Archive for 2013

“Castello Cavalcanti” di Wes Anderson


14 Nov

Stefano Falotico e il suo Cavaliere di Alcatraz


13 Nov

Il Cavaliere di Alcatraz 

“Il cavaliere di Alcatraz” del sottoscritto, Stefano Falotico del ‘79, 342 pagine di rara raffinatezza, catartico dolore maudit e prosa in liriche di virtuosità pindarica, è ora disponibile, comprarlo è un obbligo morale

Link

Presto, molto presto (previo aggiornamento) anche acquistabile in eBook, per le vostre piattaforme di lettura più “conveniente”…

Il Falotico

Stefano Falotico, chi è costui che, da strati nebbiosi d’una sua sparizione (ir)razionale e ignota, all’improvviso è riesploso in trono di grandiosa ispirazione? Tonitruantissimo in (av)vincere letterario, a sconfiggere tutti gli sfavorevoli pronostici e le congetture “diagnostiche”, chi è quest’ateo agnostico che fa della parola un elegante bacio alla vita riscoccata in esorbitanti, fulminee creazioni impensabili, oltre le più favolose immaginazioni, chi è quest’Uomo roboante che “maiuscola” il suo stesso sostanziarsi in tanti poliedrici, liquidi sostantivi?
Dalla quarta di copertina di tale opera immensa, maestosa come l’Atlantico oceano nel suo navigare intrepidamente a mo’ veleggiante del leviatano degli abissi più rifulgenti, come le bianche aquile galattiche che virano, di vibrazioni soffici, nel Settimo Cielo… (es)traiamone giovamento perché, forever young, saremo giovinezza eterna!

“Un romanzo fascinoso, un viaggio notturno dentro la prigionia delle anime punite e forse, per l’eternità, oscurate fra le sbarre indissolubili d’una tenebra nerissima.
Fra scoppi d’ilarità sdrammatizzante, potenti, indelebili schizzi di rabbia inascoltata, queste voci del silenzio si mescoleranno all’urlo tonante dell’umiliata libertà. Violati nei cuori, privati d’ogni speranza e redenzione, sono soltanto sporchi, agonizzanti carcerati crocifissi in attesa della morte? Fantasmi walking fra livide, tetre albe rubate e opacizzate,  hanno perduto oramai anche la voglia di un ultimo, futile sogno?
Dal nulla, come per magia, entrerà però in scena un cavaliere ignoto, un romantico, intrepido, lucente revenant
Clint, in questa prigione maledetta dal Dio delle carneficine, Clint, l’ermetico principe incarnato a nobiltà morale, Clint che lustrerà i dolori, innalzandoli a giustizia apocalittica.

Ribelli per vocazione… alieni nelle stelle”.

Descrizione di me, un masterpiece vivente finalmente!

Capolavoro, a mio insuperbirlo di (ar)dire, volteggiantissimo in superlativo desueto ma che qui si confà a bene “spaventoso” per la totale, nostra variegata umanità

Falotico, raccoglitore di emozioni che eviscerò dai ventricoli suoi “suonati”, pulsazione empatica fra mille e più anime, anzi animistico di primigenia primitività “rude” quando istintivo incide la stilografica della tastiera dinamica nelle accensioni ascendenti di ferocie naturali sull’arsione ora te(r)sa, azionante, flessuosa dei fluidi suoi flussi vitali, enigmatici nella trascendenza, aspiranti notti in quiete scultorea e poi sognanti donne marmoree dai seni più lussuriosi, un Man avido di furore, un vero che patì, si segregò, screpolò la pelle a logorarla ma, mai corrotto, non la lordò per incarnarla ai gusti putridi dell’ammuffita vostra “impietrita” e non pietistica foll(i)a di massa, un versatile (in)grato che gratta la scorza delle apparenze per ridestarle con soventi, incoraggianti provocazioni solleticanti, per (dis)integrarle a forma sua divinizzante, una creatura oltre Dio, vitalità bestemmiata dai borghesi con la coscienza marcia, un adoratore del plenilunio fulgido vicino alle rive del Danubio, un chiaroveggente di San Pietroburgo nel delirare principesco come Laura Dern d’Inland Empire, un eastwoodiano infrangibile dagl’indelebili occhi “costernati” dinanzi al fosco “contorno” di tali vigliacchi cortei da morti arrochiti nel cuoricino e scevri innanzitutto d’amor proprio, un traghettatore come Caronte, anima egli stesso, (ri)generata infernalmente dalle fiamme vulcaniche d’un poetico, bellissimo impadronirsi del destino, plasmarlo a volere ché voli e sempre non trascolori, un UFO annebbiato dal dubbio permanente, un volante trasformato, metamorfosi del sangue offerto in sacrificio, uno scoiattolo poi ludico, “maligno”, che rasa la vita come lame arrostite del docile diluire l’armonica sua chioma. E rinforzarsene invincibilmente.

Genesi

All’interno della “postfazione”, ho spiegato quasi tutto. All’intelligenza dell’acquirente, dunque del lettore, a seconda o meno delle sue deduzioni perspicaci, e perciò della variabile sottigliezza neuronale al valore d’editare la sua mente erudita, poterne attingere in esegesi personale. A genetica emozionale che si rivedrà oppure no, ché dovete riflettere e specchiarvi… stavolta tutti!

