Su Facebook, si “scherza” sulla morte dello stratosferico Philip Seymour Hoffman, “accusato” da tali sciocchi di essere un “addicted coglione” e io divento Frank Slade nel suo profumo di “donna” da Flawless
Sì, in tal social network, ove impera il qualunquismo delle sciacquette all’acqua di rose, “puntigliose” copia-incolla di frasi banali imparate a menadito, e a “menarsela” da galline strapazzate, una tale Silvia, ex mia conoscenza assai “sveltina”, legge il miopost sul mulhollandlynch.com in merito al nostro compianto, grande Hoffman e m’irride, perché ho scritto d’aver pianto dopo aver imparato della sua dipartita. Ella mi sbeffeggia in quanto mi reputa un patetico “nano” buono solo a commuoversi dinanzi a tragedie “irreali” e addita Hoffman che, detto fra parentesi (ecco la parentesi), neanche conosce o solo ha intravisto fra un piatto di pastasciutta e del “sano”, “inebriante” Lambrusco.
M’incita alla crescita, quella che presume lei, leggasi adattamento per finire bagascia con un rude “maniscalco” della sua fighella marcia da mantenere fra stoviglie (ri)bollenti, soufflé di patate che rifila, a mo’ di cucito e “centrino”, al compagno imboccante di cornetti…, piatti “a dirotto” su litigi (in)conciliabili di lacrime amare della ricongiunzione a tirar a campare, e un figlioccio già “educato” alle maniere “grintose” da coppia scoppiata e non tanto più gioiosamente scopante. Insomma, questa un tempo scoppiettava, adesso dà solo di botte… piena e fegato ubriaco, nel senso flatulente del termine… delle tristi notti.
Al che, con encomiabile classe irriguardosa, senza battere ciglio, figurarsi se mandarle un messaggio per adescarla al fine di “sbatterla”, anche se vorrei piantarle un paletto perfido a suo “cuoricino” da smielata e precoce rimbambita nelle piastrelle, poco sanguigne ed erotiche, del suo cucinotto “alla puttanesca”, le spedisco una (e)pistola di “Vai a cagare” garbato. Sapete? Quando devi spurgar una merda di tal livello, e “lavello” e, come dopo una pazzesca cagata svuotante, sentirti in pace coi tuoi borbottii.
Innanzitutto, sull’opzione “Aggiungi file”, prima di bloccarla al fulmicotone del “fulminarla” sotto shock, ah, cara allocca da brioche, le inoltro la locandina di Flawless, poi, con doverosa sempre calma olimpica, le allego la mia recensione, con tal giusto sfogo in opposizione “realista” alla sua figa sfattissima…
Philip Seymour Hoffman, morto di droga, sempre meglio che morire da “persone normali” nel mondo dei tonti, lui era un genio e va adorato, cari moralisti
Philip Seymour Hoffman, essere di connaturata sua Creatura alta in grazia del Dio savio dei giusti. Di coloro che non si alzano alle sette del mattino per andare a “lavorare”. Infatti, essendo attore rinomato e mente acuta, logorandosi nella melma ispida della giungla Hollywood, era costretto a svegliarsi molto prima, in balia dei copioni, dei ruoli imparati a prodigiosa memoria d’ascrivere in suoi arditi e andersoniani monologhi da Master. Non certo un fallito che guarda invidiosamente la vita dei divi, tanto per sollazzarsi al cinemino il fine settimana, coi film intellettuali che finge di capire al fine di volersi attenere a standard “evoluti” della dotte elite di questo cazzo. I dottori buoni al ricettario degli ingredienti curativi da mense dei piagnucolosi. Tutta questa congrega di ebeti sempre disposti alle “buone maniere” e al circolo vizioso, chiesastico delle moine da quattro calzette con al(i)bi a portata di mano e il microscopico formatdi quattro neuroni, son generoso, d’allietare dietro altri autoinganni.
Recensione spedita a tal cesso
Flawless
Nessuno è esente da difetti…
Parto subito col dire che questo è il miglior film in assoluto di Joel Schumacher, targato strano anno 1999, firmato MGM.
Joel Schuumacher, del quale disprezzo, però, con enorme prosopopea buona parte del suo “Cinema”. Un regista diventato famoso a Hollywood, negli anni ’80, per una serie pazzesca di pellicole ampiamente sopravvalutate. Ma non c’è da stupirsi, in piena epoca confusionaria, film dall’estetica furba, modaiola, giovanilistica e platinata, come l’impresentabile pastiche Linea mortale, trovavano il pubblico stupido che se n’imboccava con allucinante facilità, bevendosi ogni stramberia “variopinta” del nostro bel Schumacher tanto scaltro ad arricchirsi grazie a marchingegni ludici della celluloide più edonisticamente “merchandising”. Opere di rara bruttezza, girate però con quel “piglio” ritmato che allettava gli spettatori abbindolabili, ribadiamolo, a “virtuose” frenesie del montaggio, dei dialoghi “serrati” e di due/tre idee narrative all’apparenza “geniali”.
Flawless, visto in quest’ottica, rappresenta una sorpresa inaspettata, è una stupefacente opera, fra l’altro presa assai sotto gamba, insospettabilmente intimista che, nella semplicità di una storia (a)normale, umanissima, raccontata con una raffinatezza e quel delicato pudore che da Schumacher mai e poi mai ci saremmo aspettati, può essere tranquillamente ascritta ai film “misconosciuti” (in pochi infatti se ne ricordano e pochissimi, per di più, ne hanno saputo apprezzare il valore), che son passati sotto silenzio.
