Archive for February, 2014

Buon compleanno, Michael Mann e inculate al sangue!


06 Feb

di Stefano Falotico

Della sua signorilità, ne son pieni gli oceani dei temerari che, veleggiando in sue dinamiche incendiarie, compreranno assolutamente, inderogabilmente il mio libro a lui dedicato, “Fracture, la Luna marmorea…”, disponibile in cartaceo per “accartocciarvi” nel mar fantasioso della mia poesia cinefila mesta, forse irrequieta, ai tempi d’ogni templare ardito in vene metalliche di carrozzeria oggi pesante domani (caval)leggera.
Leggere è un ordine futurista da non prender legger-mente, abbinato al Cinema distopico, di stroboscopie manniane. Manhuntersei solo agente Vincet Hanna, mani in alto McCauley Neil! I suoi adepti respireranno l’aria salubre della “malasanità” in celluloide vivace, scoppiettante, fra dualità (a)nemiche ed ere contro i colletti bianchi, l’incarnazione rivoltante della squallida cera delle carnali e non sognanti cere.
C’era una volta… Sergio Leone, poi lo Zio Sam e quindi Friedkin. Poi, fu la (s)volta di Mann, che io congiungo a idolatria mai del suo Cinema sazia, in quanto saccente e schierato, a tambur battente, contro una famiglia di dementi, (tele)guidata da un padre, spacciatosi per giornalista e invero portantino dell’ANSA, oggi in patetica, flatulentissima e pantofolaia pensioncina, su scoregge a iosa della sua bor(i)a nazifascista da bolognese della malora, trapiantato con una moglie più loffia delle cicorie di Bari, eppur proveniente dalla Sicilia con limoni della sua secca frigidità. Ah ah!
Sì, io adoro Mann contro tal nucleo d’infelicità e ne son sfacciata, a “frontali” come i suoi inseguimenti mozzafiato, spericolatezza dell’essere “socialmente pericoloso” a inondarli di schegge in faccia, da merdosi che se le meritano di gran strombazzate.
Scabrosità falotica! Perché osanno Colin Farrell, conclamato erede di Don Johnson a inchiappettarli con sterzate feroci su ciuffo di gel alla cazzo di cane d’attore mediocre, dunque che buca lo schermo, che è da ficcante corridore in ogni vostro ipocrita corridoio. Ed è corrivo, sì, fottuto a sbattervelo al Gong (Li) da ultimo dei mohicani.
Michael Mann, battete le mani!
E spaccate culi e teste, anche di testacoda, di Heat!
Io sono un cyber!

Racconto tiepido come una botta devastante!

L’astrazione del caos e della “necessità”, cioè il pene (e)rettile di tal teoria (ba)lorda, innamorata davvero, eccome, eccolo… sparire in modo magico nel buchino del dottor con la “cappella” a cilindro…
In smoking e di papillon di grand’affare…, dissimula il pancione con il panciotto. Fiero-felpato, cammina tutto impomatato, ippopotamo però su portamento “di classe”, ricco a uscirgli da tutti i buchini…
Ma il mio “cowboy” (non) ci sta, con far “ficcante” (s)frega il lestofante elefantone a gambe “levate” e in mezzo, strafottente, scrotale di budella a mio inacidirlo…, dentro va di “(ca)risma”.
Sì, questo tizio tozzo, che beve col mignolo posato dalla tazzina del caffettino, lucidato in bicchieron di vetro, incontra me, il menestrello a “inzupparlo” di minestrone.
Mi dà della zucca vuota, al che gli propongo un quiz:
– Sa cos’è l’astrazione del cazzo?
– No, e detesto la sua volgarità.
– Eh già, lei è giornalista delle testate…
– Dove vorrebbe andar a parare?
– Lei (s)parla eppur ce l’ha parato. Carta straccia e bianca come la merda. Ma io le ripeto la domanda. Sa cos’è l’astrazione del cazzo?
– No, grazie. Preferisco non saperlo.
– Sì, ma io so e glielo voglio “dare”, scusi, volevo dir appunto dire…
Ecco, astrazione non sta per sparizione ma ermetica elevazione… siamo d’accordo? Bene, a (c)ottimo…, ora… se c’è, in senso fisico e della quantistica fisica, eppur non c’è ma è altrove da qualche altra parte…, dove potrebbe essere-non essere?
– Lasci stare. Ah, è una zingarata, una cazzata…
– No, un’inculata. Spiegata l’entrata dello sparito eppur presente (in)giustificato.
Lo sente?
– No, badi al suo culo.
– Sì, ma lei badi a questi manigoldi vicino a me. Ciao.