 
Anche a lavoro “finito” e dopo una prima lettura interminabilmente “terminata”, sei appena a un quarto dell’opera, appunto, di revisione… le correzioni, le diverse impaginazioni, i formati, le conversioni ti potrebbero far uscire quasi pazzo e scoppierà qualche terminale!

Per ovviare al Pronto Soccorso, ci vuole un fisico da laureato in Fisica e prenderla con “Filosofia”, affilare gli spazi e aggiustare le virgole, mettere a posto i refusi “invisibili”, smacchiare e limare, aggiungere e togliere, “origliare” la musicalità delle frasi e, se non sonano bene, ritornare pun(i)to e a capo, cancellare per intonar o solo dar più “corda vocale” alle parole tropp’arcaiche, qualche lettore si slogherà la lingua… italiana fra vocabol(ar)i (s)comparsi eppur esistenti, al che ho dovuto anch’io affidarmi a un editor, che in questa sede ringrazio enormemente. Se lo merita.

Si chiama Germano Dalcielo, e ha svolto un lavoro davvero professionale. Ravvisando quelle sviste che, a mio occhio nudo, non avrei appunto avvistato prima di dare il “visto” per la stampa.

Abbiamo passato circa due settimane, in chat utilissima, a colloquiare su Facebook. Lui che mi mandava i punti da riguardare, io che li approvavo o li rileggevo per annotare ciò che non avevo notato. Semmai, avevo già “voltato pagina” e mancava qualcosa o, invece, avevo  appena-“a piè” abbo(n)dato di “dislessia” digitalmente troppo “spingente” lo stesso tasto. Al contrario, potevo non aver premuto o “inviato”. Chissà, per quel pezzo dovevo, di calcolo di probabilità (in)certa, aver bevuto oppure essermi mangiato il cervellone.

 

Ebbene, dopo tanto serio disquisire, grazie anche al suo prezioso e quanto mai scaltro consiglio, ho piazzato questo mio “Il cavaliere di Alcatraz” su youcanprint.it. Seguendo il regolamento, le linee guida, “cliccando” su tutti i tasselli, eccovi serviti con quest’epico romanzo.

Presto, prestissimo, sarà acquistabile in tutte le catene librarie, online e non, com’accennato anche in eBook, e “Youcanprint” offre peraltro la grande opportunità, sì di mantenere la loro esclusiva ma anche sempre gratuitamente che tu (quindi in questo caso io) possa detenere i diritti editoriali e distribuirlo a piacimento su altri siti di self publishing.

Perciò, apparirà in Amazon-Kindle e via scorrendo internettizzando…

Per piacere, ordinatelo cartaceo o “Adobe Digital”, adoperatemi per la mia ca(u)sa.
Ne vale la pena, “Il cavaliere di Alcatraz” è un’opera unica, ineguagliabile, tanto “triste” e incentrata sull’ingiustizia, quanto vi folgorerà man mano che andrete avanti… sbriciolerete (com)mossi, scatenati dalla forza letteraria d’una prosa senza catene. Fra carcerati nelle sbarre, liberi di sognare, svoltare, evadere, volare!

Ebbene, ripetiamo, dopo molti ritardi dovuti ad “abbagli” dell’ultima ora, godetevi anche la cover. Nota(te) che la sinossi del retro l’ho scritta sempre io… tanto di cappello. Completamente factotum.

L’immagine di copertina è dell’illustratore americano Péter Farsang (“é” accentata così, si è raccomandato, non è un “Peter” qualsiasi).
Perspective”…

Non me l’ha concessa gratis ma dietro piccolo, comunque proprio ridicolo, simbolico “rimborso”.

Anche il font è una mia creazione. Se non vi piace, Amen. Scritta sobria con l’aggiunta, per la versione eBook, di Péter fra i due “pali”. Sono bipolare. Eh eh. Comprare!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Noah (2014)
  2. Fuga da Alcatraz (1979)
  3. Le ali della libertà (1994)
  4. Gli spietati (1992)
  5. Gran Torino (2008)
  6. The Score (2001)
  7. Heat La sfida (1995)

George Clooney attacca tutti, io glielo stacco, attaccando il bugiardo al muro con tanto di chiosa, senza buonismi da chiese ma di chiodo! Inchinati, cheto pietà chiedi!


13 Nov

Da Il Corriere della sega di George:

L’armonia nel massimo campionato degli attori a Hollywood è finita: a rompere la quiete del buon vicinato nell’industria cinematografica è stato George Clooney. Se finora l’attore si è sempre trattenuto dal criticare i colleghi divi, stavolta è stato un fiume in piena. Tanto da stupire gli osservatori più disincantati. Il colpo più duro lo ha sferrato a Russell Crowe.

