Il (ri)montato
di Stefano Falotico, il sottoscritto
Con le donne son fantasioso, piaccio perché non inibisco la mia voce caratteriale alla Celentano misto al roco del rock asciutto in fisico “marcio”. È una strana convergenza di fascino rozzo, primitivo, adamantino di barbetta incolta su colpi da colto e occhi da cotto, in pa(de)lla se mi prende bene, al sugo se lei succhia di “scarpetta” a prosciugarmelo. “Bianco” purissimo viene… fuori, talvolta “vola”, altre volte, (s)composto a tavola, non felice mi accontento solo di un tovagliolo per la bava non sfamata nel suo foro e spesso mi consolo con una crostata di mele lievitata nel fornetto se, metaforicamente evirato, devo così virar alla fame riempiente il bucaniere che non fui in tal però, capperi, occasione “al dente”. Era prelibata, da collo vampiristico per una leccata da colpo di culo nella cottura dalle orecchie sin giù ai capezzoli (s)venendole. Era avvenente ma non venne una minchia. Era da svenimento, infatti collassai, altro che colli e, arrabbiato al risveglio, tentai di “sguinzagliarlo” ma gli inferm(ier)i mi legarono con un collare. Mi trascinarono in un monastero affinché mi convertissi a una maggiore castità, oh, bau bau, e dir ardentemente che né tastai e neppur gustai il pasto. Di notte, m’allupai lo stesso, senza sesso, ficcato da fesso e fegatino amaro nell’abbazia dei monaci nel “giogo” della pecorina sarda e, dall’abbaino, abbaiai ma, inascoltato, mi rabbuiai. Che botta, che buio, e dir che son un bel bue se di cavallo spinge il muscolo con le bo(vi)ne. Comunque, mi servon dei manzi niente male, “al sangue”, m’inculano di osso buco. Però va di traiettorie “balistiche” veloci, “dinamitarde”, poi con rallentamenti da temporeggiatore che insacca dopo aver sfondato ogni difesa delle suore ortodosse grazie al mio marcamento a zona di erogeno su faccia fendente, quasi da fetente, come po(r)che posson permettersi. Sì, parto in “retrovia”, nel didietro, schivando le “bombe” delle punizioni di lor lingue muliebri da biforcute taglienti in rasoterra mia, schienato in un punteggio apparentemente irrecuperabile. Ma rimonto, le smonto con accelerazione intraprendente, di pressing quasi da “stalker” fra il lor prima maltolto, aver beccato un mal rovescio su spaccato malleolo e menisco spappolato di queste gnocche di patate in calci alle palle da latte alle ginocchia ma, da allenato di “(s)gonfiato” oramai con (at)tributi in platea, calorosi nel tifar che venga, anzi che (la) vinca, torno nello spogliatoio, fra lo stupor generale dei “paganti” che vanno con le puttane suddette e ancor da sudare, ritirandomi a tirarmela da solo, da puro fresco.
Sono un montato, sì, un misantropo, faccio la doccia, sgocciola, lo scrollo, mi rivesto e indosso il montone.
E sarà Sole. E sale.
Fuori piove. Forse era meglio l’ombrello.
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