  1. La fortezza (1983)
  2. Cyber (2015)
  3. Nemico pubblico. Public Enemies (2009)

Video anniversario di Facebook


05 Feb

Il mio “filmino” sembra l’inizio di un biopic, molto “autopsia”, su uno Hugh Hefner dei poveri…

Ecco, ci mancava il film personale di Facebook. Facebook regala ai suoi utenti tale regalo, un micro-cortometraggio a racchiudere gli attimi “più salienti” della nostra vita. Piccanti!
Clicco “Play”, parte con una mia foto da sbarbato e “panorama” sullo sfondo di donne “sfondabili”. Una modella e una di culo “Viver pasciuti, sani e belli”. Ex mie conquiste raccattate fra un “vicolo” e l’altro di quando, taluni an(n)i fa, ce l’avevo sfondato e facevo colpo… solo col “carisma” della fronte semi-rugosa su occhi neri trascendenti e sopracciglia “divoranti” alla Colin Farrell di no’ altri. Sì, sono un maschiotto da competizione, infatti il mio soprannome è Mascotte. Le donne mi usano, e perlustrano, come un orsacchiotto, aizzando il pelo riccio delle zone “basse” più “segrete” a turlupinarmelo con far da damigelle, invero delle gatte ma non mentecatte. In quanto incarno il Romeo di “buon gusto”, leccante anche quelle coi baffi, accalorandomi perfino, “interdentale”, fra pastasciuttare romane e sicule con “besciamella” natia dell’Emilia-Romagna, eppur mi roso, anche rodo da roditore, al ragù fra “vettovaglie” di Ragusa e donne permalose persin libidinose come l’appetito vien mangiando.
Parte a (raf)fica di una dal fondoschiena liscio come l’abatjour negl’inverni rigidi da marsupio. Donna sdraiata, da “stirare” in feticismo slurpante il suo costumino “tirante”.
Quindi, si va a parare (quando si dice il culo parato…) sulla mia faccia da “cazzo”, sfilacciata tra ex capelli lunghi, prima dell’alopecia sfibrante, e il mio occhiolino volponissimo che sa di “L’ho preso in quel posto ma ammicco con garbato fottermene”.
Dunque, si passa ad altro “umido”. Anna Falchi procace, di primo “a tutto spiano” e spione su tettonissime di Dellamorte dellamore, immagine a mo’ “amorevole” di recensione che “spinge”.
Poi, i post(eriori) con più “Mi piace”. Uno naturalmente sulle donne, di totale misoginia: “Sono stato cancellato da tali amichette poiché ho aspettato troppo a darlo nelle loro top(p)e”. Qualcosa di simile e semi-scemo, in zona “coglione” puro da bannato di “castrazione” social.
Finisce col botto… del “Pollice su”.
Insomma, un network che te lo ficca ancora.

In pochi secondi, la mia vita.
Tutte stronz(at)e.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. All Is Lost (2013)
  2. RoboCop (2014)
  3. Sotto una buona stella (2014)

 

Philip Seymour Hoffman, giustamente addicted


03 Feb

Su Facebook, si “scherza” sulla morte dello stratosferico Philip Seymour Hoffman, “accusato” da tali sciocchi di essere un “addicted coglione” e io divento Frank Slade nel suo profumo didonna” da Flawless