«UN VENDUTO» – Sogghigna con Brad Pitt, passeggia mano nella mano con Julia Roberts o sottobraccio con Sandra Bullock: George Clooney – è cosa nota nella terra dei sogni cinematografici planetari – è «l’amico di tutti». Mai una parola fuori luogo, mai una critica esplicita, né davanti, né dietro la cinepresa. Cambia compagna una volta al mese, ma le sue amicizie restano ben salde, da anni. Tuttavia, il 52enne è pure capace di altro. Ha detto basta alle buone maniere e con un’intervista a “Esquire” ha buttato giù dalla torre alcuni colleghi superdivi del grande schermo. Ha raccontato dell’alterco col Gladiatore Russell Crowe. Ad iniziare sarebbe stato l’attore neozelandese naturalizzato australiano, sostiene Clooney. La lite tra i due era iniziata qualche anno fa da un commento poco lusinghiero di Crowe che, facendo riferimento ai diversi ingaggi pubblicitari del collega, lo aveva definito «sellout» («un venduto»). Da allora i due si sono dichiarati guerra.

GUERRA E PACE – «La verità è che Crowe mi ha spedito un libro di poesia in segno di pace, ma è stato lui ad attaccarmi per primo. Non so perché si sia accanito contro di me. Ha acceso la miccia affermando: “George Clooney, Harrison Ford e Robert De Niro sono dei venduti”», ha spiegato la star di Gravity alla rivista americana. Clooney si è inoltre preso gioco delle velleità musicali del collega che canta nella band 30 Odd Foot of Grunts. «E poi ho detto in una dichiarazione – ironizza Clooney – “Probabilmente ha ragione e sono contento che ci abbia detto questo, poiché Bob, Harrison ed io avevamo proprio l’intenzione di formare una band”». George Clooney, però, pare inarrestabile e affonda il coltello: «Ma chi pensa di essere quel ragazzo? È un aspirante Frank Sinatra. Mi ha davvero scocciato!». Ciò nonostante, sarebbe in atto un tentativo di riconciliazione: Russell Crowe avrebbe spedito al collega un Cd in segno di pace. «Ha detto che hanno travisato il suo discorso», ha spiegato Clooney.

QUEGLI AMICI DI DICAPRIO – Clooney ha poi confessato di non aver un buon rapporto nemmeno con Leonardo DiCaprio, benché i due non si conoscano molto bene. Clooney ha raccontato un aneddoto poco piacevole accaduto durante una partitella a pallacanestro: non ha per niente apprezzato il tifo da stadio e le urla screditanti degli amici di Leo seduti in tribuna. «La discrepanza che c’era tra la qualità del suo gioco e i commenti fieri dei suoi amici al riguardo mi hanno ricordato quanto è importante avere qualcuno nella vita che ti dice la verità», ha sentenziato Clooney. «E non sono sicuro che Leonardo abbia qualcuno così vicino a sé», ha aggiunto. Quella partita era stata vinta dalla squadra di Clooney per 11 a 0. Solo complimenti, invece, per l’amico Brad Pitt: è senza dubbio l’attore di maggior successo al mondo, anche se cerca sempre di essere la «versione più modesta di Brad Pitt. Ho una grande ammirazione per lui», dice Clooney. Frasi che sembrano riportare di nuovo un po’ di armonia nel mondo di Hollywood.
Finalmente, Clooney si è rivelato lo stronzo che ho sempre sospettato

Da anni, sostengo che sia un puttaniere. Per sua stessa ammissione, hai i testicoli rifatti col lifting di questo cazzo. A praticarglielo, fu un chirurgo plastico che apportò, inclusa la fattura del taglio detto riporto (sì, Clooney ha il parrucchino col ciuffo coprente nel brizzolato di alopecia soffusa alla tinta color nero pece ingrigito che fa più figo maturo simil feci), varie parti del culo. Da cui la sua faccia simpatica quanto un deretano.

La finisse questo bauscia da Lago di Como a far la vita comoda. Ha veramente rotto. Un ex da Elisabetta Canalis. Non scordiamocelo mai e poi mai. Elisabetta io affogherei nel Canal Grande in apertura del Festival di Venezia.
Così, sommersa, imparerà a non schizzare di troppe umidità da sventolata con risotto in gondola. Ecco la passerella!

La finisse questo culetto di far il bello e il cattivo Tempo. Prevedo precipitazioni alla sua testa, e non sarò variabile di nervi, compresa la neve di un effetto va(la)nga se non accetterà la mia ver(g)a. Sono lo Yeti, stai attento.
Sei cascato nella mia rete e non in quelle delle tue donnine che usi come paravento della tua omosessualità incipiente eppur celata. Te lo gelo io.

Ecco il salto di quaglia, mio George di qualità. Poi, te lo prendo nel popò e ti porgo un identico sorriso paternalistico. Sì, sei rassicurante come un buon papà, pappone.
Ma io non credo al Papa e dunque ti castro, ti rendo un bimbo da liofilizzato, te lo infil(z)o e magnati questa pappina.

Che zuppa eh?

Testa di zucca!

