disperato di Van Sant.
Da non confondere con Cassel Vincent, la pronuncia del cognome è quasi uguale, il resto si scopò la Bellucci.
Ed è cosa non so se “bona” e giusta. Come attrice, fa schifo al cazzo. Solo come attrice. Scegliete il Cinema o il “boschetto?”.
Un con(s)iglio? Scegliete sempre nel mezzo. Mela e metà di Cinema e la vostra figa(ta) sarà piena anche da bicchiere (in) umido sin alle labbra di am(id)o con tanto di burro(ne).
Bagnate(vi). Pioverà per sempre!
Tags: Ken Watanabe, Matthew McConaughey, Van Sant