Sì, in tal social network, ove impera il qualunquismo delle sciacquette all’acqua di rose, “puntigliose” copia-incolla di frasi banali imparate a menadito, e a “menarsela” da galline strapazzate, una tale Silvia, ex mia conoscenza assai “sveltina”, legge il miopost sul mulhollandlynch.com in merito al nostro compianto, grande Hoffman e m’irride, perché ho scritto d’aver pianto dopo aver imparato della sua dipartita. Ella mi sbeffeggia in quanto mi reputa un patetico “nano” buono solo a commuoversi dinanzi a tragedie “irreali” e addita Hoffman che, detto fra parentesi (ecco la parentesi), neanche conosce o solo ha intravisto fra un piatto di pastasciutta e del “sano”, “inebriante” Lambrusco.
M’incita alla crescita, quella che presume lei, leggasi adattamento per finire bagascia con un rude “maniscalco” della sua fighella marcia da mantenere fra stoviglie (ri)bollenti, soufflé di patate che rifila, a mo’ di cucito e “centrino”, al compagno imboccante di cornetti…, piatti “a dirotto” su litigi (in)conciliabili di lacrime amare della ricongiunzione a tirar a campare, e un figlioccio già “educato” alle maniere “grintose” da coppia scoppiata e non tanto più gioiosamente scopante. Insomma, questa un tempo scoppiettava, adesso dà solo di botte… piena e fegato ubriaco, nel senso flatulente del termine… delle tristi notti.
Al che, con encomiabile classe irriguardosa, senza battere ciglio, figurarsi se mandarle un messaggio per adescarla al fine di “sbatterla”, anche se vorrei piantarle un paletto perfido a suo “cuoricino” da smielata e precoce rimbambita nelle piastrelle, poco sanguigne ed erotiche, del suo cucinotto “alla puttanesca”, le spedisco una (e)pistola di “Vai a cagare” garbato. Sapete? Quando devi spurgar una merda di tal livello, e “lavello” e, come dopo una pazzesca cagata svuotante, sentirti in pace coi tuoi borbottii.
Innanzitutto, sull’opzione “Aggiungi file”, prima di bloccarla al fulmicotone del “fulminarla” sotto shock, ah, cara allocca da brioche, le inoltro la locandina di Flawless, poi, con doverosa sempre calma olimpica, le allego la mia recensione, con tal giusto sfogo in opposizione “realista” alla sua figa sfattissima…

Philip Seymour Hoffman, morto di droga, sempre meglio che morire da “persone normali” nel mondo dei tonti, lui era un genio e va adorato, cari moralisti
Philip Seymour Hoffman, essere di connaturata sua Creatura alta in grazia del Dio savio dei giusti. Di coloro che non si alzano alle sette del mattino per andare a “lavorare”. Infatti, essendo attore rinomato e mente acuta, logorandosi nella melma ispida della giungla Hollywood, era costretto a svegliarsi molto prima, in balia dei copioni, dei ruoli imparati a prodigiosa memoria d’ascrivere in suoi arditi e andersoniani monologhi da Master. Non certo un fallito che guarda invidiosamente la vita dei divi, tanto per sollazzarsi al cinemino il fine settimana, coi film intellettuali che finge di capire al fine di volersi attenere a standard “evoluti” della dotte elite di questo cazzo. I dottori buoni al ricettario degli ingredienti curativi da mense dei piagnucolosi. Tutta questa congrega di ebeti sempre disposti alle “buone maniere” e al circolo vizioso, chiesastico delle moine da quattro calzette con al(i)bi a portata di mano e il microscopico formatdi quattro neuroni, son generoso, d’allietare dietro altri autoinganni.