 

Rodeo ballante di uno stregone che farfalleggia


10 Nov

Gli sproloqui arroganti e sacrosanti di me, il Principe arrogante al di sopra della legge morale, supremo maestro nella vi(t)a impervia in cui geme(re)te, inchinati al dovere e al supplizio

Vado da una al bar e le chiedo se ha scopato. Mi dice che sono pazzo a pormi così e io le rispondo che non avevo dubbi fosse una troia. Le troie sono queste. Le becco subito.

Sì, non cambio e non mi rammarico delle mie scelte, in quant’odoro di puro cloro, lontano dai cori e di mia voce potente, giammai nella vostra fatiscenza. Dormite, baloccatevi di film che neanche comprenderete, il domani vi sarà opalescente, oh miei dementi. Sempre castigati dal Dio dei timor(at)i, reggetevi giochi e dunque gioghi da piccolo borghesi, annuite “avvenenti” al (di)letto della baldoria a me ignobile. Avvelenante! Destinato all’onore della gloria plasmata in mio e solo, unico e irripetibile graffiare le (s)cortesi bugie di tanta noia che vedo e tentai di curar invano. Sollazzatevi in spiaggia e sdraiati, sul divano, a me sarete solo che più antipatici. Mi slaccerò i pantaloni, imbracandovi di corpo celestiale nel fluttuare liscio fra cosce levigate, le lustrerò in arderle di bagnate euforie d’anni in ano. Di “foro” in forni, fornicante e visto nello scomparire alle lei lagrimanti su mio sudore cangiante. Splendido, lecco le labbra, son specchio di sperma di tua brama, oggi una dama e domani un altro dominante. Dammi del lebbroso e lei s’arrossirà lussuriosa. Rossa e arrosto. D’addominali, espando quel che in mezzo “allarga” d’allungandosi a più non posso, spingendo di premere godente senza spremermi le meningi. Io le mangio spruzzando. Io godo mentre voi dovete lavorare, bervi tutte le cazzate che vi rifilano, addomesticati alla massa, e voi donne sorbirvelo, quando vi rubo ai mariti che altre “botte” dovran assorbire. Fra “assorbenti” e infilante sin su i tubi digerenti, ingerite amarezze e il mio va sempre ch’è una bellezza. Di brezze anche da rozzo, ecco il cazzo stronzo.

Ora, faccia di culo, hai trovato chi te lo fa.
Te lo sei andato a cercar’, abbassati e pigliale in testa.

Dormire o sonnecchiare nel dormiveglia e armi contundenti dell’anima rapita dall’insonnia, dal sonn(ifer)o all’incognita orrenda del Mondo.
Travis si lustra profondo, scova lo scheletrico suo Bickle a luci rosse, penzola d’oscillar vacuo e d’impermeabilità apparente, si sfama di sete rubata in baci setosi su fronte sempre aggrottata nei dubbi che l’esistenza non sia, il suo Cuore gracchia e vocifera, colora lanterne opache del trascendere e nell’Inferno è discesa apocalittica per ascendere a eroe ambiguo, come il Messia. Ché sia Satana o child of God. In tal “diocesi” giudeocristiana della finta società, tortura il suo asma, stira l’anima eppure l’ammira, affinando le sue celate irose, il suo neo(n) rubescente in tal marcescenza e stolta di tutti nell’ammassante marcetta ammazzante, ingrana la marcia delle “granate”, gratta il nemico, suo spauracchio “sessuofobo” o puritano dell’essenza in lui mai tradita. Scarnisce per essere più carnivoro nella metafisica che salta su, impazzisce, svirgola di pneumatico ed arde violento, con implacabili furie ad avventarsi, arroventato pavone finalmente a ventaglio. Smitragliante quel che nascose di vorace. Animale e vampiro, bambino e mostro, mai redenzione ma out of control per combaciare calibrato, perfetto alle imperfezioni della quadratura “accerchiante”.

Sparando, si salva. Gran Torino di Clint Eastwood è forse iniziato qui… nell’apoteosi del più grande Scorsese, Clint è il De Niro “vecchio” di Taxi Driver.

 

McConaughey


09 Nov

Anni fa, sostenni che Matthew McCoanughey è uno dei più grandi attori della Storia, il suo comeback è titanico, brandiano, è Matthew il Dio moderno

No, so che rideste quando l’affermai. Che mi umiliaste d’offese ma, al solito, la mia profezia s’è rivelata tanto lapidaria quanto enormemente reale come ciò che abbiamo oramai, ineludibilmente, sotto gli occhi. McConaughey sta impazzando, e non è pazzia, sfodera colpi sanguigni ripetuti, non s’arresta un secondo, insegue la preda del suo animale in mimica all’apparenza inespressiva che però gioca a soggiogare il suo corpo attoriale, lo modella plastico e palestrato, dimagrito e allucinato, “scopato”, fottuto, sudato e addolorato, remissivo e romantico, “clericale” e sadomaso in mistica d’occhi spettrali per lo spettatore sempre più innamorato.

I sentieri selvaggi già l’osannano e leggiamo tale recensione in anteprima.

