di Stefano Falotico
Ecco, ci risiamo.
Sono iniziati i mondiali. Questa sciagura che, a scadenza quadriennale, mi angoscia in torture alle quali devo fortemente resistere, inibendomi, castigato da uomini sfegatati nel loro incastonar i polmoni su tifi sfrenati. Su donne fedifraghe che, con la scusa delle aggregazioni accalorate dalla propria nazione combattente, si dimostran ecumeniche al prossimo migliore nel suo clacson da urlarle che deve sventolarla.
Agghiacciato da tanto calore, ah ah, apro il freezer e lecco un ghiacciolo. Sperando di scaldarmi davvero almeno di un pasto che mi rinfreschi le idee.
Sì, i mondiali, questo rituale ogni quattro an(n)i ripetitivo dai primi del secolo scorso. Un tempo, il calcio alle “palle” alleviava le tribolazioni della gente in guerra, poi (s)venne l’era fascista e per un po’ si placarono gli animi nelle tribune romane, perché la gente fu da noi ammonita e buttata, in caso di ribellione, in pasto alla fossa dei leoni, che “Altare della Patria”, mentre nella Germania nazista estinsero la “partecipazione” degli ebrei alla (com)petizione, bruciando le nascite prima della partenza. Sì, fra spari, forni crematori, razzismi di sorta, zoccoloni con le sorche, sorcini e porcile, “bruciature”, persecuzioni, arresti e genocidi vari, i sopravvissuti dall’eccidio di massa si consolarono con una scatoletta in bianco e nero proiettante ventiquattro uomini in mutande ad accanirsi per la palla (ro)tonda che, arrotolandosi nel manto delle loro frustrazioni, non li fece “venir” quadrati, previo porta di forma rettangolare sul possibile palo-non goal a ficcartelo nel culo d’implacabile zero spaccato.
Ma la gente, nonostante lo “score” inesistente delle loro vite sempre più appunto azzerate, continua a guardar, con le trombette in bocca(li) di birrone, il mondiale per tifare allo stremo delle forze annacquate. Che caldo, sudore freddo! Appena la propria squadra segna, godono sborranti. Se invece la squadra sbaglia, bestemmiano sbraitanti. E lì assumono fattezze lupesche da uomini sbrananti. Con tanto di lor donne che reggono questi “retti”, ah ah, da gregge di pecorine.
Ed ecco dunque la nostra compagine a inneggiar tutti insieme “appassionatamente” l’inno di Mameli mentre un cameraman birichino riprenderà le mammelle d’una sugli spalti da strabuzzarveli prima ancor che le palle girino…
Stasera, gli inglesi, schierati sul fronte opposto, ci daran filo da torcere?
Mah, di mio m’importa una sega. Quella che mi sparerò in pancia, disboscato da un’umanità “impagabile” di spettatori paganti il nazional-popolare nelle bandiere sempre in lotta le une contro le altre.
Così, dopo tal sega (s)fottente, anche me stesso, mi rilasserò con un libro di Agatha Christie. Sognando l’Orient Express ove sarò l’omicida di questi vostri “trenini”. Non mi scoprirete! Anche perché avete perso il treno.
Giungerò a Hong Kong e bomberò una di Pompei, sì, una partenopea che s’è sposata con uno di Bombay perché il miscuglio di razze non partorisca un bombarolo da Hiroshima ma un vesuviano vulcanico. Forse solo uno scemo terremotato perché, essendo pazzo napoletano, esploderà per colpa d’indigestioni cagionate dalle ricevute pizze in faccia in quanto accusato di esser una femminuccia capricciosa.
Lo scoperò per vincere la copp(i)a e assieme sfoglieremo le margherite, togliendo la mozzarella.
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