Recensione spedita a tal cesso

Flawless

Nessuno è esente da difetti…

Parto subito col dire che questo è il miglior film in assoluto di Joel Schumacher, targato strano anno 1999, firmato MGM.
Joel Schuumacher, del quale disprezzo, però, con enorme prosopopea buona parte del suo “Cinema”. Un regista diventato famoso a Hollywood, negli anni ’80, per una serie pazzesca di pellicole ampiamente sopravvalutate. Ma non c’è da stupirsi, in piena epoca confusionaria, film dall’estetica furba, modaiola, giovanilistica e platinata, come l’impresentabile pastiche Linea mortale, trovavano il pubblico stupido che se n’imboccava con allucinante facilità, bevendosi ogni stramberia “variopinta” del nostro bel Schumacher tanto scaltro ad arricchirsi grazie a marchingegni ludici della celluloide più edonisticamente “merchandising”. Opere di rara bruttezza, girate però con quel “piglio” ritmato che allettava gli spettatori abbindolabili, ribadiamolo, a “virtuose” frenesie del montaggio, dei dialoghi “serrati” e di due/tre idee narrative all’apparenza “geniali”.
Flawless, visto in quest’ottica, rappresenta una sorpresa inaspettata, è una stupefacente opera, fra l’altro presa assai sotto gamba, insospettabilmente intimista che, nella semplicità di una storia (a)normale, umanissima, raccontata con una raffinatezza e quel delicato pudore che da Schumacher mai e poi mai ci saremmo aspettati, può essere tranquillamente ascritta ai film “misconosciuti” (in pochi infatti se ne ricordano e pochissimi, per di più, ne hanno saputo apprezzare il valore), che son passati sotto silenzio.
Eppure, nella locandina appare a lettere “cubitali” il nome di Robert De Niro, quel prodigio d’attore di cui, a gran torto, mai viene citata quest’interpretazione istrionica, difficile non tanto per la “tuta mimetica” della facciale mimica, qui (non) limitata dalla malattia del suo personaggio, bensì perché è una performance, addirittura vista come un campionario insopportabili di smorfie e tic espressivi indigesti, di invero fenomenale camaleontismo. Che plateale, madornale superficialità averla giudicata male quando il film uscì.
Ma procediamo con calma.
Schumacher, dopo i fasti al botteghino dei seguiti di Batman, torna dietro la macchina da presa per questo film assolutamente anomalo nella sua filmografia, ripetiamolo, pacchiana, effettistica e ammiccante al guadagno da blockbuster.
Questa è invece la storia di una strana, (im)possibile amicizia, quella fra il coriaceo, burbero poliziotto Walt Koontz (De Niro) e la drag queen Rusty (un bravissimo Philip Seymour Hoffman). Walt è uno stronzo, omofobo, razzista, macho imperturbabile, playboy impenitente, maschilista e soprattutto dichiarato nemico dei travestiti, come il suo dirimpettaio, appunto, Rusty, il vicino di casa, l’uomo “ambiguo”, disturbante per la sessualità da “pervertito”, questo pensa Walt, che abita nell’appartamento antistante. Walt lo odia a morte, non sale mai in ascensore con lui, lo evita in ogni modo e, quasi ogni giorno, litiga, affacciandosi irritato alla finestra, perché Rusty, coi suoi “amichetti”, fa sempre casino e lo “deconcentra”.
All’improvviso, la storia si complica e si fa torbida. Alcuni coinquilini dello stabile in cui vive, di notte, vengono derubati. Walt si sveglia, allarmato da quel che riesce a udire, afferra la sua pistola d’ordinanza, scende in fretta e furia le scale per tentar di venir loro in soccorso ma viene colpito, “a sangue freddo”, da un ictus.
Walt, in seguito all’incidente occorsogli, rimane semiparalizzato, e a stento riesce a parlare.
Come cura riabilitativa per poter almeno riacquisire parziali funzioni normali, guarda un po’, gli viene suggerito di prendere lezioni di canto dal nostro Rusty. Dopo forti titubanze e notevole ritrosia… Walt pare infatti che preferisca vivere nel mutismo e nell’handicap piuttosto che “abbassarsi” nella dignità per ristabilire, in modo perlomeno accettabile, la sua “disgrazia”, ecco, Walt accetta, anche se non di buon grado.
Naturalmente, non saranno tutte rose e fiori, come si suol dire.

E a ciò s’aggiunge il fatto che il ladro, che ha rapinato i condomini, continua ad aggirarsi in maniera minacciosa per il palazzo, poiché “qualcuno” (indovinate chi?) è stato il testimone sgradito della sua malefatta. E vanno eliminati i testimoni scomodi. Ahia…
Walt e Rusty si coalizzeranno giocoforza, sventando la minaccia e diventando, nel frattempo, amici sempre più fidati e rispettosi l’uno dell’altro.
Perché Walt, dall’esperienza dolorosa e negativa del suo trauma, ha imparato un insegnamento importantissimo: è stato costretto a guardare in faccia la realtà e a non scremarla più con la sua boria da “stallone” fiero della sua indubbia mascolinità, invero così patetica e volgare. Era “malato” prima, non ora. Adesso, diciamo, che la malattia fisica gli ha permesso di osservare la vita da una prospettiva che mai avrebbe immaginato. Ed è una visione assai più “aperta” e rasserenata di quando era un bastardo poliziottone tutto divisa e donne da sventolare come “trofei”.
Dicevamo, appunto, un grande Robert De Niro.
Ma, a esser sinceri, qui la parte del leone la fa proprio la nostra “debole” checca… un Philip Seymour Hoffman strepitoso, incredibile, che recita con eleganza d’applausi a scena aperta. Tanto più bravo perché Rusty ispira, sì, simpatia, ma era difficilissimo renderlo in modo così umano, calzante, senza mai incappare nel “luogo comune” d’una recitazione isterica o sopra le righe, come poteva essere dato il suo personaggio folcloristico. Hoffman mantiene invece inappuntabilmente un bon ton in sordina da lasciarci stupendamente allibiti per tanta sobria, sofisticata bravura.
Un’interpretazione di sottilissima alta scuola del Metodo.