Voglio morire sui miei stivali.
Nella frase di sfida lanciata dal Ron Woodroof di Matthew McConaughey ai medici che gli danno solo 30 giorni di vita e che vorrebbero tenerlo in ospedale sta l’essenza di un film che pur raccontando, come milioni di altre volte, l’odissea della malattia nei rivoli della Giustizia, non si perde per vie procedurali, ma costruisce un ritratto nitido e possente del sogno americano, quello che va avanti, nonostante tutto, e da cui è impossibile non restare affascinati.

Un sogno americano che ha le fattezze maschie, redneck, malgrado il deperimento fisico, di un colossale Matthew McConaughey, di nuovo col cappello da cowboy dopo il twist of fate friedkiniano di Killer Joe. Il suo Ron Woodroof è un loser abituato come l’indimenticabile wrestler di Mickey Rourke a incassare i colpi, a vivere intensamente sul suo corpo ogni errore, portandone i segni, i lividi, i buchi. E a pagare, perché non esiste un secondo atto nelle vite americane. O forse sì. Forse è possibile risorgere, reinventarsi, rifondare il sogno. Daccapo.

Jean Marc Vallée firma il suo film più denso, più compatto,  ritornando a esplorare la diversità, l’alienazione dei reietti attingendo a dinamiche di gender e alla sua idea di famiglia, rifiutata e ricreata, come in C.r.a.z.y., ma all’interno della più vasta tradizione hollywoodiana, quella dei John Doe, degli eroi positivi, della solidità del classico. E infatti il suo Dallas Buyers Club avanza compatto, da manuale, affondando nel calvario del virus, nella desolazione umana e affettiva che lo circonda, per poi trovare una possibile via di salvezza nell’amicizia, nella solidarietà, ma soprattutto nell’intraprendenza economica.

È un last tycoon Ron: un imprenditore che trasforma il suo male in merce, in prodotto da vendere. La sua vera cura non è l’aloe ma il business, ed è in questo che Vallée indovina la via vincente aggiungendo strati su strati, lavorando sulle direzioni divergenti e complementari del maschile e del femminile.

Facendo di un eccezionale McConaughey e di un altrettanto meraviglioso Jared Leto i poli di attrazione di un racconto che, da una parte, guarda in direzione del capitale e, dall’altra, si concede aperture intensamente emozionali grazie alle fragilità di Rayon, alle sue tenere debolezze.

Entrambi esasperano i loro caratteri, mettendo in scena il cowboy con gli speroni e la reginetta del ballo, tutta trucco, abiti rosa e ciglia finte. Perché il centro di ogni sogno americano è la performance: quella acrobatica del lottatore di Aronofsky, così come la grande messa in scena hollywoodiana orchestrata dall’agente Ben Affleck in Argo, film al quale, pur con tutte le differenze del caso, il film di Vallée sembra rifarsi, in modo del tutto istintivo.

Come cinematografica è la continua e camaleontica performance di Ron, pronto a vestirsi da prete o da uomo d’affari per importare i medicinali, guardando sempre al cinema, in quanto elemento fondativo dell’economia (e della stessa identità…) americana.

Ed è allora uno strano oggetto questo Dallas Buyers Club, a prima vista così canonico, “film d’attori”, come si diceva una volta. Giustamente, perché dietro la mole di oscuro lavoro del regista canadese, che consegna il tutto con una fotografia livida e un lavoro sul suono appena didascalici, è veramente attraverso gli interpreti, nell’istrionismo performativo che il sogno si perpetua.

 

Ronin


08 Nov

Come guido io la macchina, neanche De Niro di Ronin, guardare il video per (non) credermi, evviva i baci alla francese coi tramonti di Nizza e Jean Reno d’accento sulla “o” di Renault!

Grande Lou!
This magic moment
So different and so new
Was like any other
Until I met you
And then it happened
It took me by suprise
I knew that you felt it too
I could see it by the look in your eyes

Sweeter than wine
Softer than a summer’s night
Everything I want, I have
Whenever I hold you tight

Prefazione ironica, tratta da un Crash quasi alla Cronenberg nello Shyamalan di Unbreakable: due incidenti da “scemo” e non ebbi neanche i riflessi per gridare “Accidenti!”

Me la cavai con un dente rotto e una rettoscopia che esplorò le mie “cavità” per controllare se c’erano emorragie interne: e chi pensò all’assicurazione? Quella dissangua!

La mia guida fa merda, vero? Strano, i miei pensavano di chiamarmi Guido. Battuta come il cucco, pronunciata da Sly “Balboa” nel secondo Rocky.
No, a parte gli scherzi, sono un decano del volante, “solo” due incidenti da “poco”. Se non scoppiava l’airbag, sarei al cimitero. Avevo la Polo. Alla seconda, tamponai una pazza in tangenziale perché mi ero distratto a guardare una topa vicino al guardrail. Non era una zoccola dei viali ma una ratta di rara razza. L’ambulanza mi portò all’Autogrill, ove ordinai tre tazze di Lavazza. Vomitai nel cesso, non per essermi salvato a stento, ma perché il caffè era avvelenato. Scoprii dopo che c’era un complotto, ordito dalla barista che ne voleva an(n)i fa ma all’epoca virai a non cagarla. Le tentò tutte per ammazzarmi, prima la topa pelosa e poi il fegato distrutto.