Eppure, nella locandina appare a lettere “cubitali” il nome di Robert De Niro, quel prodigio d’attore di cui, a gran torto, mai viene citata quest’interpretazione istrionica, difficile non tanto per la “tuta mimetica” della facciale mimica, qui (non) limitata dalla malattia del suo personaggio, bensì perché è una performance, addirittura vista come un campionario insopportabili di smorfie e tic espressivi indigesti, di invero fenomenale camaleontismo. Che plateale, madornale superficialità averla giudicata male quando il film uscì.
Ma procediamo con calma.
Schumacher, dopo i fasti al botteghino dei seguiti di Batman, torna dietro la macchina da presa per questo film assolutamente anomalo nella sua filmografia, ripetiamolo, pacchiana, effettistica e ammiccante al guadagno da blockbuster.
Questa è invece la storia di una strana, (im)possibile amicizia, quella fra il coriaceo, burbero poliziotto Walt Koontz (De Niro) e la drag queen Rusty (un bravissimo Philip Seymour Hoffman). Walt è uno stronzo, omofobo, razzista, macho imperturbabile, playboy impenitente, maschilista e soprattutto dichiarato nemico dei travestiti, come il suo dirimpettaio, appunto, Rusty, il vicino di casa, l’uomo “ambiguo”, disturbante per la sessualità da “pervertito”, questo pensa Walt, che abita nell’appartamento antistante. Walt lo odia a morte, non sale mai in ascensore con lui, lo evita in ogni modo e, quasi ogni giorno, litiga, affacciandosi irritato alla finestra, perché Rusty, coi suoi “amichetti”, fa sempre casino e lo “deconcentra”.
All’improvviso, la storia si complica e si fa torbida. Alcuni coinquilini dello stabile in cui vive, di notte, vengono derubati. Walt si sveglia, allarmato da quel che riesce a udire, afferra la sua pistola d’ordinanza, scende in fretta e furia le scale per tentar di venir loro in soccorso ma viene colpito, “a sangue freddo”, da un ictus.
Walt, in seguito all’incidente occorsogli, rimane semiparalizzato, e a stento riesce a parlare.
Come cura riabilitativa per poter almeno riacquisire parziali funzioni normali, guarda un po’, gli viene suggerito di prendere lezioni di canto dal nostro Rusty. Dopo forti titubanze e notevole ritrosia… Walt pare infatti che preferisca vivere nel mutismo e nell’handicap piuttosto che “abbassarsi” nella dignità per ristabilire, in modo perlomeno accettabile, la sua “disgrazia”, ecco, Walt accetta, anche se non di buon grado.
Naturalmente, non saranno tutte rose e fiori, come si suol dire.
E a ciò s’aggiunge il fatto che il ladro, che ha rapinato i condomini, continua ad aggirarsi in maniera minacciosa per il palazzo, poiché “qualcuno” (indovinate chi?) è stato il testimone sgradito della sua malefatta. E vanno eliminati i testimoni scomodi. Ahia…
Walt e Rusty si coalizzeranno giocoforza, sventando la minaccia e diventando, nel frattempo, amici sempre più fidati e rispettosi l’uno dell’altro.
Perché Walt, dall’esperienza dolorosa e negativa del suo trauma, ha imparato un insegnamento importantissimo: è stato costretto a guardare in faccia la realtà e a non scremarla più con la sua boria da “stallone” fiero della sua indubbia mascolinità, invero così patetica e volgare. Era “malato” prima, non ora. Adesso, diciamo, che la malattia fisica gli ha permesso di osservare la vita da una prospettiva che mai avrebbe immaginato. Ed è una visione assai più “aperta” e rasserenata di quando era un bastardo poliziottone tutto divisa e donne da sventolare come “trofei”.
Dicevamo, appunto, un grande Robert De Niro.
Ma, a esser sinceri, qui la parte del leone la fa proprio la nostra “debole” checca… un Philip Seymour Hoffman strepitoso, incredibile, che recita con eleganza d’applausi a scena aperta. Tanto più bravo perché Rusty ispira, sì, simpatia, ma era difficilissimo renderlo in modo così umano, calzante, senza mai incappare nel “luogo comune” d’una recitazione isterica o sopra le righe, come poteva essere dato il suo personaggio folcloristico. Hoffman mantiene invece inappuntabilmente un bon ton in sordina da lasciarci stupendamente allibiti per tanta sobria, sofisticata bravura.
Un’interpretazione di sottilissima alta scuola del Metodo.
Morale della cretina e di gente come lei che ironizza sulla morte dei grandi, senza sapere un cazzo, in ogni sen(s)o: rispetta e non far la gra(da)ssa, povera decerebrata.
Sul canale del digitale terrestre, danno la tua soap preferita: Op op, che vita da cavallina che ho, un tempo almeno amavo, non solo la zoccola, ma gli zoccoli e non me la tiravo… da frustrata che inneggia all’“Evviva chi resiste con le palle!”.
Poi, cambia sintonia, e vede la replica dell’omaggio di Philip Seymour Hoffman al Kennedy Center, consegnato a Robert De Niro.
Comprendendo la differenza fra la vita di chi si sacrifica davvero per l’arte e chi vive di “albe chiare” da Vasco Rossi, si taglia le vene in vaschetta. Sì, quella del suo freezer ormonale.
Firmato il genio Falotico
- Flawless (1999)
- Magnolia (1999)
- Onora il padre e la madre (2007)
- Ubriaco d’amore (2002)
- Scent of a Woman – Profumo di donna (1992)
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