Morale della cretina e di gente come lei che ironizza sulla morte dei grandi, senza sapere un cazzo, in ogni sen(s)o: rispetta e non far la gra(da)ssa, povera decerebrata.
Sul canale del digitale terrestre, danno la tua soap preferita: Op op, che vita da cavallina che ho, un tempo almeno amavo, non solo la zoccola, ma gli zoccoli e non me la tiravo… da frustrata che inneggia all’“Evviva chi resiste con le palle!”.
Poi, cambia sintonia, e vede la replica dell’omaggio di Philip Seymour Hoffman al Kennedy Center, consegnato a Robert De Niro.
Comprendendo la differenza fra la vita di chi si sacrifica davvero per l’arte e chi vive di “albe chiare” da Vasco Rossi, si taglia le vene in vaschetta. Sì, quella del suo freezer ormonale.

Firmato il genio Falotico

  1. Flawless (1999)
  2. Magnolia (1999)
  3. Onora il padre e la madre (2007)
  4. Ubriaco d’amore (2002)
  5. Scent of a Woman – Profumo di donna (1992)

Woody Allen, il maniaco


02 Feb

 

Quel pedofilo sporcaccione di Woody Allen, quando il “genio” è un vizietto esecrabile e rovina la dolcezza malinconica dei Radio Days

Piovono accuse su Woody. Il figlio, durante la celebrazione del padre ai Golden Globe, ove è stato insignito del premio alla carriera Cecil B. De Mille, dichiara su Twitter che il genitore è un autentico maiale, degno della forca, della Santa Inquisizione al porco Dio e andrebbe solo “commemorato” di sedia elettrica, per aver abusato, non solo di lui, educandolo allo sconcio intellettualismo più pasciuto ma, soprattutto, d’aver osato sulla sorella quando lei aveva 7 anni. Stendendola nel suo “studio” di Manhattan, per anal… izzarla di giochetto “medico e ammalata”.
Non siamo nuovi agli scandali in quel di Hollywood. Che Jack Nicholson, tutt’ora, anche se pensionato in pantofole e grasso d’ogni po(r)co, abbia pagato carovane di prostitute per curarlo dall’LSD, è arcinoto, anzi da circolo ARCI, ove gli altri vecchi “leoni” della Mecca lo “riveriscono” di battutine in merito alle zingarate da puttaniere irredento.
Polanski vive in Francia perché, sappiamo tutti, negli Stati Uniti ha una pena capitale ancor a “pendergli”, in quanto stupratore già “satanista”, poi convertitosi a La nona porta.
Ma Woody Allen batte e sbatte tutti e tutte. Con la patente ingiusta di “genio”, ha usato per an(n)i il suo “piffero magico”, solleticando le minorenni, la cinesina che ora s’è sposato e andando “a nozze” con una Diane Keaton ambigua da Padrino…
Eppure fa piangere, pensare e mette di “buon umore”.
Sì, Woody è nato “culo” e camicia.

Firmato il Genius, il Falotico che (in)castrerà il fallo di Allen.

  1. Prendi i soldi e scappa (1969)
  2. Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972)
  3. Interiors (1978)
  4. Hannah e le sue sorelle (1986)
  5. Crimini e misfatti (1989)
  6. La maledizione dello scorpione di giada (2001)
  7. Scoop (2006)

Riccardo Tanco stronca The Wolf


02 Feb

Estraiamo.