Colin Farrell, il ferro da (s)tiro


08 Nov

Winter’s Tale con Colin Farrell, trailer stupendo, manca però la filosofia di Frankenstein Junior, cioè Peter “Mago” Boyle, il wizard of lies a Travis…

 

Bombardamento di trailer, la stagione “invernale” è arrivata: da Winter’s Tale con un Farrell “stupendo” al reboot di Robocop, buona Coop di addobbi per tutti…

Copriti col cappotto, lascia stare i gobbi, vai al CUP e sempre evviva Francis Ford Coppola, uno che magna e non gira più un cazzo di nulla!

Sono Colin Farrell di Winter’s Tale, buon mantello da lupo non mente, io impersono il miracolo vivente, salvo Martin Scorsese e anche Henry Hill diGoodfellas

Guardo il trailer di Winter’s Tale, sto male, soffro di colite per Colin. Quest’uomo buffo, beffardo, “capriccioso” di sopracciglia ispide, dai capelli corvini in bianca, lattiginosa pelle d’un visino stronzone come pochi, che sfida Russell Crowe cicatrizzandolo, ma è (in)deciso fra la rossa e Jennifer Connelly e preferisce scoparsi il Passato di nostalgia, questo Farrell fanatico, alla Falotico, che gigioneggia di carisma, che è vanità “incorporata”, che in alcuni momenti ibridi fra l’ira e il nervosismo…emula Al Pacino, che “scoreggia” d’una recitazione tutta sua, non sai se è bravo o fa lo scemo apposta per guadagnare nei minuti del finale in cui va da Dio su espressione commovente, sorseggiante iridi magnetiche e statua maestosa dei pettorali “forestali”, ché conosce il potere “nascosto” del “colpo” maestro su cavallo di jeansstrappa(n)ti.
Colin è il figlio di puttana per antonomasia. Ieri, fu il suo onomastico, sì, “San” Culone del suo ferro. Non è mai arrugginito, ruggisce, Colin sbraca, di sperma macchia eppur la sua filmografia accresce d’anno in “ani”, fra una nerona modella spompinante di nome Nicole Narain, Jolie Angelina nell’intermezzo prima del Pitt Brad, altre bottarelle di qua e di là, compresa Britney Spears, tanto per “spassarselo” nel pop da zoccolaina però di discreto “appiopparglielo” nel di lei “microfonino”. Stallone di zoccolo da razza cagna. Già, Britney ce l’ha piccola, è invece Farrell profumato al phon e amplificatore fra concerti per mandriani come in Crazy Heart, lo spettatore sconcertato d’alcune sue smorfie sul deficiente andato appunto a puttane nel rodeo, stronzate varie, film d’autore, apparizioni che lasciano il “segno”, un portamento degno d’un principe quando non gl’inquadrano il naso bugiardo, quindi di (fondo)schiena a più (ri)prese per il culo, poltroncine adoranti il Colin, grande amante e Don Giovanni cascamorto di fascino alla mortadella e un’indubbia presenza scenica da (im)battibile. Lui domina i giochi, sta sopra e voi lo dovete prendere.
Che c’entra Scorsese? C’entra. Gli sto dedicando un saggio. Io e Colin “assaggiamo” fra una che massaggia e tu che c’urli “Mannaggia, v’ammazzo!”. Invece, non ammazzerai proprio un cazzo. Noi li moltiplichiamo. Non c’è due senza tre, quanti sono? Impara prima a stare a posto… poi estrai quello che ti sodomizza.

Siamo bravi ragazzi!

Da quando mi trasformai in Rococop, la mia “sfiga” fu un “rifacimento”, insomma: volevo solo una vita normale ma gli asini mi resero un Isaac Asimov, un “insaccato” più che altro…? No, grazie, mi basta il “salame”

Nella mia vita, ne ho viste di tutti i colori, alcune di primo pelo, altre bagasce e basta.
Più passa il Tempo e più accuso acciacchi e non esco di casa se non a fasi alterne, dicasi anche stadi umorali del cattivo temporale. Eh già, quando “piove”, bisogna proteggersi dalle intemperie, dette anche le ragazze che succhiano il frutto “stagionato” dell’amore.
Ragazze umide, sempre in calore.
Donne di enorme carrozzeria ma non meritano il mio Principe. Devo ancora trovare una Cenerentola a cui regalare un calcio in culo. Per ora, m’accontento dei culi. A volte va, altre non “entra” e mi ci vuole il sessuologo. Egli studia con “cura” la proboscide ed aspira quel che, fra le cosce, fa male anche alla mia anca.  Un veterinario di vertebre. Eh sì, sono invecchiato. Un Tempo ero uno che lo faceva… camminare dritto in tutti i buchi, un lupo da fruttine di bosco, adesso inciampo in tante buche, da cui il detto non tutte le ciambelle riescono col bello. Sì, alcune sono troppo zuccherose, provocano il diabete, la gastrite, il basso ventre vomitante e mi devo recar in bagno a (non) cagarle di “sciacquone”. Nei cessi, la sveltina è una merda come te. Sei arrivato a quaranta d’anagrafe e neanche un ano da giraffa. Nessun bidet ma molto tè, piglialo nell’autoerotismo con aplomb inglese. Dai, mio plof, ti offro qualche caraffa e Raffaella Carrà. Vedrai poi come più del tutto non t’andrà.
Se vuoi l’idraulica pompa, al “pompelmo” tua moglie fa il meccanico nella tua Arancia kubrickiana da chi non ha capito un cazzo, e neanche quella, in tal Mondo di prese per il cubo di Rubik. Apri il rubinetto e pulisciti le mani onanistiche da sporchi fazzoletti.
Sono questo.
Vado accettato così.
Insomma, sono “grande e grosso”. Un robot di “botte”.
Non è Estate, non è Tempo di grandinate, ma di granita a un’altra “pepita”.
Che c’entra Peter Boyle? Il tassista non è un docente di niente, ma docet. Si doccia? Sì, è pulito seppur si sporca nelle strade, è docile nonostante un aspetto da omone. Non è omofobo, è tranquillo.
Travis è dubbioso, disperato, angosciato e si affida alle “mani” robuste di Peter. Consiglio “utilissimo” il suo, da utilitaria. Prendere la vita per il lavoro che si è. C’è chi fa l’avvocato, chi muore, chi nasce, chi non cresce, c’è Peter Pan, c’è Iris (sul digitale terrestre di Berlusconi), c’è Sport ché bisogna farlo altrimenti s’ingrassa, c’è Facebook per lo sfogo quotidiano dei lamentosi con brufoli a 50 anni, c’è la culona del canale “Colin, curami dalla cellulite, ingollandomelo di magro e crudo”, c’è chi si butta dal ponte e chi si ripara quello gengivale, buttando soldi per una dentiera che non serve ormai che non si limona più, c’è chi puzza d’alito e a chi gli puzza sotto il naso, chi guarda un porno con la moglie che applaude contenta, beati loro e felici tutti, c’è chi scommette sulle partite di Calcio ma riceve solo calci nelle palle con libretto di “giustificazioni” e il direttore che lo libera a un’allibratrice libellula, chi se la beve e chi se la gode, chi tromba e chi è Rambo, due più due quanto fa se quattro assi non sempre vincono?

Sì, Colin. Fidati. La vita è così. Come te. Una faccia da culo.
Ci sta, non sempre. Anche tu le devi prendere.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Taxi Driver (1976)
  2. Paradiso perduto (1997)
  3. Storia d’inverno (2014)

Davide Viganò, cioè colui che conosce la parola anima


07 Nov

Capita che si parli tanto di amicizia, capita di sbagliarsi, di affidarsi a sensazioni sbagliate. Capita. Fa male quando non riesci a condividere i tuoi sentimenti migliori con persone che probabilmente pensano di meritare altro. E quando ti svegli dalle tue illusioni, ti dai la colpa per i fallimenti e altro. Io però credo che, per una relazione che vada male, di qualsiasi tipo, altre sono lì ad aspettarti. Non serve farsi venire il sangue amaro e, se potessi, le lacrime sparse per le persone sbagliate le riprenderei per donarle alla vita e alla gioia di chi le merita. Succede, sai? Sono lì accanto a te. Magari non hai dato da subito l’attenzione che meritavano, magari non ci fai caso ma, quando incrociano la tua strada, comprendi che è meglio tenerseli per sempre. Chiamala come vuoi, amicizia,va benissimo per me. Ed è questo continuo condividere, scambiarsi, imparare, confidarsi senza paura, è avere il coraggio di litigare e stare male perché non vuoi aver fatto del male a lei o a lui. Questa è la cosa migliore che abbiamo, per noi e per gli altri. La cosa che non vorrei mai più sprecare e che dono a te amica mia, che ogni giorno sia compleanno e gioia. E la dedico a voi amiche e amici miei di Facebook ché possiate avere il dono prezioso di amicizie forti e vere. Dai che oggi son romanticone come il tenerone del drive in.