Probabilmente Martin Scorsese aveva bisogno di realizzare The Wolf of Wall Street. Un regista che necessitava di dare agli altri ma soprattutto a se stesso una risposta, per dimostrare a se stesso di essere capace dire ancora qualcosa d’importante.

Non si può non notare che a partire da Gangs of New York (2002), anche gli scorsesiani più integralisti hanno cominciato a storcere il naso, per un regista che ha cercato di rinnovarsi attraverso un cinema titanico, nelle misure e nei desideri del racconto.
Uno Scorsese che dall’inizio degli anni ’00 aveva tentato strade diverse dalla sua visione di cinema precedente, alcune di queste decisamente notevoli (il già citato Gangs of New York e il sottovalutato The Aviator), ma che hanno incontrato anche diversi ostacoli nel rapporto con il pubblico e con la critica.
Dallo scialbo remake The Departed Il bene e il male (2006), all’esercizio di stile di Shutter Island (2010), fino alla favoletta di Hugo Cabret (2011). Appare chiaro quindi che The Wolf of Wall Street è una reazione personale ma soprattutto nostalgica da parte di Scorsese, che riporta a quel suo cinema pieno, circolare, difficilemnte criticabile, come Quei Bravi Ragazzi(1990) e Casinò (1995).
Una reazione che sembra aver funzionato, ma anche profondamente diviso: funziona per chi voleva il “vecchio” Scorsese, quello “dei capolavori anni ’90”, ma che lascia l’amaro in bocca a chi voleva quel regista forse sbagliato, forse imperfetto ma che aveva voglia di osare.
The Wolf of Wall Street pone degli interrogativi interessanti su quale sia il nostro rapporto con un grande cineasta come Scorsese. Ci piace perché si possono riconoscere la sua poetica, e il suo modo di fare cinema, ma non ci si accorge che questo autore ha smesso di ripartire per davvero.
Di certo, se non si è vittima della politica degli autori, la quale punta alla difesa senza oltranza dei grandi maestri, The Wolf of Wall Street si mostra come un film vecchio, fermo su se stesso, già visto, senza alcuna svolta.
Questo perché la storia di Jordan Belfort è ancora una storia di ascesa e caduta, come Scorsese aveva già trattato, con ben altro stile. Il suo protagonista è il gemello meno sveglio di Henry Hill e Sam “Asso” Rothstein. Scorsese non riesce ad andare a un punto di vista inedito, non va oltre alla messa in scena della trama e al presente che racconta.
In questo discorso la finanza e suoi eccessi non c’entrano, il film non è su Wall Street e le sue losche manovre, (poteva essere ambientata anche nel mondo del Basket) ma è la classica parabola di un uomo che dalla vetta del successo sprofonda nella caduta più rovinosa: nulla di nuovo, nulla di necessario.
Scorsese si guarda nel passato senza forza, senza rielaborazione: l’onnipotenza degli anni ’90, lusso, sesso, droga, soldi, personaggi che perseverano nel loro malessere ma non ne sono consapevoli. Il regista di Taxi Driver (1976) la butta in farsa, ci fa ridere dello schifo che vediamo, usa il tono da black comedy per un’epopea cupa.
Ma l’immaginario è di plastica, poco nuovo e interessante, non aggiunge alle vicende dei suoi personaggi (tutti piatti e uguali), e al contesto storico che li circonda. Quindi forse il più grave rimpianto di The Wolf of Wall Street è l’impersonalità di Scorsese: una versione vent’anni dopo ma paradossalmente vent’anni indietro di altre pellicole del suo stesso regista.
Intendiamoci, non si sta parlando di un film irrimediabilmente brutto. La furia virtuosistica della regia e del montaggio è presente, la durata di 179 minuti è eccessiva ma godibile, il film risulta divertente e tutti gli interpreti funzionano.
Come detto Scorsese aveva bisogno di questo film, aveva bisogno di tornare sui suoi passi, forse l’errore è stato quello di specchiarsi troppo nel proprio delirio visivo, capendo che non si ha più molto da dire. La frase più gettonata in questi giorni è: “é il miglior Scorsese dai tempi di Casinò”, ecco forse questo è il punto. The Wolf of Wall Street ci piace più per quello che ricorda che per quello che è.

Ancora uno with Frusciante


01 Feb

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)