Il senso critico delle persone (termine che preferisco a gente, in quanto mi sa tanto di mandria amorfa) è sacrificato a un disimpegno totale in nome della leggerezza, intesa come massima superficialità arrogante e cafona. Si, miei cari e mie care, adesso parte la predica del solito profexxorone, radical chic della casta. E ve la beccate. Perché me ne frego assolutamente di voi, di quello che siete, della vostra mediocrità, che non è il voler qualcosa di leggero al Cinema, ma ché questa mentalità la esportate fuori. Ridanciani, menefreghisti, con il pensiero vago e debole e l’arroganza del pirla contro qualsiasi forma di approfondimento. Lascio a chi si illude il compito di studiarvi, di comprendervi, perché nel sistema ipocrita liberal-capitalista l’imbecille che per inerzia fa maggioranza non viene chiamato con il suo nome e cognome, ma va capito e compreso. Grazie a lui e a qualche comicastro mediocre che gioca al ribasso delle situazioni e delle battute, oh facciamo i soldi. Benissimo, molto bene per le sale, i lavoratori, molto bene. Però potete evitare il discorso: così finanziamo il Cinema di qualità, si presuppone che questo significhi avere spazi per film di non facile consumo. Cosa apprezzabilissima, ma quanto spazio effettivo hanno codeste pellicole? Una sala per questi film, rassegne, visioni di classici, ecco una sola sala sarebbe sacrificabile a queste cose? Visto che dobbiamo ringraziare Lammmmerda che vende tantissimo e il popolo coprofago che è simbolo totale del Paese. Alla fine come vengono finalizzati, usati, quali progetti altri e oltre? Non viene il sospetto di essere complici della morte del Cinema italiano in termine di idee, anche cattive eh?, di stile, di tentativi pur inseribili in contesto di genere? Per una somma mediocrità, un’apatia cerebrale che viene vista come cosa salubre. Il senso critico, la coscienza di essere uno spettatore e non un pirla che twitta, ridacchia, parlotta, gioca con il cell o il tablet o peggio ancora si nutre di questa immondizia di storie, personaggi, tecnica, cioè IL CINEMA, ecco quando abbiamo cominciato a perderlo? Perché ci siamo arresi? Perché si prova vergogna nel dire: sì, a me piace il Cinema e sono uno Spettatore Indisciplinato. Tu mi dici che questa è la regola, che va bene così? BBBBBUCIOOOO DE CULOOOO! come ti risponderebbe uno degli eroi di Boris. Perché non è nemmeno la voglia di distrarsi, di divertirsi, cosa sacrosanta e infatti il Cinema di intrattenimento popolare ha una importanza totale e assoluta, e una doppia responsabilità: tratti con strati le fasce che si meritano dopo una dura giornata di lavoro uno svago che li premi delle loro fatiche . Per questo si dovrebbe sempre aver in mente di offrire grandi cose. Non è più così. Una volta c’era la grande commedia italiana, siamo sempre qui dannata nostalgia e retorica da occhialuto gne gne, e c’era una industria tutto sommato florida e produttiva. Da Visconti a Girolami, da Mattoli a Scola e tantissimi altri. Film riusciti o no, opere memorabili e cazzate inguardabili, ma tutti con un punto in comune: si faceva CINEMA. Questa cultura si è persa. Il pubblico piatto e distratto della tv è anche quello delle sale, i film hanno tempi e strutture televisive, la leggerezza è diventata superficialità reazionaria. Non si è capito che il pilastro del nostro Cinema è La Commedia, piaccia o no, è quella cosa lì. E il neorealismo, per noi che amiamo certe cose, ma per le persone è la Commedia così mentre revisionisti, cultori del trash e del brutto che è arte e rivoluzione – lasciatemeli processare questi e i popolan chic fatemeli fucilare – erano presi a ingigantire l’importanza dei generi di importazione, uno dei nostri prodotti migliori veniva sputtanato, indebolito. Ed è un discorso anche di cassetta, economico. Si perché quelli, che se la prendono con i radical chic, nemici del popolo e che parlano di gente e masse popolari di Cinema popolare, che idea hanno veramente di essa? Che sono dei coglioni. E allora sforniamo il comicastro del momento, ci mettiamo battutine penose, una regia piatta e apri tutto. Nemmeno si affidano a guitti geniali, artisti della risata e del buon umore. E ora le Tenebre!

“Winter’s Tale”, Trailer


07 Nov

Robert De Niro e 5 milions per Ray Arcel, che uccello!


07 Nov

Panamá, 6 nov (PL) El actor estadounidense Robert de Niro cobrará cinco millones de dólares por su participación en el filme panameño Manos de Piedra Durán (Hands of Stone, título en inglés) donde encarnará al legendario entrenador Ray Arcel.

La película, que ya se está rodando, es sobre la vida del mejor boxeador de Panamá de todos los tiempos, Roberto Durán, conocido en el argot boxístico como Manos de Piedra por su fuerte pegada, y cuyo nombre lleva un barrio popular capitalino.

Durán, a sus 70 años y un físico envidiable, sigue siendo un gran personaje en este país.

De Niro llegará a Panamá a finales de noviembre, y ya pidió un camerino especial de lujo, aunque lo usará solamente en el rodaje pues se hospedará en un hotel de la capital junto a su hija Drena, quien también actuará.

El protagonista de la cinta será el venezolano Edgar Ramírez, quien hará el papel de Durán que le estaba asignado al mexicano Gael García Bernal, pero que no pudo cumplir por problema de agenda.

Jonathan Jakubowicz, director, se siente complacido con Ramírez, de 36 años, cuya carrera va en ascenso desde que protagonizó hace dos años a Carlos en la película francesa El Chacal, y Zero Dark Thirty, de Kathryn Bigelow, sobre la acción militar que liquidó a Osama bin Laden.

La estadía de De Niro en Panamá será de unas tres semanas en las que obtendrá cinco millones de dólares de los 14 que costará el filme, el cual se rueda en sitios como El Chorrillo, gimnasio Roberto Durán, Parque Urracá, Casco Antiguo, Avenida B, y Guararé, entre otros.

Al elenco se sumará el salsero y actor panameño Rubén Blades, quien conoce a De Niro y es amigo de Durán.

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